28 gen 2012

Arianna Iezzi . Non ho parole - per il giorno della memoria



Non ho parole

Il corpo soffre
la mente pensa
il cuore piange.

L’ULTIMA FERMATA

Volvo rossa stationvagon piena di tutto come conviene ad un artista errante. Il caro pittore amico di famiglia mi invita ad andare in Polonia sua terra natale. Accetto, malgrado la differenza di età. Partiamo in un giorno di aprile pieno di sole. A Warszawa ci aspettano la moglie con i cagnolini: Kaja e Buba, un’ elegante coppia di bassotti, molto giocherellona.
Il viaggio comincia senza fretta, guida lui ed io osservo. Osservo lui ed il panorama; non so cosa mi attira di più. Passiamo la prima frontiera e usciamo dall’Italia. Arriviamo a Dresda, cittadina pulita e ordinata, mi colpisce il centro senza automobili. In un albergo piccolo ma di lusso, prendiamo possesso delle nostre rispettive camere, poi l’artista si reca a cercare un soggetto adatto per un suo nuovo quadro. Ritrae paesaggi dal vero, e non come fanno tanti pittori che copiano belle cartoline. A sera torna, e mi chiede di “scrutare” bene il suo capolavoro: nel dipinto, eseguito lasciando il colore corposo, si nota una “A” celata fra i rami degli alberi. Un tributo alla sua giovane amica! Il giorno seguente ripartiamo, e questa volta guido io. I campi si susseguono ai boschi, i colori sono intensi, merito del bel tempo e dell’aria pura.
Guarda, Ari, com’è bello il mondo!” Wlod esprime la sua gioia.
Per il paesaggio affascinante, o perché è contento della mia presenza?
Radar!” Esclama un attimo dopo.
Radar!” Continua.
Io sto guidando a velocità sostenuta, e lui mi sta avvisando che lungo l’autostrada sono stati installati i rilevatori di velocità. Comprendo, e continuo rallentando la mia andatura. Il viaggio è lungo, dopo altre tappe ci avviciniamo alla sua Polonia, decidiamo di fare una sosta per riposare, anche per compiere una visita culturale, la nostra ultima fermata è: Oświecim, il campo di concentramento.
Varchiamo il cancello con la famosa scritta. Il binario nero e diritto è arrivato al Capolinea, e tutto intorno sembra di avvertire ancora odore di morte. Le costruzioni allineate una di seguito all’altra parlano da sole agli alberi, anch’essi allineati ma solo lungo il perimetro di questo lugubre posto. Ogni edificio conserva il passaggio di una umanità strappata alla vita da individui appartenenti sì al genere umano, ma colmi di presunzione, di odio, di pazzia. L’aria non è più tersa, lo smog è pesante, la cappa nera aumenta il disagio che incomincio a sentire inoltrandomi sempre di più in questo giro turistico da horror. Un lungo percorso di terra battuta e protetto da alti fili spinati mi conduce a quelle che erano le infermerie, con i piccoli presidi medici: urla strazianti in questo silenzio muto, sono rimaste aggrappate ai muri.
Giro intorno più volte a quelle baracche squadrate, tutte uguali, ideate per eseguire ordini diversi, ma gli esecutori avevano tutti l’unico scopo di essere attori sadici della storia. Un edificio più basso e lungo si sta avvicinando, lo vedo ben chiaro. Arrivo, apro la porta ed entro in un grande vano con il soffitto basso, dal quale pendono numerosi soffioni di docce, questo posto emana una pesante presenza di anime: pianti abbracciati coscienti nel freddo. Poi il fumo e più niente.
L’ultima palazzina mi aspetta per darmi conferma che tutto è realmente accaduto: vetrine piene di borse, di occhiali, di capelli. Cumuli di stampelle, cataste di valigie, mucchi di vestiti, e poi paralumi di mummie. Saponette intoccabili. Tutto è reale quanto la mia angoscia che mi fa chiedere: perché? Perché tanto accanimento, perché tanto dolore, sadismo, violenza gratuita, miseria dell’anima? Come ha potuto la mente umana pianificare un progetto tanto orribile? La storia ci ricorda le persecuzioni dei forti sui deboli, le torture più efferate, gli eccidi e i crimini commessi in nome di qualche dio o di chissà quale causa ideata da menti contorte. Tutta questa violenza è servita a migliorare l’uomo e la sua condizione?
Io ti aspetto al parcheggio.” Mi avvisa Wlod.
Capisco il suo stato d’animo, lui che è stato prigioniero in Siberia, lui che ha avuto tanti amici deportati, anche nel campo appena visitato. Lui che ha visto la sua Warszawa completamente distrutta. Lui che ha dovuto ricomporre la sua anima!
Questo giro turistico mi rimarrà impresso nella memoria. Esco. E’ scontato dire: “Non ho parole”. Ma istintivamente è l’unica frase che si riesce ad esprimere. Tutte le parole della nostra conoscenza non bastano e non riescono a descrivere quelle morti presenti in ogni mattone, in ogni finestra, in ogni recinto, in ogni granello di terra, in ogni filo d’erba, senza che io abbia visto un solo cadavere. Volto lo sguardo a Wlod, è triste e silenzioso, solo poco prima aveva detto che il mondo è bello!
Perché vi siete rassegnati? Perché vi siete fermati?”
L’ultima fermata. Noi ripartiamo.
Arianna Iezzi – ari.ari58@live.it