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14 mag 2013

LE ARANCE D'ORO di Luigi Capuana


LE ARANCE D'ORO

Si racconta che c'era una volta un Re, il quale avea dietro il palazzo reale un magnifico giardino. Non vi mancava albero di sorta; ma il più raro e il più pregiato, era quello che produceva le arance d'oro.
Quando arrivava la stagione delle arance, il Re vi metteva a guardia una sentinella notte e giorno; e tutte le mattine scendeva lui stesso a osservare coi suoi occhi se mai mancasse una foglia.
Una mattina va in giardino, e trova la sentinella addormentata. Guarda l'albero... Le arance d'oro non c'eran più!
- Sentinella sciagurata, pagherai colla tua testa.
- Maestà, non ci ho colpa. È venuto un cardellino, si è posato sopra un ramo e si è messo a cantare. Canta, canta, canta, mi si aggravavano gli occhi. Lo scacciai da quel ramo, ma andò a posarsi sopra un altro. Canta, canta, canta, non mi reggevo dal sonno. Lo scacciai anche di lì, e appena cessava di cantare, il mio sonno svaniva. Ma si posò in cima all'albero, e canta, canta, canta..., ho dormito finora!

Il Re non gli fece nulla.
Alla nuova stagione, incaricò della guardia il Reuccio in persona.
Una mattina va in giardino e trova il Reuccio addormentato. Guarda l'albero...; le arance d'oro non c'eran più!
Figuriamoci la sua collera!
- Come? Ti sei addormentato anche tu?
- Maestà, non ci ho colpa. È venuto un cardellino, si è posato sopra un ramo e si è messo a cantare. Canta, canta, canta, mi s'aggravavano gli occhi. Gli dissi: cardellino traditore, col Reuccio non ti giova! Ed esso a canzonarmi: il Reuccio dorme! il Reuccio dorme! Cardellino traditore, col Reuccio non ti giova! Ed esso a canzonarmi: il Reuccio fa la nanna! il Reuccio fa la nanna! E canta, canta, canta..., ho dormito finora!

Il Re volle provarsi lui stesso; e arrivata la stagione si mise a far la guardia. Quando le arance furon mature, ecco il cardellino che si posa sopra un ramo, e comincia a cantare. Il Re avrebbe voluto tirargli, ma faceva buio come in una gola. Intanto aveva una gran voglia di dormire!
- Cardellino traditore, questa volta non ti giova! - Ma durava fatica a tener aperti gli occhi.
Il cardellino cominciò a canzonarlo:
- Pss! Pss! Il Re dorme! Pss! Pss! Il Re dorme!
E canta, canta, canta, il Re s'addormentava peggio d'un ghiro anche lui.
La mattina apriva gli occhi: le arance d'oro non ci eran più!
Allora fece un bando per tutti i suoi Stati:
- Chi gli portasse, vivo o morto, quel cardellino, riceverebbe per mancia una mula carica d'oro.
Passarono sei mesi, e non si vide nessuno.
Finalmente un giorno si presenta un contadinotto molto male in arnese:
- Maestà, lo voIete davvero quel cardellino? Promettetemi la mano della Reginotta, e in men di tre giorni l'avrete.
Il Re lo prese per le spalle, e lo messe fuor dell'uscio.
Il giorno appresso quegli tornò:
- Maestà, lo volete davvero quel cardellino? Promettetemi la mano della Reginotta, e in men di tre giorni l'avrete.
Il Re lo prese per le spalle, gli diè una pedata e lo messe fuor dell'uscio.
Ma il giorno appresso, quello, cocciuto, ritornava:
- Maestà, lo volete davvero il cardellino? Promettetemi la mano della Reginotta, e in men di tre giorni l'avrete.
Il Re, stizzito, chiamò una guardia e lo fece condurre in prigione.
Intanto ordinava si facesse attorno all'albero una rete di ferro; con quelle sbarre grosse, non c'era più bisogno di sentinella. Ma quando le arance furon mature, una mattina va in giardino...; l'arance d'oro non c'eran più.
Figuriamoci la sua collera! Dovette, per forza, mettersi d'accordo con quel contadinotto.
- Portami vivo il cardellino e la Reginotta sarà tua.
- Maestà, fra tre giorni.

E prima che i tre giorni passassero era già di ritorno.
- Maestà, eccolo qui. La Reginotta ora è mia.
Il Re si fece scuro. Doveva dare la Reginotta a quello zoticone?
- Vuoi delle gioie? Vuoi dell'oro? Ne avrai finché vorrai. Ma quanto alla Reginotta, nettati la bocca.
- Maestà, il patto fu questo.
- Vuoi delle gioie? Vuoi dell'oro?
- Tenetevi ogni cosa. Sarà quel che sarà!

E andò via.
Il Re disse al cardellino:
- Ora che ti ho tra le mani, ti vo' martoriare.
Il cardellino strillava, sentendosi strappare le penne ad una ad una.
- Dove son riposte le arance d'oro?
- Se non mi farete più nulla, Maestà, ve lo dirò.
- Non ti farò più nulla.
- Le arance d'oro sono riposte dentro la Grotta delle sette porte. Ma c'è il mercante, col berrettino rosso, che fa la guardia. Bisogna sapere il motto; e lo sanno due soli: il mercante e quel contadino che mi ha preso.

Il Re mandò a chiamare il contadino.
- Facciamo un altro patto. Vorrei entrare nella Grotta delle sette porte, e non so il motto. Se me lo sveli, la Reginotta sarà tua.
- Parola di Re?
- Parola di Re!
- Maestà, il motto è questo:

"Secca risecca!
Apriti, Cecca."
- Va bene.
Il Re andò, disse il motto, e la Grotta s'aperse. Il contadino rimase fuori ad attenderlo.
In quella grotta i diamanti, a mucchi per terra, abbagliavano. Vistosi solo, sua Maestà si chinava e se ne riempiva le tasche. Ma nella stanza appresso, i diamanti, sempre a mucchi, eran più grossi e più belli. Il Re si vuotava le tasche, e tornava a riempirsele di questi. Così fino all'ultima stanza, dove, in un angolo, si vedevano ammonticchiate le arance d'oro del giardino reale.
C'era lì una bisaccia, e il Re la colmò. Or che sapeva il motto, vi sarebbe ritornato più volte.
Uscito fuor della Grotta, colla bisaccia in collo, trovò il contadino che lo attendeva.
- Maestà, la Reginotta ora è mia.
Il Re si fece scuro. Dovea dare la Reginotta a quello zoticone?
- Domanda qualunque grazia e ti verrà concessa. Ma per la Reginotta nettati la bocca.
- Maestà, e la vostra parola?
- Le parole se le porta il vento.
- Quando sarete al palazzo ve ne accorgerete.

Arrivato al palazzo, il Re mette giù la bisaccia e fa di vuotarla. Ma invece di arance d'oro, trova arance marce.
Si mette le mani nelle tasche, i diamanti son diventati tanti gusci di lumache!
Ah! quel pezzo di contadinaccio gliel'avea fatta!
Ma il cardellino la pagava.
E tornò a martoriarlo.
- Dove sono le mie arance d'oro?
- Se non mi farete più nulla, Maestà, ve lo dirò.
- Non ti farò più nulla.
- Son lì dove le avete viste; ma per riaverle bisogna conoscere un altro motto, e lo sanno due soli: il mercante e quel contadino che mi ha preso.

Il Re lo mandò a chiamare:
- Facciamo un altro patto. Dimmi il motto per riprendere le arance e la Reginotta sarà tua.
- Parola di Re?
- Parola di Re!
- Maestà il motto è questo:

"Ti sto addosso:
Dammi l'osso."
- Va bene.
Il Re andava e ritornava più volte colla bisaccia colma, e riportava a palazzo tutte le arance d'oro.
Allora si presentò il contadino:
- Maestà, la Reginotta ora è mia.
Il Re si fece scuro. Dovea dare la Reginotta a quello zoticone?
- Quello è il tesoro reale: prendi quello che ti piace. Quanto alla Reginotta, nettati la bocca.
- Non se ne parli più.

E andò via.
Da che il cardellino era in gabbia, le arance d'oro restavano attaccate all'albero da un anno all'altro.
Un giorno la Reginotta disse al Re:
- Maestà, quel cardellino vorrei tenerlo nella mia camera.
- Figliuola mia, prendilo pure; ma bada che non ti scappi.

Il cardellino nella camera della Reginotta non cantava più.
- Cardellino, perché non canti più?
- Ho il mio padrone che piange.
- E perché piange?
- Perché non ha quel che vorrebbe.
- Che cosa vorrebbe?
- Vorrebbe la Reginotta. Dice:

"Ho lavorato tanto,
E le fatiche mie son sparse al vento."
- Chi è il tuo padrone? Quello zotico?
- Quello zotico, Reginotta, è più Re di Sua Maestà.
- Se fosse vero, lo sposerei. Va' a dirglielo, e torna subito.
- Lo giurate?
- Lo giuro.

E gli aperse la gabbia. Ma il cardellino non tornò.
Una volta il Re domandò alla Reginotta:
- O il cardellino non canta più? È un bel pezzo che non lo sento.
- Maestà, è un po' malato.

E il Re s'acchetò.
Intanto la povera Reginotta viveva in ambascia:
- Cardellino traditore, te e il tuo padrone!
E come s'avvicinava la stagione delle arance, pel timore del babbo, il cuore le diventava piccino piccino.
Intanto venne un ambasciatore del Re di Francia che la chiedeva per moglie. Il padre ne fu lieto oltremodo, e rispose subito di sì. Ma la Reginotta:
- Maestà, non voglio: vo' rimanere ragazza.
Quello montò sulle furie:
- Come? Diceva di no, ora che avea impegnato la sua parola e non potea più ritirarla?
- Maestà, le parole se le porta il vento.

Il Re non lo potevan trattenere: schizzava fuoco dagli occhi. Ma quella, ostinata:
- Non lo voglio! Non lo voglio! Vo' rimanere ragazza.
Il peggio fu quando il Re di Francia mandò a dire che fra otto giorni arrivava.
Come rimediare con quella figliolaccia caparbia?
Dallo sdegno, le legò le mani e i piedi e la calò in un pozzo:
- Di' di sì, o ti faccio affogare!
E la Reginotta zitta. Il Re la calò fino a metà.
- Di' di sì, o ti faccio affogare!
E la Reginotta zitta. Il Re la calava più giù, dentro l'acqua; le restava fuori soltanto la testa:
- Di' di sì, o ti faccio affogare!
E la Reginotta zitta.
- Dovea affogarla davvero?
E la tirò su; ma la rinchiuse in una stanza, a pane ed acqua. La Reginotta piangeva:
- Cardellino traditore, te e il tuo padrone! Per mantenere la parola ora patisco tanti guai!
Il Re di Francia arrivò con un gran seguito, e prese alloggio nel palazzo reale.
- E la Reginotta? Non vuol farsi vedere?
- Maestà, è un po' indisposta.

Il Re non sapeva che rispondere, imbarazzato.
- Portatele questo regalo.
Era uno scatolino tutto d'oro e di brillanti. Ma la Reginotta lo posò lì, senza neppur curarsi d'aprirlo. E piangeva.
- Cardellino traditore, te e il tuo padrone!
- Non siamo traditori, né io, né il mio padrone.

Sentendosi rispondere dallo scatolino, la Reginotta lo aperse.
- Ah, cardellino mio! Quante lagrime ho sparse.
- La tua sorte volea così. Ora il destino è compito.

Sua Maestà, conosciuto chi era quel contadino, le diè in dote l'albero che produceva le arance d'oro, e il giorno appresso la Reginotta sposò il Re di Francia.
E noi restiamo a grattarci la pancia.

30 ott 2010

GRAN FINALE PER NAGOYA E MESE DELLA BIODIVERSITA’ IL WWF CONSEGNA IL PANDA D’ORO IL WWF CONSEGNA IL PANDA D’ORO

Sul green-carpet i camosci dell'Appennino, gli ululoni della Liguria,
le dune toscane e gli ulivi secolari pugliesi
 
Premiati anche la giornalista Milena Gabanelli e il magistrato Bruno Giordano
 
Green-carpet della natura, oggi a Roma, per la premiazione ufficiale del Panda d'Oro 2010. Il WWF ha consegnato gli "Oscar dell'ambiente" ai paladini della natura italiana, che hanno realizzato le migliori "buone pratiche" per la tutela dei nostri habitat e specie più preziosi, dimostrando come, a pochi giorni dall'approvazione di una Strategia nazionale sulla biodiversità attesa da 16 anni e mentre è in corso la Conferenza internazionale di Nagoya, c'è chi già opera nei fatti con progetti innovativi per garantire la conservazione della biodiversità in Italia. Ecco dunque i vincitori:
 
"Il camoscio e la sibilla" dell'Ente Parco Nazionale dei Monti Sibillini, che ha reintrodotto nelle Marche 13 camosci appenninici portati dai vicini parchi abruzzesi (una reintroduzione molto apprezzata, visto che in soli 2 anni nella nuova colonia sono già nati 6 piccoli di camoscio). "Salviamo l'ululone", dell'Ente Parco Naturale Regionale di Montemarcello-Magra, in Liguria, che ha costruito lavatoi in pietra e vasche speciali per il bene dell'ululone, un piccolo rospo giallo e nero, in forte declino numerico, che grazie anche alla collaborazione degli agricoltori locali è tornato a gracidare nei suoi habitat preferiti. "SOS dune costiere", dell'Ente Parco Regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli, che ha "restaurato" le dune e le zone umide di due Siti di Importanza Comunitaria (SIC) lungo la costa toscana, realizzando anche sentieri, fascinate e altre infrastrutture per permettere agli amanti del mare di fruire il litorale rispettando questi delicatissimi habitat.
 
Il premio speciale della giuria popolare, attivata per la prima volta grazie a una votazione pubblica sul web, è andato agli agricoltori biologici pugliesi "I giganti del Mediterraneo", che coltivano ulivi monumentali (che hanno anche 2500 anni di età), nel rispetto della natura e della legalità, tutelando un paesaggio caratteristico del Mediterraneo.
 
E per rendere onore all'impegno dei singoli, il WWF ha assegnato il diploma di "custode della biodiversità" al procuratore di Paola Bruno Giordano per il suo diretto contributo contro il traffico illegale di rifiuti pericolosi sulla costa cosentina e nella vallata del fiume Oliva, e alla giornalista Milena Gabanelli della trasmissione televisiva "Report" per il prezioso servizio di informazione sul rispetto della legalità a garanzia della tutela ambientale.
 
Si chiude così la ricca serie di iniziative organizzate dall'Associazione per il Mese della Biodiversità, aspettando gli esiti della Conferenza di Nagoya che proprio oggi annuncerà il nuovo piano d'azione globale per ridurre la perdita di biodiversità entro il 2020.
 
"È un onore e un piacere premiare con il simbolo della natura in pericolo, colorato d'oro per affetto e preziosità, i progetti, gli uomini e le donne che grazie alle loro idee e al loro appassionato lavoro sul campo sono davvero i "paladini" della biodiversità italiana, e garantiscono la vitalità del nostro patrimonio ambientale e i servizi indispensabili alla vita che offre a tutti noi – ha dichiarato Stefano Leoni, presidente del WWF Italia – Mentre a Nagoya i Governi del mondo intero discutono, dichiarano e promettono obiettivi globali che ci auguriamo saranno efficaci e soprattutto raggiunti, sul territorio si realizzano ogni giorno, e nonostante finanziamenti sempre più scarsi, progetti concreti e 'buone pratiche' che fanno rinascere le nostre specie, ridanno salute ai nostri ecosistemi e restituiscono agli italiani ambienti impagabili da vivere e rispettare."
 
Per garantire la sopravvivenza di questa "task force" per la biodiversità, nei giorni scorsi il WWF ha lanciato l'appello "Metti in conto la natura" per il finanziamento pubblico alla ricerca scientifica e alla conservazione della natura, e per scongiurare i tagli ai Parchi (meno 42%) e alle Regioni (meno 60%) minacciati dalla manovra economica, che rischiano di affossare l'intero sistema che ogni giorno lavora per proteggere la natura italiana, una natura "da record", che con le sue 57.468 specie animali e 12.000 specie vegetali (di cui gran parte purtroppo a rischio), è al primo posto in Europa per ricchezza di biodiversità.
 
A chiudere in bellezza la premiazione e il Mese della Biodiversità del WWF, la pennellata di Fulco Pratesi che ha completato con un cavaliere d'Italia, uccello simbolo delle zone umide toscane e del sistema delle Oasi WWF, l'ultimo spazio bianco della "Tela della biodiversità", coloratissima opera a più mani (di 2,5 x 1,5 metri), iniziata a maggio da una ventina di artisti italiani e firme internazionali come Bruce Pearson e Anne Shingleton, durante il primo raduno degli artisti naturalisti tenutosi ad Orbetello in occasione della Festa delle Oasi WWF.
 
"Il principale valore del Panda d'Oro sta proprio nella sua 'biodiversità' che comprende specie in pericolo come il camoscio appenninico e l'ululone, ecosistemi preziosi come le dune e le paludi, reliquie millenarie come gli ulivi e coraggiosi paladini della natura come Milena Gabanelli e Bruno Giordano, con la speranza di un futuro migliore per tutta la biodiversità del Bel Paese" ha concluso Fulco Pratesi, presidente onorario del WWF Italia.
 
L'edizione speciale del Panda d'Oro per l'Anno Internazionale della Biodiversità ha ricevuto il riconoscimento del Presidente della Repubblica che ha voluto conferire al premio Panda d'Oro la propria Medaglia. Il Panda d'Oro 2010 ha ottenuto anche il patrocinio della Camera dei Deputati, Ministero dell'Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero delle Politiche agricole e forestali del Ministero dei Beni e Attività Culturali, della Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome.
 

21 set 2012

L'UOVO NERO di Luigi Capuana .. racconto

L'UOVO NERO

C'era una volta una vecchia che campava di elemosina, e tutto quello che buscava, lo divideva esattamente: metà lei, metà la sua gallina.
Ogni giorno, all'alba, la gallina si metteva a schiamazzare; avea fatto l'uovo. La vecchia lo vendeva un soldo, e si comprava un soldo di pane. La crosta la sminuzzava a quella, la midolla se la mangiava lei: poi andava attorno per l'elemosina.
Ma venne una mal'annata. Un giorno la vecchina tornò a casa senza nulla.
- Ah, gallettina mia! Oggi resteremo a gozzo vuoto.
- Pazienza ci vuole! Mangeremo domani.
Il giorno appresso, sul far dell'alba, la gallina si mise a schiamazzare. Invece d'un uovo, ne aveva fatti due, uno bianco e l'altro nero.
La vecchia andò fuori per venderli. Quello bianco lo vendé subito; quello nero, nessuno voleva credere che fosse uovo di gallina. La vecchina comprò il solito soldo di pane, e tornò a casa:
- Ah, gallinetta mia! L'uovo nero non lo vuol nessuno.
- Portatelo al Re.
La vecchia lo portò al Re.
- Che uovo è questo?
- Maestà, di gallina.
- Quanto lo fai?
- Maestà, quello che il cuore v'ispira.
- Datele cento lire.
La vecchina, con quelle cento lire, si credette più ricca di Sua Maestà.
Giusto in quei giorni la Regina avea posta una gallina, e alle uova messe a covare aggiunse anche quello. Ma la chioccia non lo covò.
Il Re fece chiamare la vecchia:
- Quell'uovo era barlaccio.
- Maestà, non può essere; la gallina l'avea fatto lo stesso giorno.
- Eppure non è nato.
- Bisognava lo covasse la Regina.
La cosa parve strana. Ma la Regina, curiosa, disse:
- Lo coverò io.
E se lo mise in seno. Dopo ventidue giorni, sentì rompersi il guscio. Venne fuori un pulcino bianco ch'era una bellezza.
- Maestà, Maestà! Fatemi la zuppa col vino.
E pigolava.
- Sei galletto o pollastra?
- Maestà, son galletto.
- Canta.
- Chicchirichì!
Era proprio galletto. E diventò il divertimento di tutta la corte. Ma più cresceva e più si faceva impertinente. A tavola beccava nei piatti del Re e della Regina; razzolava, come se nulla fosse, nei piatti dei Ministri, che non osavano dirgli sciò per rispetto del Re; girava di qua e di là per tutte le stanze del palazzo reale, s'appollaiava dovunque, e insudiciava e riempiva ogni cosa di pollìna. E poi tutto il giorno:
- Chicchirichì! Chicchirichì!
Rintronava le orecchie. La gente del palazzo reale non ne poteva più.
Un giorno la Regina s'era fatta un vestito nuovo ch'era una meraviglia, ed era costato un sacco di quattrini. Prima che lo indossasse, va il galletto e glielo insudicia.
La Regina montò sulle furie:
- Sporco galletto! Per questa volta passi. Un'altra volta te la farò vedere io!
E ordinò alla sarta un altro vestito più ricco di quello. La sarta ci si messe con impegno; figuriamoci che vestito!... Ma prima che la Regina lo indossasse, va il galletto e glielo insudicia.
La Regina perdé il lume degli occhi:
- Sporco galletto! Ora ti concio io. Chiamatemi il cuoco.
Il cuoco si presentò.
- Mi si faccia con cotesto galletto una buona tazza di brodo.
In cucina gli tirarono il collo e lo messero a lessare. Appena la pentola diè il primo bollore:
- Chicchirichì!
Il galletto era scappato fuori, come se non gli avessero mai tirato il collo e non lo avessero mai pelato e abbrustolito.
Il cuoco corse dalla Regina:
- Maestà, il galletto è risuscitato!
La cosa era troppo strana, e il galletto diventò prezioso. Tutti lo guardavano con rispetto; qualcuno anche con un po' di paura. Ed esso se n'abusava. A tavola beccava peggio di prima, nei piatti del Re e della Regina; razzolava, come se nulla fosse, nei piatti dei Ministri che non osavano dirgli sciò per rispetto del Re; s'appollaiava dovunque, insudiciava perfino il soglio reale e lo riempiva di pollìna. E poi, notte e giorno: chicchirichì! chicchirichì! Rintronava gli orecchi. E il popolo imprecava a denti stretti:
- Accidempoli al galletto e a chi lo fa allevare!
Un giorno Sua Maestà dovea scrivere a un altro Re. Prese carta, penna e calamaio, fece la lettera e la lasciò sul tavolino ad asciugare. Va il galletto e gliela insudicia, proprio dov'era la firma.
- Sporco galletto! Per questa volta passi. Un'altra volta te la farò vedere io!
Il Re scrisse di bel nuovo la lettera, e la lasciò sul tavolino ad asciugare. Va il galletto, e gliela insudicia, proprio dov'era la firma.
Il Re perdé il lume degli occhi:
- Sporco galletto! Ora ti concio io! Chiamatemi il cuoco.
Il cuoco si presentò.
- Mi si faccia arrosto pel pranzo.
In cucina gli tirarono il collo e lo infilzarono nello spiedo.
Quando fu l'ora del pranzo, il cuoco lo servì in tavola. Sua Maestà cominciò a dividerlo, a chi un'ala, a chi una coscia, a chi un po' di petto, a chi il codione: serbò per sé il collo e la testa colla cresta e coi bargigli.
Avea terminato appena di mangiare, che dal fondo del suo stomaco sente scoppiare:
- Chicchirichì!
Fu una costernazione generale. Chiamarono tosto i medici di corte.
Bisognerebbe spaccar la pancia del Re; ma chi ci si mette?
E il galletto, di tanto in tanto, dal fondo dello stomaco di Sua Maestà, dava la voce:
- Chicchirichì!
- Chiamatemi la vecchia - disse il Re.
Appunto essa veniva a domandar l'elemosina al palazzo reale, e la condussero su.
- Strega del diavolo! Che malìa hai tu fatta a quell'uovo? Ho mangiato la testa del galletto, ed esso mi canta dentro lo stomaco. Se non me ne liberi, tienti per morta!
- Maestà, datemi un giorno di tempo.
E tornò subito a casa:
- Ah, gallettina mia! Sono stata chiamata dal Re: "Ho mangiato la testa del galletto, ed esso mi canta dentro lo stomaco". Se non lo libero, sarò morta!
- Vecchia mia, questo è nulla. Domani prenderai un po' di becchime, tornerai dal Re e farai: billi! billi! Sentendo la tua voce, il galletto verrà fuori.
E così fu.
La cosa era troppo strana. Il galletto diventò famoso, e tornò a fare peggio di prima.
Una mattina, avanti l'alba:
- Chicchirichì! Maestà, vo' una gallina.
- E diamogli una gallina!
Il giorno appresso, avanti l'alba:
- Chicchirichì! Maestà, vo' un'altra gallina.
- E diamogli un'altra gallina!
Insomma, ne volle due dozzine.
Un'altra mattina, avanti l'alba:
- Chicchirichì! Maestà, vo' gli sproni d'oro.
E sproni d'oro siano!
Il galletto, ch'era diventato un bel gallo, con quegli sproni d'oro si pavoneggiava attorno, beccando questo e quello.
Un'altra volta, avanti l'alba:
- Chicchirichì! Maestà, vo' la cresta doppia d'oro.
- E cresta doppia d'oro sia!
Il Re cominciava a stufarsi; ma il gallo, con quegli sproni d'oro e quella cresta doppia d'oro, si pavoneggiava attorno, beccando questo e quello.
Finalmente un'altra mattina, avanti l'alba:
- Chicchirichì! Maestà, vo' mezzo regno; ho corona al par di voi!
Al Re scappò la pazienza:
- Levatemelo di torno, questo gallaccio impertinente!
Ma come fare? Ammazzarlo era inutile; risuscitava sempre. Portarlo lontano non concludeva nulla: sarebbe tornato. Prenderlo colle buone era peggio; rispondeva canzonando: - Chicchirichì! Il Re, disperato, mandò a chiamare la vecchia:
- Se non mi liberi del gallo, ti fo mozzare la testa!
- Maestà, datemi un giorno di tempo.
E tornò subito a casa:
- Ah, gallinetta mia! Sono stata chiamata dal Re: "Se non mi liberi del gallo, ti fo mozzare la testa". Che debbo rispondere?
- Rispondi: "Maestà, voi non avete figliuoli; adottatelo per figliuolo, si cheterà".
Il Re, messo colle spalle al muro, risolvette di adottarlo. Ma giovò poco.
Con tutte quelle galline, il palazzo reale era diventato un pollaio. Il Re, la Regina, i Ministri, le dame di corte, i servitori, tutti si sentivan pieni di pollìna dalla testa ai piedi, e non potevano reggere. E poi, schiamazzate di qua, chicchiriate di là; aveano il capo come un cestone.
Il popolo imprecava a denti stretti:
- Accidempoli al gallo, alle galline e a che li fa allevare!
- Senti, strega - disse il Re. - Se fra un giorno non mi spazzi gallo e galline, pagherai con la tua testa.
- Maestà, qui ci vuole la fata Morgana; mandatela a chiamare.
Il Re mandò a chiamare la fata Morgana. La Fata rispose:
- Chi vuole vada, chi non vuole mandi.
E il Re dovette andarci egli stesso in persona.
- Maestà, finché quel gallo non sarà diventato un uomo al pari di voi, non avrete mai pace.
- Ma che cosa ci vuole, perché diventi un uomo al pari di me?
- Ci vuol tre sorta di becchime. Fate tre solchi colle vostre mani, e spargete queste tre sementi. Mietete, trebbiate, senza mescolare il grano, e poi dite:
Billi, billi!
Chi gli piace se ne pigli!
E spargerete per terra questo grano qui. Quando non ne rimarrà più un chicco:
Billi, billi!
Chi gli piace se ne pigli!
E spargerete per terra quest'altro grano. Quando non ne rimarrà più un chicco:
Billi, billi!
Chi gli piace se ne pigli!
E spargerete per terra l'ultimo grano.
Il Re s'ingegnò di far tutto a puntino. Quando fu il momento:
- Billi, billi!
Chi gli piace se ne pigli!
E una metà delle galline morì.
- Billi, billi!
Chi gli piace se ne pigli!
E il resto delle galline morì.
- Billi, billi!
Chi gli piace se ne pigli!
Il gallo si mise a beccare lui solo, e appena beccato l'ultimo grano, si ritirò, s'allungò, chicchirichì! Si scosse le penne d'addosso e diventò un giovane alto e bello. Di gallo gli eran rimasti soltanto la cresta e gli sproni. Ma non importava.
Il Re disse al popolo:
- Non ho figliuoli, e questo qui sarà il Reuccio. Rispettatelo per tale.
- Viva il Reuccio! Viva il Reuccio!
Ma, sottovoce, dicevano:
- Staremo a vedere. Chi gallo nasce dee chicchiriare.
Il Reuccio, dopo parecchi mesi, diventò malinconico. Voleva star solo, non parlava con nessuno.
- Che cosa avete, figliuolo mio?
- Maestà, nulla.
Non lo voleva dire, provava rossore, ma sentiva una gran voglia di far chicchirichì!
Chiamarono i medici di corte; chiamarono anche quelli fuori del regno, i più valenti. Non ci capivano niente.
- Forse il Reuccio voleva moglie?
- Non voleva moglie.
- Ma dunque che cosa voleva? Qualunque cosa avesse voluto, gli sarebbe stata concessa.
- Vorrei... fare chicchirichì!
Bisognò permetterglielo: e si sfogò tutta la giornata.
Allora gli tagliarono la cresta, e quella voglia non la ebbe più.
E il popolo:
- Staremo a vedere! Chi da gallina nasce convien che razzoli.
Dopo parecchi mesi il Reuccio tornò ad essere malinconico. Voleva star solo, non parlava con nessuno.
- Che cosa avete, figliuolo mio?
- Maestà, nulla.
Non lo voleva dire, provava rossore, ma sentiva una gran voglia d'uscir fuori a razzolare.
Tornarono a chiamare i dottori, ma non ci capivano niente.
- Forse il Reuccio voleva moglie?
- Non voleva moglie.
- Ma dunque che cosa voleva? Qualunque cosa avesse chiesta, gli sarebbe stata concessa.
- Vorrei... uscir fuori a razzolare!
E bisognò permetterglielo.
Allora gli strapparono gli sproni, e quella voglia non la ebbe più.
Venne il tempo di dargli moglie:
- Vi piacerebbe, figliuolo mio, la Reginotta di Spagna?
- Maestà, dovendo sposare,... vorrei sposare una pollastra!
Si era dunque sempre daccapo?
Il Re quel giorno avea le paturne. Tira fuori la sciabola e gli taglia la testa.
Ma, invece di sangue d'uomo, gli uscì fuori sangue di pollo.
Si presentò allora la vecchina:
- Maestà, ecco, è finita.
Gli riappiccicò il capo collo sputo, e il Reuccio tornò vivo.
Ora ch'era un uomo davvero stette tranquillo, e di lì a poco si sposò colla Reginotta di Spagna. Poi diventarono Re e Regina, e fecero un po' di bene.
E la fiaba finisce.






23 lug 2011

XV edizione del Trofeo Stambeccod’Oro Gran Paradiso International Nature FilmFestival


Aosta, venerdì 22luglio 2011
L’Assessore al turismo, sport, commercio e trasporti,Aurelio Marguerettaz, ha presentato oggi, venerdì 22luglio, a margine della conferenza stampa di Giunta, la XVedizione del Trofeo Stambecco d’Oro – Gran ParadisoInternational Nature Film Festival, che si svolgerà,dal 22 al 27 agosto 2011, in sei località: Cogne,Rhêmes-Saint-Georges, Valsavarenche, Villeneuve, Locana eValtournenche. 

Il Trofeo Stambecco d’oro, uno dei maggiori festivalinternazionali dedicati al cinema naturalistico, è improntatoalla diffusione e alla valorizzazione di una produzionecinematografica che, attraverso filmati, ma anche con iniziativecollaterali quali l’organizzazione di un ciclo di conferenzedal titolo De Rerum Natura e un workshop di cinematografianaturalistica dal titolo Espace Vidéo, consente unapprofondimento sul rapporto tuomo-scienza-natura.

 

Da quest’anno, l’organizzazione del FestivalStambecco d’Oro è coordinata dalla Fondation GrandParadis, in collaborazione con Ente Progetto Natura (ideatore delFestival nel 1984 e organizzatore fino all'edizione 2009), con ilsostegno della Regione Autonoma Valle d'Aosta e la partecipazionedel Parco Nazionale Gran Paradiso e dei Comuniinteressati.

 

«E’un’iniziativa– ha commentato l’Assessore Marguerettaz – che,svolgendosi nell’ideale cornice del Parco Naturale del GranParadiso, è dotata di una capacità attrattiva anche dalpunto di vista turistica, valorizzando quelle che sono le nostreeccellenze. Grazie poi al coinvolgimento delle comunitàlocali, attraverso le numerose iniziative, la manifestazione siarricchisce di un impatto diretto sullo sviluppo economico delterritorio».

 

A proposito dell’offertacinematografica della quindicesima edizione del Festival, LuisaVuillermoz, Direttore dellaFondation Grand Paradis, haspiegato: «I 10 filmin concorso per il XV trofeo Stambecco d'oro sono rappresentativi dellamaestosità della Natura della terra, così come leimmagini di altissima qualità provenienti da ogni parte delmondo e l’originalità dei soggetti proposti offrirannoal pubblico uno spettacolo di sicura suggestione. Il Festivalè un evento di grande rilievo per tutti gli appassionati dicinema e di natura, ma non è solo un evento culturale. Lospirito del festival è quello di approfondire la conoscenzadel patrimonio naturale che ci circonda per maturare unasensibilità di pieno rispetto dello stesso. Etica ed esteticasi intrecciano e si confondono. A questa filosofia, che èanche un modello di sviluppo turistico per il Parco Nazionale GranParadiso, sono improntate tutte le iniziative del festival, daglieventi collaterali a tema ai pacchetti vacanza che premiano le sceltesostenibili».

11 nov 2013

Pensioni d'oro e costituzione... la difesa della Consulta lascia perplessi

Le pensioni d'oro ci costano tanto, si dice che una minoranza, circa 100 mila persone, si prendano ben 90 miliardi in pensioni d'oro, ovvero assegni di decine di migliaia di euro al mese.
La consulta li difende a spada tratta, lasciando molti sospetti nella gente: i pensionati d'oro spesso sono politici e dirigenti pubblici, che si sono trovati, per strani accordi del passato, somme enormi, veri vitalizzi da ricconi sulle spalle degli italiani, sui disoccupati, sui miseri che pagano le tasse.
E' strano che i diritti alla salute, al nutrimento dei cittadini, alla casa non siano considerati dalla Consulta, come queste pensioni d'oro... è tutto molto strano.

19 ott 2011

LINGOTTI D’ORO - PONTE CHIASSO SEQUESTRATI 7 LINGOTTI D’ORO



Durante un controllo effettuato presso il valico stradale di Maslianico, i funzionari della Dogana di Ponte Chiasso hanno scoperto 7 lingotti d’oro di 1 chilogrammo ciascuno, a bordo di  un automezzo guidato da un cittadino tedesco diretto in Svizzera. 
Il trasgressore, che non aveva dichiarato il “prezioso carico” custodito all’interno di una valigetta, era in possesso della certificazione rilasciata da una banca svizzera che ne attestava il grado di  purezza e il valore, ma non delle necessarie attestazioni della Banca d’Italia.
Infatti, secondo quanto previsto dalla legge italiana, chiunque effettui il trasferimento di oro da o verso l'estero ha l'obbligo, per importi superiori a  10.329 euro, di dichiarare il tutto alla Banca d'Italia. 
L’oro è stato quindi sequestrato  e il possessore denunciato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Como.

30 apr 2013

Fides di Pascoli



Fides

Quando brillava il vespero vermiglio,
e il cipresso pareva oro, oro fino,
la madre disse al piccoletto figlio:
Così fatto è lassù tutto un giardino.
Il bimbo dorme, e sogna i rami d'oro,
gli alberi d'oro, le foreste d'oro;
mentre il cipresso nella notte nera
scagliasi al vento, piange alla bufera.


14 mag 2013

I TRE ANELLI di Luigi Capuana -- racconto

I TRE ANELLI

C'era una volta un sarto, che aveva tre figliuole, una più bella dell'altra. Sua moglie era morta da un pezzo, e lui si stillava il cervello per riuscire a maritarle. Le ragazze non avevano dote, e senza dote un marito è un po' difficile a trovarsi.
Un giorno questo povero padre pensò d'andarsene in una pianura e chiamare la Sorte:
- Sorte, o Sorte!
Gli apparve una vecchia, colla conocchia e col fuso:
- Perché mi hai tu chiamata?
- Ti ho chiamata per le mie figliuole.
- Menale qui ad una ad una; si sceglieranno la sorte colle loro mani.

Il buon uomo, tornato a casa tutto contento, disse alle figliuole:
- La vostra fortuna è trovata!
E raccontò ogni cosa. Allora la maggiore si fece avanti, ringalluzzita:
- La prima scelta tocca a me. Sceglierò il meglio!
Il giorno dopo, padre e figliuola si avviarono per quella pianura:
- Sorte, o Sorte!
Gli apparve una vecchia, colla conocchia e col fuso:
- Perché m'hai tu chiamata?
- Ecco la mia figliuola maggiore.

La vecchia cavò di tasca tre anelli, uno d'oro, uno d'argento, uno di ferro e li mise sulla palma della mano:
- Scegli, e Dio t'aiuti!
- Questo qui.

Naturalmente prese l'anello d'oro.
- Maestà, vi saluto!
La vecchia le fece un inchino e sparì.
Tornati a casa, la sorella maggiore, pavoneggiandosi, disse alle altre due:
- Diventerò Regina! E voi reggerete lo strascico del manto reale!
Il giorno dopo andò col padre l'altra figlia.
Comparve la vecchia colla conocchia e col fuso, e cavò di tasca due anelli, uno d'argento ed uno di ferro:
- Scegli, e Dio t'aiuti!
- Questo qui.

E, s'intende, prese quello d'argento.
- Principessa vi saluto!
La vecchia le fece un inchino e sparì.
Tornata a casa, quella disse alla maggiore:
- Se tu sarai Regina, io sarò Principessa!
E tutt'e due si diedero a canzonare la sorella minore:
- Che volete? Chi tardi arriva male alloggia. Dovea venire al mondo prima.
Lei zitta.
Il giorno dopo andò col padre la figliuola minore.
Comparve la vecchia colla conocchia e col fuso e cavò di tasca, come la prima volta, tre anelli, uno d'oro, uno d'argento e uno di ferro:
- Scegli, e Dio t'aiuti!
- Questo qui.

Con gran rabbia di suo padre, avea preso quello di ferro.
La vecchia non le disse nulla, e sparì.
Per la strada il sarto continuò a brontolare:
- Perché non quello d'oro?
- Il Signore m'ispirò così.

Le due sorelle, curiose, vennero ad incontrarla per le scale.
- Facci vedere! Facci vedere!
Come videro l'anello di ferro, si contorcevano dalle risa e la canzonavano. Saputo poi che lo avea scelto fra uno d'oro e uno d'argento, per grulla la presero e per grulla la lasciarono.
E lei, zitta.
Intanto si sparse la voce che le tre belle figliuole del sarto avevano gli anelli della buona sorte. Il Re del Portogallo dovea prender moglie e venne a vederle. Rimase ammaliato dalla maggiore:
- Siate Regina del Portogallo!
La sposò con grandi feste e la menò via.
Poco dopo venne un Principe. Rimase ammaliato dalla seconda.
- Siate Principessa!
La sposò con grandi feste e la menò via.
Restava l'ultima. Non la chiedeva nessuno.
Un giorno, finalmente, si presentò un pecoraio:
- Volete darmi questa figliuola?
Il sarto, che ne aveva una Regina ed una Principessa, era montato in superbia e rispose:
- Il pecoraio, scusate, noi per ora ce l'abbiamo.
Stava per passare un altr'anno. La minore restava sempre in casa, e il padre non faceva altro che brontolare giorno e notte:
- Le stava bene, stupidona! Sarebbe rimasta in un canto, con quel suo anello di ferro.
E all'anno appunto, tornò a presentarsi il pecoraio:
- Volete darmi quella figliuola?
- Prendila - rispose il sarto. - Non si merita altro!

Si sposarono, senza feste e senza nulla, e la menò via.
Allora il sarto disse:
- Voglio andar a visitare la mia figliuola Regina.
La trovò che piangeva.
- Che cos'hai, figliuola mia?
- Sono disgraziata! Il Re vorrebbe un figliuolo, ed io non posso farne. I figliuoli li dà Dio.
- Ma l'anello della buona fortuna non giova a nulla?
- Non giova a nulla. Il Re mi ha detto: "Se fra un anno non avrò un figliuolo, guai a te!". Son certa, babbo mio, che mi farà tagliar la testa.

Quel povero padre, come potea rimediare? E partì per far visita alla figliuola Principessa. La trovò che piangeva.
- Che cos'hai, figliuola mia?
- Sono disgraziata! Tutti i figliuoli che faccio mi muoiono dopo due giorni.
- E l'anello della buona fortuna non giova a nulla?
- Non giova a nulla. Il Principe mi ha detto: "Se questo che hai nel seno morrà anche lui, guai a te!". Son certa, babbo mio, che mi farà scacciar di casa!

Quel povero padre che potea farci? E partì.
Per via gli nacque il pensiero d'andar a vedere l'altra figliuola, quella del pecoraio. Ma aveva vergogna di presentarsi. Si travestì da mercante, prese con sé quattro ninnoli da vendere e, cammina, cammina, arrivò finalmente in quelle contrade lontane.
Vide un magnifico palazzo stralucente, e domandò a chi appartenesse.
- È il palazzo del re Sole.
Mentre stava lì a guardare, stupito, sentì chiamarsi da una finestra:
- Mercante, se portate bella roba, montate su. La Regina vuol comprare.
Montò su, e chi era mai la Regina? La sua figliuola minore, la moglie del pecoraio. Quello rimase di sasso; non potea neppure aprir le cassette degli oggetti da vendere.
- Vi sentite male, poverino? - gli disse la Regina.
- Figliuola mia, sono tuo padre! E ti chiedo perdono!

Lei, che l'aveva riconosciuto, non permise che le si gettasse ai piedi, e lo ricevé tra le braccia:
- Siate il ben venuto! Ho dimenticato ogni cosa. Mangiate e bevete, ma prima di sera andate via. Se re Sole vi trovasse, rimarreste incenerito.
Dopo che quello ebbe mangiato e bevuto, la figliuola gli disse:
- Questi doni son per voi. Questa nocciuola è per la sorella maggiore: questa boccettina di acqua per l'altra. La nocciuola, dee inghiottirsela col guscio; l'acqua, dee berne una stilla al giorno, non più. E che badino, babbo!
Quando le due sorelle intesero la bella fortuna toccata alla minore e videro quella sorta di regali che loro inviava, arsero d'invidia e di dispetto:
- Si beffava di loro con quella nocciuola e con quell'acqua!
La maggiore buttò la nocciuola in terra, e la pestò col calcagno. La nocciuola schizzò sangue. C'era dentro un bambino piccino piccino: lei gli aveva schiacciata la testa!
Il Re, visto quell'atto di superbia e il bambino schiacciato:
- Olà! - gridò - levatemela d'innanzi; mozzatele il capo!
E, senza pietà né misericordia, la fece mettere a morte.
L'altra, nello stesso tempo, avea cavato il turacciolo alla boccetta e, affacciatasi a una finestra, n'avea versata tutta l'acqua.
Sotto la finestra passavano dei ragazzi che trascinavano un gatto morto. L'acqua cadde su questo, e il gatto risuscitò.
- Ah, scellerata! - urlò il Principe. - Hai tolto la sorte ai nostri figliuoli!
E in quel momento di furore, la strangolò colle sue mani.
Il babbo tornò dalla figliuola minore, e raccontò, piangendo, quelle disgrazie.
- Babbo mio, mangiate e bevete, e prima di sera andate via. Se re Sole vi trovasse, rimarreste incenerito. Appena avrò buone notizie, vi manderò a chiamare.
La sera tornò re Sole, e lei gli domandò:
- Maestà, che cosa avete visto nel vostro viaggio?
- Ho visto tagliar la testa a una Regina e strangolare una Principessa. Se lo meritavano.
- Ah, Maestà, eran le mie sorelle! Ma voi potete risuscitarle; non mi negate questa grazia!
- Vedremo! - rispose re Sole.

Il giorno dopo, appena fu giunto nel luogo dov'era seppellita la Regina, picchiò sulla fossa e disse:
- Tu che stai sotto terra,
Mi manda la tua sorella;
Se dal buio volessi uscire,
Del mal fatto ti déi pentire.
- Rispondo a mia sorella:
Sto bene sotto terra.
Dio gli dia male e malanno!
Vo' la nuova avanti l'anno!
- Resta lì, donnaccia infame!
E il re Sole continuò il suo viaggio. Arrivato dov'era stata sepolta la Principessa, picchiò sulla fossa e disse:
- Tu che stai sotto terra,
Mi manda la tua sorella;
Se vuoi tornare da morte a vita,
Del mal fatto sii pentita!
- Rispondo a mia sorella:
Sto bene sotto terra.
Male occulto o mal palese,
Vo' la nuova avanti un mese!
Resta lì, donnaccia infame!
Re Sole continuò il suo viaggio, e quelle due sorelle se le mangiarono i vermi.
Stretta è la foglia, larga è la via.
Dite la vostra, ché ho detto la mia.




RANOCCHINO di Luigi Capuana . racconto


RANOCCHINO

Questa è la bella storia di Ranocchino porgi il ditino, e sentirete qui appresso perché si dica così.
Si racconta dunque che c'era una volta un povero diavolo, il quale aveva sette figliuoli, che se lo rodevano vivo. Il maggiore contava dieci anni, e l'ultimo appena due.
Una sera il babbo se li fece venire tutti dinanzi.
- Figliuoli - disse - son due giorni che non gustiamo neppure un gocciolo d'acqua, ed io, dalla disperazione, non so più dove dar di capo. Sapete che ho pensato? Domani mi farò prestar l'asino dal nostro vicino, gli porrò le ceste e vi porterò attorno per vendervi. Se avete un po' di fortuna, si vedrà.
I bimbi si misero a strillare; non volevano esser venduti, no! Solo l'ultimo, quello di due anni, non strillava.
- E tu, Ranocchino? - gli domandò il babbo, che gli avea messo quel nomignolo perché era piccino quanto un ranocchio.
- Io son contento - rispose.

E la mattina quel povero diavolo se lo prese in collo, e cominciò a girare per la città.
- Chi mi compra Ranocchino! Chi mi compra Ranocchino!
Ma nessuno lo voleva, un cosino a quella maniera!
S'affacciò alla finestra la figlia del Re.
- Che cosa vendete, quell'uomo?
- Vendo questo bimbo, chi lo vuol comprare.

La Reginotta lo guardò, fece una smorfia e gli sbatacchiò le imposte sul viso.
- Bella grazia! - disse quel povero diavolo. E riprese ad urlare:
- Chi mi compra Ranocchino! Chi mi compra Ranocchino!

Ma nessuno lo voleva, un cosino a quella maniera!
Quel povero diavolo non avea coraggio di tornare a casa, dove gli altri figliuoli lo aspettavano come tant'anime del purgatorio, morti di fame.
Ranocchino intanto gli s'era addormentato addosso.
Allora lui pensò ch'era meglio ammazzarlo, piuttosto che vederlo patire: gli avrebbe ammazzati tutti, quei figliuoli, ad uno ad uno; e cominciava da questo!
Era già sera: e, uscito fuor di città, si ridusse in una grotta, dove non poteva esser veduto da nessuno. Adagiò per terra il bimbo che dormiva tranquillamente, e prima d'ammazzarlo si mise a piangerlo:
- Ah, coricino mio!
E debbo ammazzarti con queste mani, debbo ammazzarti!
Ah, Ranocchino mio!
E non ti vedrò più per la casa, non ti vedrò!
Ah, coricino mio!
E chi fu la strega che te lo cantò in culla, chi fu?
Ah, Ranocchino mio!
E debbo ammazzarti con queste mani, debbo ammazzarti!
Spezzava il cuore perfino ai sassi.
- Che cosa è stato, che piangi così?
Il povero diavolo si voltò e vide una vecchia seduta a traverso la bocca della grotta, con un bastoncello in mano.
- Che cosa è stato! Ho sette figliuoli piccini e moriamo tutti di fame. Per non vederli più patire, ho deliberato d'ammazzarli; e comincio da questo.
- Come si chiama?
- Si chiama Beppe; ma noi gli diciamo Ranocchino.
- E Ranocchino sia!

La vecchia toccava appena il bimbo col bastoncello, che quegli era già diventato un ranocchio e saltellava qua e là.
Il povero padre rimase spaventato.
- Fatti coraggio! - gli disse la vecchia - Fruga in quel canto; c'è del pane e del formaggio: mangerete per questa sera. Domani a mezzogiorno, aspettami sotto le finestre del palazzo reale: sarà la tua fortuna.
Quando i figliuoli lo videro tornare senza il fratellino, si misero a strillare.
- Zitti! Ecco del pane e del formaggio.
- Ma Ranocchino dov'è?
- È morto!

Disse così per non esser seccato.
E il giorno appresso, prima dell'ora fissata, andava ad appostarsi sotto le finestre del palazzo reale. Aspetta, aspetta, la vecchia non compariva. La figlia del Re era a una finestra, che si pettinava. Lo riconobbe e gli domandò, per canzonatura:
- O quell'uomo, e Ranocchino ve l'han comprato?
Ma prima che quello rispondesse, ecco la vecchia con una coda di gente dietro. La gente fece crocchio e la vecchia, nel mezzo, diceva:
- Ranocchino, porgi il ditino!
E Ranocchino stendeva la zampina e porgeva il ditino alla vecchia. Gli altri avevano un bel dirgli: - Ranocchino, porgi il ditino -; non se ne dava per inteso. Una meraviglia non mai vista. E tutti pagavano un soldo.
La Reginotta fece chiamar la vecchia sotto la finestra; voleva veder anche lei.
- Ranocchino, porgi il ditino!
Rimase ammaliata. E corse subito dal Re.
- Babbo, se mi vuoi bene, devi comprarmi quel Ranocchino.
- Che vorresti tu farne?
- Allevarlo nelle mie stanze: mi divertirò.

Il Re acconsentì.
- Buona donna, quanto volete di quel Ranocchino?
- Maestà, lo vendo a peso d'oro. È quel che vale.
- Voi canzonate, vecchia mia.
- Dico davvero. Domani varrà il doppio. Ranocchino, porgi il ditino!

E Ranocchino stendeva la zampina e porgeva il ditino alla vecchia. Gli altri avevano un bel dirgli: - Ranocchino, porgi il ditino -; non se ne dava per inteso.
- Vedi? - disse il Re alla Reginotta. - Occorre anche la vecchia.
La Reginotta non s'era provata.
- Ranocchino, porgi il ditino!
Ranocchino spiccò un salto, le fece una bella riverenza e le porse il ditino.
Allora bisognò comprarlo: se no, la Reginotta non si chetava.
Posero Ranocchino in un piatto della bilancia e un pezzettino d'oro nell'altro, ma la bilancia non lo levava. Possibile che quel Ranocchino pesasse tanto? Colmarono d'oro il piatto ma la bilancia non lo levava. La Reginotta e la Regina si tolsero gli orecchini, gli anelli, i braccialetti e li buttarono lì. Nulla! Il Re si tolse la cintura, ch'era d'oro massiccio, e la buttò lì. Nulla!
- Anche la corona! Vorrei ora vedere!...
Allora la bilancia levò esatta; non mancava un pelo.
La vecchia si rovesciò quel mucchio d'oro nel grembiule e andò via.
Quel povero diavolo l'attendeva all'uscita.
- Tieni!
E gli riempì le tasche.
- Però bada! Spendi tutto a tuo piacere; ma la corona reale, se tu la vendi o la perdi, guai a te!
La Reginotta si spassava, tutto il giorno, con Ranocchino.
- Ranocchino, porgi il ditino!
Era una bellezza. Lo teneva sempre in mano, lo portava seco dovunque. A tavola, Ranocchino dovea mangiare nel piatto di lei.
- Una cosa sconcia! - diceva la Regina.
Ma quella era figlia unica, e le perdonavano tutti i capricci.
Arrivò il tempo che la Reginotta dovea andare a marito. L'avea chiesta il Reuccio del Portogallo, e il Re e la Regina n'eran contentissimi. Lei disse di no:
Voleva sposare Ranocchino!
Poteva darsi? Intanto non c'era verso di persuaderla.
- O Ranocchino, o nessuno!
- Te lo do io Ranocchino!

E il Re, afferratolo per una gambetta, stava per sbatacchiarlo sul pavimento; ma entrò un'aquila dalla finestra che glielo strappò di mano e sparì.
La Reginotta piangeva giorno e notte. Povera figliuola, faceva pena! E tutta la corte stava in lutto.
Intanto in casa di Ranocchino pareva tutti i giorni carnovale. Spendi e spandi; mezzo vicinato banchettava lì e i danari andavano via a fiumi. Finalmente non ci fu più il becco d'un quattrino.
- Babbo, vendiamo la corona reale.
- La corona reale non si tocca!
- Si dee crepar di fame? Vendiamola!
- La corona reale non si tocca.

Quel povero diavolo tornò nella grotta in cerca della vecchia, e si mise a piangere.
- Che cosa è stato?
- Mammina mia, i quattrini son finiti e quei figliuoli vorrebbero vendere la corona reale; ma io non l'ho permesso.
- Fruga in quel canto. C'è del pane e del formaggio; mangerete per questa sera. Domani a mezzogiorno, aspettami sotto le finestre del palazzo reale: sarà la tua fortuna.

Tornò a casa, e trovò una tragedia! Cinque figliuoli erano stesi morti per terra in un lago di sangue; uno respirava appena:
- Ah, babbo mio! È venuta un'aquila forte e picchiò alla finestra. "Ragazzi, fatemi vedere la corona reale." "Il babbo la tiene sotto chiave." "E dove l'ha riposta?" "In questa cassa." Allora, a colpi di becco, cominciò a scassinarla; e siccome noi ci si opponeva, ci ha tutti ammazzati.
Detto questo, spirò.
Quel povero diavolo si sentì rizzare i capelli. I figliuoli morti e la corona sparita!
Il giorno dopo, quando vide la vecchia, le raccontò ogni cosa.
- Lascia fare a me! - rispose quella.
La Reginotta stava malissimo. I medici non sapevano più quali rimedi adoprare.
- Maestà, - dissero, all'ultimo - qui ci vuol Ranocchino, o la Reginotta è spacciata.
Il Re si disperava:
- Dove prenderlo quel maledetto Ranocchino? L'aquila lo aveva già digerito da un pezzo.
Si presentò la vecchia:
- Maestà, Ranocchino ve lo farei trovare io; ma ci vuole un gran coraggio.
- Mi lascerei anche fare a pezzi rispose il Re.
- Prendete un coltello di diamante, il più bel bue della mandria, una corda lunga un miglio, e venite con me.

Il Re prese il coltello di diamante, il più bel bue della mandria, una corda lunga un miglio, e partì insieme colla vecchia. Nessuno dovea seguirli.
Camminarono due giorni, e al terzo, verso il tramonto, giunsero in una pianura. Lì c'era la torre incantata, senza porte e senza finestre, alta un miglio.
- Ranocchino è qui! - disse la vecchia. - Quegli uccellacci che aliano attorno alla cima, sono i suoi carcerieri. Bisogna montare lassù.
- O come?
- Maestà, ammazzate il bue e vedrete.

Il Re ammazzò il bue.
- Maestà, scorticatelo e lasciate molta carne attaccata al cuoio.
Il Re lo scorticò e lasciò molta carne attorno al cuoio.
- Ora rivolteremo questo cuoio - disse la vecchia. - Io vi ci cucirò dentro. Scenderanno gli uccellacci e vi porteranno lassù. La notte, spaccherete il cuoio col coltello di diamante; e la mattina quando l'aquila e gli uccellacci saranno andati via per la caccia, attaccherete la corda alla cima, prenderete Ranocchino e la corona reale, metterete il coltello fra i denti e vi lascerete andar giù.
Il Re esitava.
- E se la corda si spezzasse?
- Tenendo il coltello fra i denti non si spezzerà.

Il Re, per amor della figliuola, si lasciò cucire dentro il cuoio. E, subito, ecco gli uccellacci di preda che lo afferrano cogli arti gli e se lo portano lassù.
La notte, spaccò il cuoio col coltello di diamante e andò a nascondersi in fondo a uno stanzino. Quando fu giorno, aspettò che l'aquila e gli uccellacci di preda andassero a caccia, attaccò la corda alla cima della torre, prese Ranocchino e la corona reale, e si lasciò andar giù.
E il coltello? L'aveva dimenticato.
Allora la corda cominciò a nicchiare:
- Ahi, ahi! Mi spezzo! Dammi da bere.
Come rimediare? Il Re si morse una vena del braccio e ne fece schizzar il sangue. Intanto scivolava giù.
Ma poco dopo la corda da capo:
- Ahi, ahi! Mi spezzo! Dammi da bere.
Il Re si morse la vena dell'altro braccio e ne fece schizzar il sangue. Intanto scivolava giù.
Ma la corda da capo:
- Ahi, ahi! Mi spezzo! Dammi da bere.
Il Re, visto che ci voleva pochino a toccar terra:
- E spezzati! - rispose.
Infatti si spezzò; ma lui, per sua fortuna, se la cavò con qualche ammaccatura. Per le vene ferite delle braccia la vecchia cercò un'erba, e gliele medicò con essa, e gli sanarono a un tratto.
Appena visto Ranocchino, la Reginotta cominciò a riaversi.
- Ranocchino, porgi il ditino!
E Ranocchino porgeva il ditino, e a lei soltanto.
Il Re, per finirla, voleva far subito le nozze. Ma la vecchia gli disse:
- Bisogna aspettare ancora un mese. Intanto fate preparare una caldaia d'olio bollente.
- A che farne?
- Lo saprete poi.

Quando fu il giorno, l'olio bolliva nella caldaia. Venne la vecchia e dietro a lei quel povero diavolo con un carro, su cui erano distesi i cadaveri dei sei figliuoli.
- Reginotta, - disse la vecchia - volete sposare Ranocchino? Bisogna prenderlo per un piede e tuffarlo tre volte in quell'olio.
La Reginotta esitava.
- Tuffami, tuffami! - le disse Ranocchino.
Allora lei lo tuffò. Uno, due! Ma la terza volta le scappa di mano e casca in fondo alla caldaia. La Reginotta si svenne.
Il Re voleva far ammazzare la vecchia; ma questa, afferrati in fretta in fretta quei morticini e buttatili nell'olio bollente, cominciò a rimestare col suo bastone, e intanto cantava:
Oh, il bel ranno! Oh, il bel ranno!
Presto fuori salteranno.
Infatti ecco il figlio maggiore che salta fuori vivo, il primo.
Oh, il bel ranno! Oh, il bel ranno!
Presto fuori salteranno.
E rimestava. Ed ecco saltar fuori il secondo. Così tutti e sei i fratellini.
- Oh, il bel ranno! Oh, il bel ranno!
Presto fuori salteranno.
E rimestava. Ma Ranocchino venne soltanto a galla e non saltò.
La Reginotta, appena lo scorse, tentò d'afferrarlo; la vecchia la trattenne.
- Voleva scottarsi? Doveva fare come al solito.
- Ranocchino, porgi il ditino!

Ranocchino porse il ditino alla Reginotta..., e chi uscì fuori? Un bel giovane che pareva un Sole.
La Reginotta lo riconobbe pel bimbo che quel povero diavolo volea vendere, e gli domandò scusa d'avergli sbatacchiato le impòste sul viso. Ranocchino, si capisce, le aveva già perdonato.
Si fecer le nozze con magnifiche feste, e Ranocchino, a suo tempo, ebbe la corona reale.
Chi la vuol cruda, chi la vuol cotta;
Chi non gli piace, me la riporti.