Era la mia prima passeggiata in montagna dopo anni, facevo fatica e sudavo abbondantemente: avevo un grosso zaino sulla schiena e faceva un caldo strano per quell’autunno inoltrato.
Maledicevo la mia vecchia pigrizia, colpevole per il mio fiatone e il grasso accumulato.
Rimpiangevo la mia giovinezza, quando quel sentiero lo avrei percorso quasi correndo e mi accorgevo che non ero più quello di un tempo, non era solo per gli anni trascorsi, ma in particolare per il mio adagiarmi ad una vita monotona e ripetitiva.
Odiavo il mio lavoro e rimpiangevo, rimpiangevo……le occasioni perse, gli amici che avevo abbandonato, le speranze che avevo tradito.
La mia solitudine mi pesava non poco, ma era il dolore meno intenso: non capivo più il mondo e le nuove generazioni, non comprendevo quella maledetta fame di denaro, ma soprattutto quel voler primeggiare a tutti i costi, a spese degli altri.
Giunsi finalmente al castello: un edificio diroccato, circondato da sterpi e da fiori selvatici, forse era stato un antico fortilizio medioevale, forse una fattoria cinta da spesse mura.
Il panorama riempiva d’allegria: si vedeva tutta la vallata, con i paesi grigi e rossi lontani, le montagne già con la prima neve troppo bianca, mentre il verde dei boschi e dei prati circondavano la radura da dove il castello dominava.
Mi sedetti per riprendermi, provavo caldo e freddo allo stesso tempo, ero ansimante e non mi sentivo a mio agio: l'intuito mi stava segnalando un pericolo che si stava avvicinando.
Il sole stava calando dietro le montagne e regalava gli ultimi raggi ad una natura multicolore, vivace e pronta al cambiamento gelido dell’inverno.
Il cielo era limpido e due nuvole all’orizzonte si erano tinte di un rosa quasi innaturale, da quadretto di pittore dilettante.
Ero stanco e pensai che nessuno mi stava attendendo a casa, nessuno avrebbe notato la mia mancanza: decisi di restare a bivaccare lì.
Non c’era rischio di pioggia, ma l’umidità della notte mi avrebbe infastidito: sistemai alla meglio delle frasche e sopra posi delle foglie asciutte, dove collocai il mio sacco a pelo, adatto a proteggere in condizioni peggiori.
Accesi un fuoco per riscaldare il poco cibo che avevo con me: il rossore delle fiamme mi dava un po’ di calore e d’intima serenità, il silenzio della notte mi faceva ricordare il mio passato e gli amici di un tempo, specialmente quelli che non avevano mai superato la giovinezza.
Mi adagiai senza preoccuparmi troppo del fuoco e, dopo aver bevuto un paio di birre, sprofondai nel sonno del giusto, o se preferite, del duro e puro.
Non avevo mai rinnegato i miei ideali giovanili, la voglia di cambiare il mondo, fedele ai miei sogni dei vent’anni, ma quell’età così tumultuosa era finita da molto tempo.
Sentendomi ancora una forza della natura, ero diventato bianco di capelli prematuramente e le abitudini molli dell’impiegatino mi avevano trasformato in un debole: da giovane facevo paura per la grinta, ma il mio aspetto era cambiato in un placido signore di mezza età.
Non so che sogni feci, ma quando mi svegliai ero certamente lucido e con i cinque sensi ben attenti: qualcuno si era messo di fronte a me, dall’altra parte del fuoco, e mi fissava.
Stavo per dirgli di andarsene, che non volevo vicino estranei, quando mi parve di riconoscerlo, anzi ne fui certo: era Franchino, il mio amico morto in un incidente con la moto trent’anni prima.
Sembrava che si stesse scaldando al fuoco con movimenti lenti, indifferente a me.
Gli chiesi: -Che fai qui?-
-Nulla! Sto solo cercando un po’ di calore!-
Era Lui sicuramente, pure la voce era la sua.
Cercai di capire qualcosa: -Dove ti trovi ora non c’è il riscaldamento?-
-Non t’immagini quanto freddo c’è!-
Non volli altri particolari, ma passai subito al pratico: -Desideri qualcosa?-
-…..solo un po’ di pace e il tuo aiuto!-
Mi drizzai dal mio giaciglio: -Che posso fare? Pregare?…-
-Questo è il minimo! Ho pure bisogno di una mano.
Sorpreso esclamai convinto: -Chiedi!-
-Qui c’è un tesoro, frutto di rapine e saccheggi da parte di una banda di briganti, due secoli fa.
Devi scavare e trovarlo, poi ti faremo sapere.-
Scomparve come nebbia al sole e mi rimase il dubbio se fosse stato un sogno, un’allucinazione o qualcosa di più intenso e reale, di misterioso.
All’alba mi levai prontamente, mi preparai una colazione veloce e me ne tornai sui miei passi velocemente, sino alla fine del sentiero, dove c’era la mia automobile.
Me ne tornai alla mia casa da scapolo solitario: ripresi le abitudini e mi impegnai in mille attività frenetiche per non pensare a ciò che mi era capitato.
La settimana trascorse veloce e non mi preoccupai più di nulla: mi buttai a capo fitto nel lavoro e feci pure parecchie ore di straordinario, di sera ero troppo stanco perché ricordassi il mio fantasma.
Solo il venerdì il fatto avvenuto al castello mi si ficcò con prepotenza nella mia mente: non mi rimase che indossare gli scarponi, procurarmi lo stretto necessario e partire per la montagna, in cerca di quell’allettante e fantomatico tesoro.
Era già notte quando arrivai al castello: mi sistemai alla meglio sotto una tettoia e mi coricai, nell'attesa di qualcosa di straordinario.
Non aspettai molto: Franchino apparve nella penombra, chiuso nelle sue spalle e il volto era seminascosto.
Mi disse: -Sento freddo!-
-Ti accendo subito un fuoco, anch’io sento l’umidità sin dentro le ossa.-
Parve che stesse meglio: -Grazie per il calore che mi offri! Noi abbiamo sempre bisogno di tepore e premure.-
Passai subito al dunque: -Dove è questo tesoro?-
-Hai fretta? Calmati, parliamo invece dei tuoi progetti.-
-Con la mia parte non lavorerò più: andrò in un paese lontano, tropicale e farò il fannullone sulla spiaggia con qualche bellezza locale.-
Sorrise: -Secondo il tuo parere sarei tornato apposta per farti avere questo? Sei pazzo! Mi dispiace, ma queste ricchezze sono sporche di sangue e si possono spendere solo in beneficenza.-
-Ero certo, che mi avresti fregato! Lo hai sempre fatto, anche quando eri vivo.-
-Non prendertela, la vita è strana e ciò che sembra buono alla fine è velenoso. Dovresti saperlo ormai!-
Non ero felice, mi sentivo ingannato, truffato: -Ti voglio seguire, ma che cosa ci guadagno?-
-Hai l’occasione d’essere generoso e avrai il tuo premio!-
Me ne tornai a casa e mi chiusi nella mia camera, mi detti malato e per una settimana bevvi birra, vino, grappa, non mangiai e pensai a cosa fare: decisi di assecondare il mio amico fantasma, anche per vedere questo tesoro.
Lo attesi quasi tutta la notte, ero sveglio e in piedi, appoggiato al muro di cinta del castello, tra ortiche e rovi.
Era quasi l’alba quando apparve: -Ti sei deciso? In ogni modo non avevi alternative: per il tuo bene questa è la scelta migliore.-
Mi indicò dove scavare e sparì.
Io avevo con me un piccone e un badile: con foga cercai, ruppi, feci un largo e profondo buco, ma nulla c’era.
Temetti che fosse uno scherzo, o che avessi le allucinazioni e fossi impazzito.
Dopo otto ore giunsi al baule: era di bronzo per resistere all’umidità del terreno.
Feci molta fatica per liberare il coperchio da tutto il materiale, ma riuscii a forzarlo.
Dentro c’era uno splendore di gemme e oro abbagliante.
I secoli non avevano reso opachi tutti quei preziosi: io provai il desiderio di non mantenere la parola data.
Mi impossessai di ciò che potevo far stare nella mia sacca, celai sotto degli sterpi e foglie secche il baule con il resto dei gioielli.
La notte calò rapida e sul sentiero vidi il mio amico, che mi stava aspettando ad un bivio: -Ricordati della promessa: non puoi ingannarmi.-
-Quali vantaggi avrò se ti accontenterò?-
-Tantissimi, sciocco…-
Non tornai a casa e versai l’intero “bottino” in una banca, poi rifeci il percorso tre volte sino al castello: era una ricchezza immensa, da miliardario.
Era un vero peccato dare tutto in beneficenza, ma non avevo alternative: non potevo contrastare la volontà dell’Oltretomba.
Era più per paura che per amore che cedevo alla forza dell’Aldilà, ma non potevo rischiare terribili conseguenze da morto.
Non ero religioso, non frequentavo la parrocchia, ma davanti ad un fatto simile chinai il capo.
Il patrimonio era tale che avrei dovuto seguire le donazioni personalmente per anni: decisi di licenziarmi e creare una società con tanto d’ufficio, d’archivio e segretaria.
Ero solo il gestore di tutto quel ben di Dio: ogni tanto salivo al castello e prendevo un po’ d’oro, facevo due chiacchiere con Franchino e ricominciavo ad aiutare i poveri, i malati, gli orfani.
Tutto andava bene, ma la tentazione era forte e una volta cedetti: m’impossessai di un po’ di gemme e le usai per sedurre alcune ragazze, disponibili e sensibili a certe lusinghe.
Franchino entrò nei miei sogni: -Devi restituire ciò che hai rubato!-
Poi mi perseguitò anche di giorno, con la sua presenza malinconica e silenziosa, costringendomi a cedere, a ripagare il mio furto poco alla volta.
Ora mi sento realizzato, soddisfatto e tranquillo: sono vecchio, malato e mi manca poco a morire.
Non temo il trapasso, perché ho un amico come Franchino.
Non mi rimane che scoprire se la mia guida ha affermato sempre la verità: mi auguro che non mi abbia ingannato.
Arduino Rossi
Maledicevo la mia vecchia pigrizia, colpevole per il mio fiatone e il grasso accumulato.
Rimpiangevo la mia giovinezza, quando quel sentiero lo avrei percorso quasi correndo e mi accorgevo che non ero più quello di un tempo, non era solo per gli anni trascorsi, ma in particolare per il mio adagiarmi ad una vita monotona e ripetitiva.
Odiavo il mio lavoro e rimpiangevo, rimpiangevo……le occasioni perse, gli amici che avevo abbandonato, le speranze che avevo tradito.
La mia solitudine mi pesava non poco, ma era il dolore meno intenso: non capivo più il mondo e le nuove generazioni, non comprendevo quella maledetta fame di denaro, ma soprattutto quel voler primeggiare a tutti i costi, a spese degli altri.
Giunsi finalmente al castello: un edificio diroccato, circondato da sterpi e da fiori selvatici, forse era stato un antico fortilizio medioevale, forse una fattoria cinta da spesse mura.
Il panorama riempiva d’allegria: si vedeva tutta la vallata, con i paesi grigi e rossi lontani, le montagne già con la prima neve troppo bianca, mentre il verde dei boschi e dei prati circondavano la radura da dove il castello dominava.
Mi sedetti per riprendermi, provavo caldo e freddo allo stesso tempo, ero ansimante e non mi sentivo a mio agio: l'intuito mi stava segnalando un pericolo che si stava avvicinando.
Il sole stava calando dietro le montagne e regalava gli ultimi raggi ad una natura multicolore, vivace e pronta al cambiamento gelido dell’inverno.
Il cielo era limpido e due nuvole all’orizzonte si erano tinte di un rosa quasi innaturale, da quadretto di pittore dilettante.
Ero stanco e pensai che nessuno mi stava attendendo a casa, nessuno avrebbe notato la mia mancanza: decisi di restare a bivaccare lì.
Non c’era rischio di pioggia, ma l’umidità della notte mi avrebbe infastidito: sistemai alla meglio delle frasche e sopra posi delle foglie asciutte, dove collocai il mio sacco a pelo, adatto a proteggere in condizioni peggiori.
Accesi un fuoco per riscaldare il poco cibo che avevo con me: il rossore delle fiamme mi dava un po’ di calore e d’intima serenità, il silenzio della notte mi faceva ricordare il mio passato e gli amici di un tempo, specialmente quelli che non avevano mai superato la giovinezza.
Mi adagiai senza preoccuparmi troppo del fuoco e, dopo aver bevuto un paio di birre, sprofondai nel sonno del giusto, o se preferite, del duro e puro.
Non avevo mai rinnegato i miei ideali giovanili, la voglia di cambiare il mondo, fedele ai miei sogni dei vent’anni, ma quell’età così tumultuosa era finita da molto tempo.
Sentendomi ancora una forza della natura, ero diventato bianco di capelli prematuramente e le abitudini molli dell’impiegatino mi avevano trasformato in un debole: da giovane facevo paura per la grinta, ma il mio aspetto era cambiato in un placido signore di mezza età.
Non so che sogni feci, ma quando mi svegliai ero certamente lucido e con i cinque sensi ben attenti: qualcuno si era messo di fronte a me, dall’altra parte del fuoco, e mi fissava.
Stavo per dirgli di andarsene, che non volevo vicino estranei, quando mi parve di riconoscerlo, anzi ne fui certo: era Franchino, il mio amico morto in un incidente con la moto trent’anni prima.
Sembrava che si stesse scaldando al fuoco con movimenti lenti, indifferente a me.
Gli chiesi: -Che fai qui?-
-Nulla! Sto solo cercando un po’ di calore!-
Era Lui sicuramente, pure la voce era la sua.
Cercai di capire qualcosa: -Dove ti trovi ora non c’è il riscaldamento?-
-Non t’immagini quanto freddo c’è!-
Non volli altri particolari, ma passai subito al pratico: -Desideri qualcosa?-
-…..solo un po’ di pace e il tuo aiuto!-
Mi drizzai dal mio giaciglio: -Che posso fare? Pregare?…-
-Questo è il minimo! Ho pure bisogno di una mano.
Sorpreso esclamai convinto: -Chiedi!-
-Qui c’è un tesoro, frutto di rapine e saccheggi da parte di una banda di briganti, due secoli fa.
Devi scavare e trovarlo, poi ti faremo sapere.-
Scomparve come nebbia al sole e mi rimase il dubbio se fosse stato un sogno, un’allucinazione o qualcosa di più intenso e reale, di misterioso.
All’alba mi levai prontamente, mi preparai una colazione veloce e me ne tornai sui miei passi velocemente, sino alla fine del sentiero, dove c’era la mia automobile.
Me ne tornai alla mia casa da scapolo solitario: ripresi le abitudini e mi impegnai in mille attività frenetiche per non pensare a ciò che mi era capitato.
La settimana trascorse veloce e non mi preoccupai più di nulla: mi buttai a capo fitto nel lavoro e feci pure parecchie ore di straordinario, di sera ero troppo stanco perché ricordassi il mio fantasma.
Solo il venerdì il fatto avvenuto al castello mi si ficcò con prepotenza nella mia mente: non mi rimase che indossare gli scarponi, procurarmi lo stretto necessario e partire per la montagna, in cerca di quell’allettante e fantomatico tesoro.
Era già notte quando arrivai al castello: mi sistemai alla meglio sotto una tettoia e mi coricai, nell'attesa di qualcosa di straordinario.
Non aspettai molto: Franchino apparve nella penombra, chiuso nelle sue spalle e il volto era seminascosto.
Mi disse: -Sento freddo!-
-Ti accendo subito un fuoco, anch’io sento l’umidità sin dentro le ossa.-
Parve che stesse meglio: -Grazie per il calore che mi offri! Noi abbiamo sempre bisogno di tepore e premure.-
Passai subito al dunque: -Dove è questo tesoro?-
-Hai fretta? Calmati, parliamo invece dei tuoi progetti.-
-Con la mia parte non lavorerò più: andrò in un paese lontano, tropicale e farò il fannullone sulla spiaggia con qualche bellezza locale.-
Sorrise: -Secondo il tuo parere sarei tornato apposta per farti avere questo? Sei pazzo! Mi dispiace, ma queste ricchezze sono sporche di sangue e si possono spendere solo in beneficenza.-
-Ero certo, che mi avresti fregato! Lo hai sempre fatto, anche quando eri vivo.-
-Non prendertela, la vita è strana e ciò che sembra buono alla fine è velenoso. Dovresti saperlo ormai!-
Non ero felice, mi sentivo ingannato, truffato: -Ti voglio seguire, ma che cosa ci guadagno?-
-Hai l’occasione d’essere generoso e avrai il tuo premio!-
Me ne tornai a casa e mi chiusi nella mia camera, mi detti malato e per una settimana bevvi birra, vino, grappa, non mangiai e pensai a cosa fare: decisi di assecondare il mio amico fantasma, anche per vedere questo tesoro.
Lo attesi quasi tutta la notte, ero sveglio e in piedi, appoggiato al muro di cinta del castello, tra ortiche e rovi.
Era quasi l’alba quando apparve: -Ti sei deciso? In ogni modo non avevi alternative: per il tuo bene questa è la scelta migliore.-
Mi indicò dove scavare e sparì.
Io avevo con me un piccone e un badile: con foga cercai, ruppi, feci un largo e profondo buco, ma nulla c’era.
Temetti che fosse uno scherzo, o che avessi le allucinazioni e fossi impazzito.
Dopo otto ore giunsi al baule: era di bronzo per resistere all’umidità del terreno.
Feci molta fatica per liberare il coperchio da tutto il materiale, ma riuscii a forzarlo.
Dentro c’era uno splendore di gemme e oro abbagliante.
I secoli non avevano reso opachi tutti quei preziosi: io provai il desiderio di non mantenere la parola data.
Mi impossessai di ciò che potevo far stare nella mia sacca, celai sotto degli sterpi e foglie secche il baule con il resto dei gioielli.
La notte calò rapida e sul sentiero vidi il mio amico, che mi stava aspettando ad un bivio: -Ricordati della promessa: non puoi ingannarmi.-
-Quali vantaggi avrò se ti accontenterò?-
-Tantissimi, sciocco…-
Non tornai a casa e versai l’intero “bottino” in una banca, poi rifeci il percorso tre volte sino al castello: era una ricchezza immensa, da miliardario.
Era un vero peccato dare tutto in beneficenza, ma non avevo alternative: non potevo contrastare la volontà dell’Oltretomba.
Era più per paura che per amore che cedevo alla forza dell’Aldilà, ma non potevo rischiare terribili conseguenze da morto.
Non ero religioso, non frequentavo la parrocchia, ma davanti ad un fatto simile chinai il capo.
Il patrimonio era tale che avrei dovuto seguire le donazioni personalmente per anni: decisi di licenziarmi e creare una società con tanto d’ufficio, d’archivio e segretaria.
Ero solo il gestore di tutto quel ben di Dio: ogni tanto salivo al castello e prendevo un po’ d’oro, facevo due chiacchiere con Franchino e ricominciavo ad aiutare i poveri, i malati, gli orfani.
Tutto andava bene, ma la tentazione era forte e una volta cedetti: m’impossessai di un po’ di gemme e le usai per sedurre alcune ragazze, disponibili e sensibili a certe lusinghe.
Franchino entrò nei miei sogni: -Devi restituire ciò che hai rubato!-
Poi mi perseguitò anche di giorno, con la sua presenza malinconica e silenziosa, costringendomi a cedere, a ripagare il mio furto poco alla volta.
Ora mi sento realizzato, soddisfatto e tranquillo: sono vecchio, malato e mi manca poco a morire.
Non temo il trapasso, perché ho un amico come Franchino.
Non mi rimane che scoprire se la mia guida ha affermato sempre la verità: mi auguro che non mi abbia ingannato.
Arduino Rossi