Primo dovere di tutti creare subito lavoro per far ripartire l'Italia
Il posto di lavoro è il grande super-ricercato del nostro tempo, in Italia. Siamo arrivati al 12,7% di disoccupati, con un aumento dell'1,2% nel 2013, anno in cui 293 mila persone sono rimaste senza lavoro. Tra i giovani la percentuale ha sfondato il 40%: siamo in testa in Europa e i segni di miglioramento sono minimi o impercettibili. A Roma si continua ad avvolgere in pannicelli caldi il grande malato, creando l'illusione che si avvicina l'uscita del tunnel. Qualcuno si spinge a dire che il peggio è finito, che la ripresa è in atto. Come, dove e perché si veda tutto questo, qualcuno dovrebbe spiegarmelo: io incontro, parlo, sento da molte famiglie crescenti preoccupazioni, in alcuni casi avverto l'angoscia di genitori che si interrogano sul fu
turo dei figli, su come riusciranno a sbarcare il lunario, permanendo nella precarietà, nel lavoro temporaneo o nel girone di chi ormai ha perso anche la forza di insistere nel cercare un posto. Possibile che i nostri 945 parlamentari non riescano a capire l'aria che tira, a mettere in atto urgenti misure concrete per far ripartire il Paese, per ricreare sviluppo, per rilanciare la fiducia e con questa anche i consumi?
Ci stiamo rattrappendo e intanto questa classe politica si gingilla tra riforma elettorale, decreto svuota-carceri, ipotesi di nuove tasse caricate sulle spalle di cittadini che non ne possono più: chi mette mano alla somma emergenza, che è quella del lavoro? Questo è il problema numero uno: tutti dovrebbero farsene carico e impegnarsi al massimo per trovare soluzioni. E invece assistiamo ad uno spettacolo indegno di un Paese normale, con una intollerabile degenerazione dei comportamenti e del linguaggio, come si può vedere con una certa regolarità alla Camera, tra insulti che farebbero arrossire i carrettieri. Tutto è spettacolo e tutto fa spettacolo, di pessimo gusto. Dopo aver ricostruito il Paese, sulle macerie della seconda guerra mondiale, siamo
condannati a vederlo naufragare nella passività e nel disinteresse di una compagine politica che pare avere altri interessi rispetto al bene collettivo del Paese. Mi domando cosa direbbero i Padri della nostra Repubblica se vedessero il continuo declino dell'Italia, da De Gasperi e Togliatti a Fanfani, a Pertini, a Moro e Berlinguer, a Donat Cattin, ai nostri Rampa, Vicentini, Colleoni, Berlanda e moltissimi politici, alcuni dei quali ancora viventi, che con il loro forte senso civico e la loro dirittura sono stati i pionieri del progresso e dello sviluppo che abbiamo avuto. Non possiamo rassegnarci all'eclissi di un Paese, che è stato culla di civiltà e locomotiva della nuova Europa nata col MEC.
Valerio Bettoni