Lo slogan della Cgil per lo sciopero di venerdì 12 è: “Lavoro, fisco e cittadinanza cambiare si può”.
Si unisce in una sola lotta la posizione della Cgil, ostile alla modifica dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori sull'arbitrato per la risoluzione dei conflitti di lavoro: scelta che indebolirà non poco i lavoratori, specialmente i nuovi assunti in condizione precarie.
Sono quattro ore di sciopero per una nuova politica per il lavoro, che manca sempre di più, per il fisco equo, ovvero distribuito non solo sui lavoratori.
Infine c’è la questione tutta politica della cittadinanza ai lavoratori extracomunitari, faccenda squisitamente politica, che è stata inserita in questa macedonia sindacale.
Che l’art. 18 dei lavoratori sia stato modificato a svantaggio dei più deboli non lascia dubbi: è sempre meglio per i cittadini andare in tribunale, davanti a un giudice del lavoro, che di fronte a un”arbitro” prescelto sì, da entrambi i contendenti, ma probabilmente il datore di lavoro avrebbe maggior forza nell’imporre un uomo vicino ai suoi interessi, magari già nel contratto di assunzione.
Invece le cose si complicano quando si parla di fisco: giustamente gli evasori sono una delle vergogne nazionali, ma da decenni gli scioperi non hanno spinto i politici a impostare una caccia decisa e coraggiosa contro gli evasori.
La forza politica di certe categorie sociali ed imprenditoriali impedisce una scelta anti evasione?
Io sono del parere che in Italia non ci sia liberismo: le associazioni di categoria assomigliano a delle corporazioni.
Difendo i loro interessi per categoria, imprenditori, artigiani, operai, bancari, avvocati, notai, calzolai.
La logica liberista invece vorrebbe che costoro fossero in competizione tra loro e non alleati a imporre privilegi di casta.
La Cgil vuole questo?
Temo di no, ma proprio gli interventi di questi potentati, che in gruppo hanno una loro forza sulla politica, impediscono la creazione di un sistema fiscale equo e uguale per tutti.
Pagare tutti e meno tasse per tutti è un mito che resterà tale fino a quando la cultura della competizione non entrerà nelle nostre imprese.
Per il lavoro le scelte possono essere tante: il governo preferisce quella di darlo prima agli italiani, con la logica dell’espulsione per gli extracomunitari senza lavoro.
La Cgil e la sinistra italiana preferiscono altre decisioni, che graverebbero sulla finanza pubblica, già disastrata: rischieremmo di finire come la Grecia.
Infine c’è la questione della cittadinanza, qui vista come un diritto da distribuire facilmente, mentre sono del parere che prima bisogna concedere altre cose agli extracomunitari: case, sanità, scuole per i figli.
La cittadinanza è una faccenda secondari, più legata alla politica: l’importante che costoro abbino i diritti da esseri umani, siano integrati, imparando l’italiano e alla fine abbiano pure la cittadinanza, ma senza fretta.
Se non si farà così questi ultimi arrivati diventerebbero degli emarginati, che favorirebbero contro reazioni repressive, stimolerebbero la xenofobia e la nostra stessa democrazia verrebbe messa a rischio.