14 ago 2011

Inventato Racconto - Il figlio ritrovato racconto di Arduino Rossi



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Lui era un uomo solo e stanco, da troppi anni non trovava una risposta ai suoi malumori: era in pensione da due anni e non aveva più un amico, poi le donne lui non le aveva mai capite.

Gli piacevano ancora, ma erano così strambe, complicate, piene di fissazioni e lui non aveva per loro una grande stima.
Di soldi ne aveva parecchi, anche troppi nelle sue tasche ed era un ottimo investitore, ma ormai li accumulava senza più un motivo: non era taccagneria la sua, era solo un modo di vivere.
Era ricco e vestiva come un pezzente, pareva quasi un barbone, ma pochi sapevano che possedeva 20, o 30 immobili, che vendeva e comprava con una certa intelligenza, poi aveva depositi bancari e titoli di vario genere, oltre a un bel gruzzolo a Lugano, dove andava in treno per non farsi notare: alla frontiera lo scambiavano per un pendolare.
I soldi li aveva sempre con sé, dentro la giacca imbottita invernale, che portava anche sino a primavera inoltrata, poi alla stazione, nei bagni, se la scuciva ed estraeva i pezzi grossi, da 500 euro: li portava alla solita banca, con il solito bancario indifferente dietro il banco della cassa.
Aveva un nipote solo, che si sarebbe preso tutto e lui era furioso perché quei soldi li aveva sudati tutta un'esistenza, ma non li sapeva spendere.
Il nipote non si ricordava neppure del vecchio zio misantropo, faceva la sua vita e se la spassava con le donne.
Di ritorno da Lugano quella volta vide lui, quel tizio che non gli piaceva e che lo continuava a fissare: era alto e robusto.
Zio Andrea, così lo chiamavano al suo paese, non sopportava che quello lo pedinasse.
Le sue fantasie lo facevano precipitare nel terrore: era un terrorista, era un tossicodipendente, era un bandito o un rapitore, era..... tutto e di più, il peggio del peggio.
Zio Andrea scese dal treno alla prima stazione: gli mancavano ancora 3 fermate, ma avrebbe preferito dormire come un senza fissa dimora, che avere quel tizio alle calcagna.
Era ormai tranquillo, il treno partì, quando lo rivide dall'altra parte del binario: sorrideva, forse con scherno e malignità.
Ora zio Andrea si decise e volle affrontare l'individuo, attese che si avvicinasse e aprì il coltello a serramanico, tenendolo celato nella tasca della giacca, stringendolo con forza.
Lo sconosciuto gli chiese: “Tu sei zio Andrea?”
Che ti importa chi sono? Cosa vuoi da me?”
Lui sorrise e gli dette la mano tesa: “Sono Giuseppe, figlio di Mara.”
Andrea si rammentò tutto il suo passato e di quel breve amore con quella donna umile, sensibile, buona, dolce che un giorno gli aveva voluto bene e lui aveva amato.
Allora disse: “Non sapevo che Mara avesse un figlio.”
Sì, io nacqui dopo che lei fu abbandonata da te, in quel modo feroce e maligno, da vecchio porco.”
Andrea stava per estrarre il coltello, ma gli venne un dubbio: quello poteva essere suo figlio.
Il dubbio crebbe quando riconobbe in lui segni particolari sul viso: la smorfia, quando sorrideva, era quella che aveva lui al mattino, davanti allo specchio.
Gli occhi erano piccoli e scuri come i suoi, mentre quella macchia vicino alla bocca era identica alla sua, che aveva da sempre.
Sì, era suo figlio, ma Andrea non fu felice, anzi fu angosciato dall'idea di dovergli dare qualcosa del suo denaro, del suo patrimonio.
Gli chiese: “Cosa vuoi? Perché mi hai cercato solo oggi?”
Perché mia mamma è morta una settimana fa e solo in punto di morte ha fatto il tuo nome: temeva che mi vendicassi per gli anni di stenti, per le umiliazioni subite da entrambi, ma ora tutto va per il verso giusto......”
Infatti l'uomo estrasse una pistola di vecchio tipo, ancora a tamburo e bisbigliò: “Crepa zio Andrea e va all'inferno! Questo è per tutto quello che hai fatto, per la fame e perché mi chiamavano bastardo...”
Non riuscì a finire la frase, zio Andrea gli aveva già infilato il suo coltello in pancia: non attese altro tempo e se ne andò via, lasciando il figlio appena ritrovato agonizzante.
In quel luogo sperduto in mezzo alla campagna nessuno lo conosceva e così se la svignò verso la strada, si inoltrò nel buio della notte.
Riuscì a raggiungere la stazione successiva e a prendere il primo treno che incontrò, all'alba: giunse a casa e si sdraiò sul letto, poi si rammentò di una lettera, che non aveva mai aperto. Era di Mara, quella traditrice, come un suo amico nemico gli aveva raccontato.
La aprì, rompendo la busta ingiallita e lesse che lei le comunicava la nascita di suo figlio: quella lettera non l'aveva mai aperta e da allora aveva odiato le donne, le aveva sempre trattate male.
Per lui erano tutte delle puttane, delle male femmine, invece era stato lui l'idiota, il violento, il prepotente: voleva costituirsi alla polizia, ma invece decise di sapere qualcosa di più preciso.
Tornò alla stazione dove aveva accoltellato il figlio, ma non lo trovò e nessuno sapeva nulla.
La notizia della morte di un trentenne, un balordo, non era stata segnalata dai giornali, infine decise di chiedere precisazioni all'edicolante della stazione, l'unico che li aveva intravisti quel giorno.
L'ometto anziano rispose: “Sì, mi ricordo del fatto, ma avvenne tempo fa. L'uomo morì accoltellato in una rissa tra drogati e fu pure arrestato il colpevole, uno spacciatore marocchino.”
Zio Andrea gli pareva di impazzire, poi non volle sapere altro e vide transitare veloce un treno merci: si gettò rapido sui binari senza troppo pensare.
Il macchinista innestò i freni, ma era troppo tardi: Andrea fu investito.


Sul quotidiano locale si lesse questa notizia di cronaca nera, in quarta pagina: “L'uomo morto, investito da un treno merci alla stazione di ….., risulta essere il padre naturale del giovane assassinato per questioni di spaccio di sostanze stupefacenti, l'anno scorso. Il povero uomo non ha resistito al dolore e si è gettato sotto il primo treno che transitava, dopo aver chiesto notizie del figlio assassinato ad un edicolante. La polizia sta indagando per sapere se nessuno abbia spinto l'uomo al suicidio......”