6 mar 2010

06/3 Turchia, armeni e il Congresso Usa (Arduino Rossi)

Il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu bolla come comico il risultato della votazione della Commissione Affari Esteri del Congresso Usa, che riconosce il genocidio degli armeni tra 1915 e il 1917, durante la Prima Guerra Mondiale
Davutoglu scherza, minaccia e rimprovera: "La votazione di ieri è stata priva di serietà, una comica. Ai membri della Commissione dico questo: ogni intervento che fate, come ogni decisione priva di serietà diviene un ostacolo al processo di pace fra Turchia e Armenia.........Ogni intervento di qualsiasi terza parte non può rendere inutile questo processo di normalizzazione...”
Intanto il governo turco ha ritirato l'ambasciatore a Washington, Namil Tan, ma "il dialogo con gli Stati Uniti continuerà".
Così Obama avrà una nuova situazione critica da valutare, però la scelta della Commissione del Congresso statunitense sana finalmente, forse dettata ancora da motivi politici attuali, una situazione vergognosa: il genocidio degli armeni è un fatto vero, veritiero, storicamente dimostrato, dimostrabile.
Tutti coloro che difendono la tesi turca si sono sempre arrampicati sui vetri per giustificare, scaricare magari sui Curdi, un genocidio di un popolo: gli armeni abitavano da sempre nell'Anatolia, nella zona Nord in particolare.
Quella era la loro terra molto prima che nascesse l'Impero turco.
Il motivo del genocidio è tutto di stampo occidentale: erano una nazione considerata ostile, non amalgamabile a quella turca, di fede cristiana e con una propria identità linguistica, culturale, religiosa differente da quella della maggioranza della popolazione.
Erano esperti nei commerci e nelle attività finanziarie, come gli ebrei in Europa venivano visti come i nemici della nazione ospitante, sempre pronti a tradire la Patria: la causa scatenante del genocidio non fu quella religiosa, anche se a livello popolare questo contribuì non poco a non mostrare pietà di questi poveri armeni.
Fu il nazionalismo laico, militaresco che favorì lo sterminio di uno o due milioni di persone: fu il primo dei genocidi del Novecento e pochi si accorsero che era frutto di una visione dello Stato assolutista.
Una Patria, una lingua, una fede sotto un unico Stato è il principio che prevalse in mezzo mondo, che si può tradurre in Dio, Patria e famiglia.
La scelta di dimenticarsi di questo primo grande massacro fu imposta dalla necessità di contenere l'avanzata sovietica ai confini dell'Anatolia: così si sostenne il regime laico, quasi anti-islamico che nacque, scordandosi della vicenda armena.
Fu uno di quei fatti terribili della storia che passarono nell'indifferenza degli storici ufficiali, quelli che poi scrivono, o dettano le linee guida dei contenuti dei libri di scuola.
Tanta vergogna poi dovrebbe provare la stampa Occidentale, che si asservì a questo oblio: il dolore terribile delle donne armene violentate, trattate come schiave sino alla morte, gli uomini fucilati, i bambini morti di fame nella deportazione che li trascinò sino alla Siria, in pieno luglio, tra popolazioni ostili, tra abusi e maltrattamenti non rientrava nelle linee editoriali delle testate.
Anzi ancora oggi non rientra ancora tra le notizie interessanti in molti giornali.
Ricordare i morti dei massacri serve a capire le motivazioni e ad evitare futuri genocidi: questo non riguarda solo gli armeni, ma pure anche i popoli responsabili di tali crimini.
Tutti possiamo diventare complici indifferenti di deportazioni e morti “causate involontariamente”, come si giustifica la Turchia ancora oggi, tali da essere dei carnefici con le mani pulite.
La verità storica deve sbucare ad ogni costo, basta con le ipocrisie: i morti hanno diritto a una sepoltura, al lutto, quantomeno noi abbiamo diritto a capire che certe scelte provocano morte e patimenti tra innocenti.
La Turchia, se vorrà entrare nella comunità europea, dovrà ammettere questo orrendo crimine: non si può accettare in Europa uno Stato che nega la verità su fatti così gravi, ne va della sicurezza di tutti.