14 ago 2011

Italiana Crisi finanziaria 2011 - debito pubblico italiano e politici incapaciAttuale



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La crisi finanziaria non perdona e i padroni del vapore, i signori della finanza mondiale seguono una sola legge, il loro profitto: non sono persone feroci, truci o crudeli, sono operatori che gestiscono i risparmi, i capitali dell'economia mondiale.
Rispettano le leggi del mercato e queste non perdonano: se il debito pubblico di un paese sale alle stelle c'è il rischio che quel Paese fallisca e non possa pagare i creditori.
Il rischio aumenta e così tassi di interesse crescono, per poter poter ripagare il pericolo di perdere il capitale investito, aumentando il debito pubblico.
Intervenire subito era necessario, ma come era tutto da stabilire: si doveva tagliare la spesa pubblica e aumentare le tasse.
Il principio di colpire chi aveva di più avrebbe messo però in crisi il sistema finanziario italiano, favorendo la fuga di capitali all'estero, punendo chi possedeva capitali investiti in immobili, in certi casi costringendoli a vendere, facendo cadere il prezzo degli immobili, mettendo in crisi le banche che hanno delle ipoteche sugli immobili, favorendo solo gli speculatori che si muovono nel mercato immobiliare.
Sarebbe stata una scelta disastrosa, allora sarebbe stato giusto colpire l'evasione, il lavoro nero in particolare, quell'evasione che fa della concorrenza sleale, non pagando le tasse.
La strada giusta era questa, lotta dura al lavoro nero e ai padroncini che non rispettano le regole, le leggi fiscali, nell'edilizia, nelle cooperative.
L'altra strada era quella del taglio ai costi della politica, con il dimezzare dei deputati e dei senatori, l'eliminazione delle province, l'eliminazione dei finanziamenti ai partiti.
Tutto questo ha pure i suoi fattori contrari, però sarebbero le scelte meno dolorose per il Paese.
Altra scelta sta nella semplificazione della burocrazia e una politica verso le nuove tecnologie, la ricerca, sono fattori che restano fuori da tutti i programmi dei nostri politici: alla peggio abbiamo una caduta a pioggia su istituti di ricerca dalla dubbia utilità.
La demagogia e gli interessi settoriali ci stanno rovinando: è giusto che questa politica sappia rinnovarsi con una chiara visione della realtà attuale.
E' finito il tempo del mercato economico locale, ormai l'Italia o beve o affoga: non possiamo più vivere con gli espedienti del passato.
Non possiamo dare risposte che offendono la nostra intelligenza: per evitare un fallimento doloroso e dannosissimo non rimane che liberalizzare tutti i settori della vita pubblica e privata: è finita l'epoca delle corporazioni.
L'hanno capito i politici con i sindacati e le associazioni di categoria nazionale?
Probabilmente no, ma se ne dovranno accorgere presto: la vera riforma è nel modo di pensare degli imprenditori, dei lavoratori, della gente.
Il futuro non sarà brutto o bello in modo indiscriminato: se si capirà che si devono apprendere le nuove tecnologie e che si lavorerà o si farà la fame se ci si rinnoverà o si rimarrà ancorati alle proprie posizioni.
Il mercato ci imporrà scelte faticose, ma noi potremo avere l'occasione di metterci in gioco, oppure no.