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18 gen 2013

Mezzogiorno di Pascoli

Mezzogiorno

L'osteria della pergola è in faccende:
piena è di grida, di brusìo, di sordi
tonfi; il camin fumante a tratti splende.
Sulla soglia, tra il nembo degli odori
pingui, un mendico brontola: Altri tordi
c'era una volta, e altri cacciatori.
Dice, e il cor s'è beato. Mezzogiorno
dal villaggio a rintocchi lenti squilla;
e dai remoti campanili intorno
un'ondata di riso empie la villa.

7 gen 2013

Il lauro di Pascoli

Il lauro

Nell'orto, a Massa — o blocchi di turchese,
alpi Apuane! o lunghi intagli azzurri
nel celestino, all'orlo del paese!

un odorato e lucido verziere
pieno di frulli, pieno di sussurri,
pieno dè flauti delle capinere.

Nell'aie acuta la magnolia odora,
lustra l'arancio popolato d'oro —
io, quando al Belvedere era l'aurora,
venivo al piede d'uno snello alloro.

Sorgeva presso il vecchio muro, presso
il vecchio busto d'un imperatore,
col tronco svelto come di cipresso.

Slanciato avanti, sopra il muro, al sole
dava la chioma. Intorno era un odore,
sottil, di vecchio, e forse di viole.

Io sognava: una corsa luna il puro
Frigido, l'oro di capelli sparsi,
una fanciulla... Ancora al vecchio muro,
tremava il lauro che parea slanciarsi.

Un'alba — si sentìa di due fringuelli
chiaro il francesco mio: la capinera
già desta squittinìa di tra i piselli —

tu più non c'eri, o vergine fugace:
netto il pedale era tagliato: v'era
quel vecchio odore e quella vecchia pace;

il lauro, no. Sarchiava li vicino
Fiore, un ragazzo pieno di bontà.
Gli domandai del lauro; e Fiore, chino
sopra il sarchiello: Faceva ombra, sa!

E m'accennavi un campo glauco, o Fiore,
di cavolo cappuccio e cavolfiore.

Allora di Pascoli



Allora

Allora... in un tempo assai lunge
felice fui molto; non ora:
ma quanta dolcezza mi giunge
da tanta dolcezza d'allora!
Quell'anno! Per anni che poi
fuggirono, che fuggiranno,
non puoi, mio pensiero, non puoi,
portare con te, che quell'anno!
Un giorno fu quello, ch'è senza
compagno, ch'è senza ritorno;
la vita fu vana parvenza
sì prima sì dopo quel giorno!
Un punto!... così passeggero,
che in vero passò non raggiunto,
ma bello così, che molto ero
felice, felice, quel punto!

21 dic 2012

L'agrifoglio di Pascoli

L'agrifoglio

Sul, limitare, tra la casa e 1'orto
dove son brulli gli alberi, te voglio,
che vi verdeggi dopo ch'io sia morto,
sempre, agrifoglio.

Lauro spinoso t'ha chiamato il volgo,
che sempre verde t'ammirò sul monte:
oh! Cola il sangue se un tuo ramo avvolgo
alla mia fronte!

Tu devi, o lauro, cingere l'esangue
fronte dei morti! E nella nebbia pigra
alle tue bacche del color di sangue,
venga chi migra,

tordo, frosone, zigolo muciatto,
presso la casa ove né suona il tardo
passo del vecchio. E vengavi d'appiatto
l'uomo lombardo,

e del tuo duro legno, alla sua guisa
foggi cucchiari e mestole; il cucchiare
con cui la mamma imbocca il bimbo, assisa
sul limitare.

20 dic 2012

Scalpitio di Giovanni Pascoli

Scalpitio

Si sente un galoppo lontano
(è la...? ),
che viene, che corre nel piano
con tremula rapidità.
Un piano deserto, infinito;
tutto ampio, tutt'arido, eguale:
qualche ombra d'uccello smarrito,
che scivola simile a strale:
non altro. Essi fuggono via
da qualche remoto sfacelo;
ma quale, ma dove egli sia,
non sa né la terra né il cielo.
Si sente un galoppo lontano
più forte,
che viene, che corre nel piano:
la Morte! La Morte! La Morte!

14 dic 2012

Sera Festiva di Pascoli

Sera Festiva

O mamma, o mammina, hai stirato
la nuova camicia di lino?
Non c'era laggiù tra il bucato,
sul bossolo o sul biancospino.
Su gli occhi tu tieni le mani...
Perché? Non lo sai che domani...?
din don dan, din don dan.
Si parlano i bianchi villaggi
cantando in un lume di rosa:
dell'ombra dè monti selvaggi
si sente una romba festosa.
Tu tieni a gli orecchi le mani...
tu piangi; ed è festa domani...
din don dan, din don dan.
Tu pensi... Oh! Ricordo: la pieve...
quanti anni ora sono? Una sera...
il bimbo era freddo, di neve;
il bimbo era bianco, di cera:
allora sonò la campana
(perché non pareva lontana? )
din don dan, din don dan.
Sonavano a festa, come ora,
per l'angiolo; il nuovo angioletto
nel cielo volava a quell'ora;
ma tu lo volevi al tuo petto,
con noi, nella piccola zana:
gridavi; e lassù la campana...
din don dan, din don dan.

11 dic 2012

La cucitrice di Pascoli

La cucitrice

L'alba per la valle nera
sparpagliò le greggi bianche:
tornano ora nella sera
e s'arrampicano stanche;
una stella le conduce.
Torna via dalla maestra
la covata, e passa lenta:
c'è del biondo alla finestra
tra un basilico e una menta:
è Maria che cuce e cuce.
Per che cuci e per che cosa?
Un lenzuolo? Un bianco velo?
Tutto il cielo è color rosa,
rosa e oro, e tutto il cielo
sulla testa le riluce.
Alza gli occhi dal lavoro:
una lagrima? Un sorriso?
Sotto il cielo rosa e oro,
chini gli occhi, chino il viso,
ella cuce, cuce, cuce.

2 ott 2012

XXXIX. "Spento il diurno raggio..." di Leopardi

XXXIX.
"Spento il diurno raggio..."

      Spento il diurno raggio in occidente,
E queto il fumo delle ville, e queta
De’ cani era la voce e della gente;
      Quand’ella, volta all’amorosa meta,
Si ritrovò nel mezzo ad una landa
Quanto foss’altra mai vezzosa e lieta.
      Spandeva il suo chiaror per ogni banda
La sorella del sole, e fea d’argento
Gli arbori ch’a quel loco eran ghirlanda.
      I ramuscelli ivan cantando al vento,
E in un con l’usignol che sempre piagne
Fra i tronchi un rivo fea dolce lamento.
      Limpido il mar da lungi, e le campagne
E le foreste, e tutte ad una ad una
Le cime si scoprian delle montagne.
      In questa ombra giacea la valle bruna,
E i collicelli intorno rivestia
Del suo candor la rugiadosa luna.
      Sola tenea la taciturna via
La donna, e il vento che gli odori spande,
Molle passar sul volto si sentia.
      Se lieta fosse, è van che tu dimande:
Piacer prendea di quella vista, e il bene
Che il cor le prometteva era più grande.
      Come fuggiste, o belle ore serene!
Dilettevol quaggiù null’altro dura,
Né si ferma giammai, se non la spene.
      Ecco turbar la notte, e farsi oscura
La sembianza del ciel, ch’era sì bella,
E il piacere di colei farsi paura.
      Un nugol torbo, padre di procella,
Sorgea di dietro ai monti, e crescea tanto,
Che più non si scopria luna né stella.
      Spiegarsi ella il vedea per ogni canto,
E salir su per l’aria a poco a poco,
E far sovra il suo capo a quella ammanto.
      E veniva il poco lume ognor più fioco;
E intanto al bosco si destava il vento,
Al bosco là del dilettoso loco.
      E si fea più gagliardo ogni momento,
Tal che a forza era desto e svolazzava
Tra le fronde ogni augel per lo spavento.
      E la nube, crescendo, in giù calava
ver la marina sì, che l’un suo lembo
Toccava i monti, e l’altro il mar toccava.
      Già tutta a cieca oscuritade in grembo,
S’incominciava udir fremer la pioggia,
E il suon cresceva all’appressar del nembo.
      Dentro le nubi in paurosa foggia
Guizzavan lampi, e la fean batter gli occhi;
E n’era il terren tristo, e l’aria roggia.
      Discior sentia la misera i ginocchi;
E già muggiva il tuon simile al metro
Di torrente che d’alto in giù trabocchi.
      Talvolta ella ristava, e l’aer tetro
Guardava sbigottita, e poi correa,
Sì che i panni e le chiome ivano addietro.
      E il duro vento col petto rompea,
Che gocce fredde giù per l’aria nera
In sul volto soffiando le spingea.
      E il tuon veniale incontro come fera,
Rugghiando orribilmente e senza posa;
E cresceva la pioggia e la bufera.
      E d’ogn’intorno era terribil cosa
Il volar polve e frondi e rami e sassi,
E il suon che immaginar l’alma non osa.
      Ella dal lampo affaticati e lassi
Coprendo gli occhi, e stretti i panni al seno,
Gia pur tra il nembo accelerando i passi.
      Ma nella vista ancor l’era il baleno
Ardendo sì, ch’alfin dallo spavento
Fermò l’andare, e il cor le venne meno.
      E si rivolse indietro. E in quel momento
Si spense il lampo, e tornò buio l’etra,
Ed acchetossi il tuono, e stette il vento.
      Taceva il tutto; ed ella era di pietra.