“Avvenire – gli editoriali”, pag. 2
Quotidiano Cattolico Italia
La politica non è sufficiente. Ma c’è Dio
Fonte come da titolazione, rilevato da Ciani Vittorio x l’Ufficio Documentazione Diocesi Piacenza-Bobbio.
Francesco D’Agostino
Che si svolgano in questa stessa settimana, a Piacenza, due importanti convegni giuridici non deve destare meraviglia: l’importanza del diritto è molto maggiore di quanto usualmente non si creda e ben vengano certe coincidenze, come quella dei convegni piacentini, capaci di sottolinearlo. Ciò invece che una qualche meraviglia può suscitare è il fatto che i due convegni sembrino occuparsi di cose assolutamente distanti tra loro: l’uno le «disuguaglianze», l’altro «Dio, la natura, il diritto». Il primo tema sembra estremamente concreto, attuale, 'moderno'; il secondo generico e tradizionale (qualcuno direbbe 'medievale'). Il paradosso è che, se andiamo al di là dei titoli, che sono utili, ma valgono sempre quello che valgono (cioè ben poco), i temi dei due convegni sono più vicini tra loro di quanto non ci si aspetti. La differenza dell’uno rispetto all’altro si riduce a questo: il primo studia le disuguaglianze come problema politico (si propone cioè l’eterna questione di come individuare le disuguaglianze rispettabili, quelle tollerabili e quelle intollerabili); il secondo, invece, attraverso la formula Dio/natura/diritto, invita a riflettere sulle diseguaglianze, e sugli innumerevoli conflitti che esse suscitano, andando senza esitazioni alla radice stessa del problema: sono davvero eguali tra di loro gli esseri umani?
A questa domanda è possibile dare una sola risposta corretta: sì, gli esseri umani, per quanto diversi sotto tanti profili, sono 'essenzialmente' eguali. Hanno tutti la stessa 'natura': per questo ogni tentativo di far trionfare le disuguaglianze sull’uguaglianza è falso in se stesso e va combattuto. Ma lottare contro le disuguaglianze non significa altro se non lottare per il 'diritto naturale', quello che, come già osservava Aristotele, «vale dappertutto, indipendentemente dal fatto che sia stato o no decretato» (cioè, diremmo oggi, che sia stato recepito dal diritto positivo). Per comprendere fino in fondo questa verità, è necessario liberarsi da ogni pregiudizio scientistico e capire che la 'natura umana', cui facciamo riferimento quando parliamo di diritto naturale, non può essere studiata riducendola a un’angusta, anche se utile, prospettiva biologica, ma va ricondotta al suo specifico fondamento, che è non solo trascendente (rispetto a ogni pur legittimo approccio materialistico), ma soprattutto teologico: siamo tutti uguali, perché siamo tutti figli di Dio.
Immagino le obiezioni: perché continuare a riproporre schemi teoretici antiquati e non riconoscere che il riferimento al diritto naturale è irriducibile al pensiero moderno, laico, illuminista e progressista? La ragione è duplice. In primo luogo perché il modello giusnaturalistico è antico sì, ma non 'vecchio'; ha dalla sua l’intramontabile attualità di tutti i paradigmi 'classici'. Ma la ragione principale è un’altra. Per quanto preziosa, se viene privata del suo fondamento ontologico e teologico, l’idea dell’uguaglianza 'impazzisce' e soprattutto fa impazzire. La storia moderna ce lo insegna.
Ha fatto impazzire i giacobini, sotto la Rivoluzione francese, generando, col Terrore, la più buia vicenda della storia francese. Ha fatto impazzire i marxisti-leninisti-stalinisti, generando, con il gulag, la più buia vicenda della storia russa. Ha fatto impazzire i cinesi, all’epoca della rivoluzione culturale, e i cambogiani, all’epoca del dominio di Pol Pot... potremmo continuare a lungo. Se non è coniugata con l’idea della fraternità, quella di uguaglianza veicola paradossalmente la discriminazione più cieca, perché si riduce all’ideologia di coloro che si riconoscono sì eguali tra loro, ma escludono da questo riconoscimento tutti gli altri.
Il cuore della questione diviene quindi questo: se si fa derivare l’uguaglianza solo da un riconoscimento 'politico', essa sarà sempre fragile, provvisoria e non raramente ipocrita. Se fondiamo invece l’uguaglianza in Dio, perché ci convinciamo, come giunse a convincersi Pietro, che «Dio non fa preferenze di persone», l’uguaglianza assume l’altissimo profilo di cifra antropologica fondamentale.
Questo non comporta, ovviamente, che non vadano riconosciute e tutelate tante diverse forme di disuguaglianza, soprattutto in ambito culturale, etnico, religioso: ma per quanto le diseguaglianze meritino rispetto, non lo meritano se il prezzo da pagare per rendere loro omaggio è quello di legittimare la discriminazione tra gli uomini. Ecco il punto sul quale il vecchio, ma non ammuffito, giusnaturalismo continua a portare un contributo assolutamente decisivo.
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