4 mar 2011

Italia e Libia - la rivolta e la repressione


Gli aerei di Gheddafi continuano a bombardare i ribelli, che chiedono un intervento dell’aviazione straniera: ora la guerra si è spostata verso i pozzi petroliferi e non c’è più dubbio, è il solito scontro per il controllo del petrolio, del suo prezzo.
Gli Stati arabi non vogliono interventi di stranieri, o meglio di infedeli, dell’ANATO, vorrebbero intervenire solo loro, ma pure le loro divisioni sono grandi: quella della Libia è la tipica guerra interna al mondo arabo e non è una rivoluzione proletaria. Con la democrazia intanto non ha molto a che vedere, notando la presenza di troppi integralisti, fondamentalisti e simili.
Ancora una volta ciò che interessa non è la popolazione civile, i lavoratori stranieri, che ricevono aiuti perché i giornalisti si sono interessati a loro: la guerra riguarda i pozzi petroliferi.
Ciò che conta della Libia è l'oro nero e questo interesse internazionale è diventato....”umanitario”: se fosse una guerra civile in uno Stato senza materie prime, miserabile, senza vie di transito, marittime o terrestri, il dittatore avrebbe avuto la mano libera per stroncare i rivoltosi, ma qui ci si mobilita.
Però il vespaio libico sta diventando pericoloso e potrebbe finire male, ancora una volta, per le forze occidentali: abbiamo già i morti per l'Afghanistan.
Gli eserciti europei sono poco adatti a resistere alla guerriglia: è un tipo di guerra che la vince chi non rispetta i diritti umani, chi usa la repressione in modo indiscriminato su tutti i potenziali nemici, i sospetti, colpendo impunemente i civili, deportando le popolazioni avversarie.
Il nostro intervento diretto sarebbe un guaio immane e i libici, dopo decenni di propaganda anti-italiana, si mostrerebbero ostili.
La guerra in Libia intanto sta prendendo caratteristiche quasi prevedibili: è un conflitto tra fazioni arabe.
Per noi tutto questo è incomprensibile, l'unico filo logico che possiamo trovare sta nella decadenza ovvia dell'autoritarismo.
Chi impone la propria volontà come unica e indiscutibile troverà altri che faranno la stessa cosa, accusandolo di essere pure lui un nemico nell'errore.
L'assolutismo spesso si frantuma negli assolutismi, che si combattono: se poi si aggiungono interessi economici e vecchi attriti storici si rischia di avere conflitti bellici dove tutti sono nemici di tutti.
Se intervenissero gli Stati arabi vedremmo un frantumarsi del fronte.
Gheddafi è un maestro di queste situazioni ambigue e confuse: saprebbe rimettersi in gioco e il tiranno libico è un professionista del gioco.......d'azzardo con la storia e la politica.
L'Occidente la voluto morto molte volte, ma sa che senza di lui il caos regnerebbe ed è incerto: infatti non c'è un accordo per spedire uomini e mezzi in Libia, non si parla di bloccare l'aviazione né di imporre una tregua armata.
Gheddafi forse è finito, ma la sua dinastia non è morta e il figlio si è dimostrato un abile diplomatico e uno scaltro politico.
Il problema grande sta tutto nella democrazia che non si può esportare con i cannoni, ma con le idee, con il dialogo e con la creazione di un'opposizione politica: non bastano i ribelli che vanno contro i mercenari di Gheddafi.
Visto che questa guerra assomiglia a un conflitto di interessi particolare, lo scontro è condotto non solo dai ....volontari, ma anche da disperati pagati da ….chi non si sa.
Il futuro della guerra è dei mercenari?
Le popolazioni civili a quanto pare valgono di meno dei pozzi di petrolio e questo fatto ci riguarda tutti, anche noi ricchi occidentali: il nostro futuro e anche le nostre vite potrebbero essere vendute per interesse.
Solo la libertà di parola ci può difendere.