La questione riguarda pure la magistratura italiana, che interverrà, magari attraverso l'ambascita italiana
Due gli italiani sono in carcere in India: si chiamano Tommaso Bruno e Elisabetta Boncompagni: l'accusa è di omicidio.
Secondo la polizia indiana avrebbero assassinato Francesco Montis, italiano e in viaggio in India con loro.
IL 19 aprile ci sarà l'udienza per la richiesta di libertà da parte degli accusati, richiesta formulata dai difensori della coppia.
POLITICA, CULTURA, CRONACA, ARTE, RELIGIONE, SCIENZA, PENSIERO LIBERO. Quasi Giornale online. scritto a più mani da una redazione coraggiosa, da dei volontari. Responsabile Arduino Rossi-
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2 apr 2010
02/4 Sequestrata la chiesa della Santissima Trinità a Pescara (Teresa Valota)
Il caso di Elisa Claps prosegue e le indagini hanno portato al sequestro della chiesa per poter concludere le indagini, da parte della scientifica: si cercano prove e indizi.
Per questo motivo si sono allargate a tutto il tempio le prove scientifiche, non solo nella canonica, dove era posto il cadavere di Elisa Claps, nel sottotetto.
Danilo Restivo è l'unico indagato e si cercherà un incidente probatorio con il suo Dna, per confrontarlo con quello trovato sul corpo della ragazza, sicuramente dell'assassino della ragazza.
Per questo motivo si sono allargate a tutto il tempio le prove scientifiche, non solo nella canonica, dove era posto il cadavere di Elisa Claps, nel sottotetto.
Danilo Restivo è l'unico indagato e si cercherà un incidente probatorio con il suo Dna, per confrontarlo con quello trovato sul corpo della ragazza, sicuramente dell'assassino della ragazza.
02/4 L'intervista del Pm fa scattare l'invio degli ispettori ministeriali (Luigi Rossi)
Sul “Giornale” è apparso l'intervista del PM Pietro Forno, capo del pool antimolestie e procuratore aggiunto di Milano, con accuse contro la Chiesa: "La lista dei sacerdoti inquisiti per reati sessuali è lunga"
Il magistrato accusa anche la gerarchia ecclesiastica: "Non solo non vengono cacciati, ma accade a volte che non vengano nemmeno messi in condizioni di non nuocere più.......quando hanno queste notizie si limitano a spostarli da una parrocchia all'altra".
Alcune domande sono lecite.
Perché il Pm non ha denunciato questi casi prima che questi fatti fossero nel pieno della curiosità dei media?
Il numero lo si può dare: indagati, denunciati e condannati.
Si può scrivere una lista e fare dei calcoli statistici: i conti sono stati già fatti e il numero dei preti pedofili è identico a quello degli altri uomini, in percentuale.
Poi le punizioni nella Chiesa, si sa, sono molto dure: in pratica i preti puniti sono gli unici pedofili che subiscono una forma di reclusione, con periodi di “ritiro” in conventi isolati, veri carceri duri per l'opinione di qualsiasi persona non praticante.
Il Pm voleva un po' di popolarità?
Certamente l'ha ottenuta, proprio il venerdì Santo.
Non posso che augurargli buona Pasqua.........visto che si definisce cattolico praticante.
Il magistrato accusa anche la gerarchia ecclesiastica: "Non solo non vengono cacciati, ma accade a volte che non vengano nemmeno messi in condizioni di non nuocere più.......quando hanno queste notizie si limitano a spostarli da una parrocchia all'altra".
Alcune domande sono lecite.
Perché il Pm non ha denunciato questi casi prima che questi fatti fossero nel pieno della curiosità dei media?
Il numero lo si può dare: indagati, denunciati e condannati.
Si può scrivere una lista e fare dei calcoli statistici: i conti sono stati già fatti e il numero dei preti pedofili è identico a quello degli altri uomini, in percentuale.
Poi le punizioni nella Chiesa, si sa, sono molto dure: in pratica i preti puniti sono gli unici pedofili che subiscono una forma di reclusione, con periodi di “ritiro” in conventi isolati, veri carceri duri per l'opinione di qualsiasi persona non praticante.
Il Pm voleva un po' di popolarità?
Certamente l'ha ottenuta, proprio il venerdì Santo.
Non posso che augurargli buona Pasqua.........visto che si definisce cattolico praticante.
02/4 IL BIECO (Arduino Rossi)
Il suo nome era Lorenzo De Lorenzi ed era uno che aveva le idee chiare nella vita: avrebbe fatto carriera nello Stato.
Così si laureerò in Economia e Commercio, sudando non poco perché per lui i libri non contavano molto: era ben più importante il prestigio sociale e il “rispetto” verso l’autorità costituita.
Lui preferiva ossequiare i docenti che impegnarsi sui libri.
Era sempre ai primi posti ad ascoltare la lezione e si faceva vedere impegnato: regalava oggettini simpatici, portava la borsa, si impegnava a distribuire ai compagni le dispense.
Qualche esame non lo superò, ma il suo sistema funzionava e per la sua “buona volontà” riuscì ad ottenere dei discreti esiti: il primo fu quello di laurearsi, il secondo di ricevere la “stima” degli insegnanti, che lo raccomandarono volentieri.
Lui era, sotto sotto, un po’ ambizioso.
Si trasferì a Nord per aprire uno studio da commercialista, ma fallì amaramente nei suoi intenti: dovette ripiegare verso l’insegnamento, che gli permetteva di svolgere una seconda attività.
Il suo studio restava sempre deserto e i pochi clienti se ne andavano poco dopo il primo incontro, delusi: lui valeva solo come porta borse e così rinunciò a certe sue ambizioni.
Telefonò agli amici e a certi suoi vecchi professori: “Non temere Lorenzo, ti aiuteremo noi.”
Così fu e lui vinse il concorso da dirigente pubblico presso un ufficio erariale per il territorio: il primo giorno che si presentò per entrare in servizio fu squadrato come un marziano dal capoufficio.
Lorenzo era basso di statura, con le spalle larghe e un fisico quadrato, quasi cubico, non atletico: pareva un bracciante agricolo del Sud e forse ne era un legittimo discendente, non per l’aspetto, ma per i modi rozzi.
Invece il capo era alto e longilineo, quasi sottile, d’aspetto un po’ femminile: era però un uomo a tutti gli effetti e per di più innamorato di tre cose, la carriera, i soldi, le donne, anche quelle brutte, ma dalle forme provocanti.
De Lorenzi Dr. Lorenzo capì subito che quello sarebbe stato un osso duro per lui, ma alla fine avrebbe vinto.
Doveva superare in carriera quella mezza cartuccia di Angelico Paolo, direttore provvisorio: il tipo era appena più anziano di lui sia come età anagrafica sia come anzianità di servizio.
Così al nostro nuovo assunto non rimase che mettersi a servizio, proprio come un servitore, un maggiordomo, di quella persona a lui tanto antipatica: Paolo era uno che tendeva ad “allargarsi”, aveva un’amante nell’ufficio, una piccola e tutta curve, che lo assecondava in tutto.
Quella era la principale alleata di Paolo e Lorenzo lo capì subito: era la figlia di un vecchio senatore in pensione, che aveva lasciato molti amici e tanti contatti da sfruttare, tra gli imprenditori e soprattutto nella pubblica amministrazione.
Lorenzo cercò di circuirla, di sedurla, ma quella era una abituata a tutte le tecniche di seduzione e sapeva sfruttare, usare gli uomini come meglio credeva: li avvicinava con il suo linguaggio spregiudicato e li faceva sentire a loro agio, poi, se gli interessavano per scopi pratici, “concludeva”, altrimenti lo allontanava bruscamente, anche con minacce.
Rinunciò molto presto alla conquista della fanciullona e si dedicò a una nuova venuta più giovane, non proprio bella, anzi bruttina, ma la figlia di un pezzo da novanta della politica: era lì, in quello sperduto ufficio periferico per farsi un po’ di gavetta.
Lei lo assecondò, anche perché quella era l’unico uomo che la corteggiava: “Lorenzo, usciamo questa sera?”
“Certamente, passerotto mio.”
Lorenzo, usando un linguaggio popolare in voga, era di bocca buona e per certe cose chiudeva gli occhi: la signorina respirava, ciò era importante e fondamentale, tutto il resto non importava.
Ben presto all’interno dell’ufficio si formarono due “partiti”: quello favorevole a Paolo e quello pro Lorenzo.
Il merito del loro successo lavorativo dipendeva dalle loro reciproche amanti: così ci fu uno scontro velato tra le raccomandazioni dei due gruppi di potere.
Lorenzo non era uno che amava farsi vedere arrabbiato o ostile con qualcuno: solo con i sottoposti era duro, sgarbato, veramente cattivo, ma unicamente con coloro che non erano importanti, perché non avevano amicizie da sfruttare.
Purtroppo per lui Paolo stava accaparrando successo e rispetto: all’interno dell’ufficio era lui che ispirava fiducia, perché si era creato simpatie per favori e favoritismi.
Aveva dieci pesi e dieci misure, ma con chi valeva qualcosa, come conoscenze, era molto disponibile, pure con i ruffiani e le spie era spesso generoso: Paolo era cattivo, di una crudeltà che rasentava la follia, con chi lo ostacolava.
Lorenzo sapeva tutto questo e continuava a sorridergli, a fargli riverenze rispettose, da damerino del Settecento.
Intanto scavava la fossa al suo rivale, ma tutto andava per il verso sbagliato: Paolo sarebbe diventato il direttore reggente dell’ufficio e da lì sarebbe passato ad altri alti incarichi.
L’ultima notizia che gli giunse alle orecchie fu per lui sconvolgente: il suo rivale si sarebbe preso la reggenza, la titolarità, di un secondo ufficio di un’altra provincia, dandogli la possibilità di guadagnare non poco per premi e riconoscimenti.
Lorenzo era furioso e per la prima volta nella sua vita divenne scontroso.
Paolo era stato sgarbato con la sua amante e il nostro bieco dirigente in carriera reagì prontamente: “Come ti permetti! Guarda che racchia è quel bonsai della tua donna: piccola, tutta culo e tette”.
“Il tuo brutto anatroccolo invece è solo una rospetta.”
Li seguirono urla, pianti delle due donne e minacce di querele.
Trascorsero due giorni di silenzio e di pace apparente, poi il futuro grande direttore Paolo chiamò il suo sottoposto Lorenzo per un colloquio privato: “Non si può stare tutte e due nello stesso ufficio, dopo quello che è capitato. Appena arriverà il decreto di nomina e diventerò il capoufficio titolare, ti farò trasferire.”
Non aggiunse altro e per Lorenzo era la fine di tutto: sarebbe stato mandato al confine, in qualche avamposto di montagna, tra neve, solitudine, scomodità.
Il giorno successivo giunse un telegramma del ministero, ma non fu una bella notizia per Paolo: era stato trasferito a 500 chilometri di distanza.
Era stato lui a dover andarsene in montagna, in una valle impervia e solitaria.
A vincere era stata l’amante di Lorenzo, con un amico sottosegretario, un vecchio che la trattava come una figlia.
Per Lorenzo De Lorenzi fu un fulmine a cielo sereno: era convinto che sarebbe stato nominato lui direttore, invece l’incarico fu assegnato ad un altro, un vecchio funzionario che si era fatto da solo, grazie alla Massoneria.
Ora Lorenzo prosegue la sua tecnica per avvicinare il capoufficio: la sua amante è stata trasferita in una nuova sede e si è scordata del suo primo grande amore.
Lorenzo sa che il direttore, fra un paio di ann, se ne andrà e lui continua a servirlo, mostrandosi duro e cattivo con i sottomessi e cortese, amichevole, quasi fraterno con il capo e il suo gruppo.
Prima o poi Lorenzo riuscirà nei suoi intenti e diverrà il Direttore Lorenzo De Lorenzo, il terrore degli impiegati e la gioia per le belle donne, il servo perfetto per un altro dirigente superiore, sempre pronto a baciare le mani per un po’ di carriera agevolata.
RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli Statali 2, La vendetta" edito da lulu www.lulu.com scritto da Arduino Rossi
Così si laureerò in Economia e Commercio, sudando non poco perché per lui i libri non contavano molto: era ben più importante il prestigio sociale e il “rispetto” verso l’autorità costituita.
Lui preferiva ossequiare i docenti che impegnarsi sui libri.
Era sempre ai primi posti ad ascoltare la lezione e si faceva vedere impegnato: regalava oggettini simpatici, portava la borsa, si impegnava a distribuire ai compagni le dispense.
Qualche esame non lo superò, ma il suo sistema funzionava e per la sua “buona volontà” riuscì ad ottenere dei discreti esiti: il primo fu quello di laurearsi, il secondo di ricevere la “stima” degli insegnanti, che lo raccomandarono volentieri.
Lui era, sotto sotto, un po’ ambizioso.
Si trasferì a Nord per aprire uno studio da commercialista, ma fallì amaramente nei suoi intenti: dovette ripiegare verso l’insegnamento, che gli permetteva di svolgere una seconda attività.
Il suo studio restava sempre deserto e i pochi clienti se ne andavano poco dopo il primo incontro, delusi: lui valeva solo come porta borse e così rinunciò a certe sue ambizioni.
Telefonò agli amici e a certi suoi vecchi professori: “Non temere Lorenzo, ti aiuteremo noi.”
Così fu e lui vinse il concorso da dirigente pubblico presso un ufficio erariale per il territorio: il primo giorno che si presentò per entrare in servizio fu squadrato come un marziano dal capoufficio.
Lorenzo era basso di statura, con le spalle larghe e un fisico quadrato, quasi cubico, non atletico: pareva un bracciante agricolo del Sud e forse ne era un legittimo discendente, non per l’aspetto, ma per i modi rozzi.
Invece il capo era alto e longilineo, quasi sottile, d’aspetto un po’ femminile: era però un uomo a tutti gli effetti e per di più innamorato di tre cose, la carriera, i soldi, le donne, anche quelle brutte, ma dalle forme provocanti.
De Lorenzi Dr. Lorenzo capì subito che quello sarebbe stato un osso duro per lui, ma alla fine avrebbe vinto.
Doveva superare in carriera quella mezza cartuccia di Angelico Paolo, direttore provvisorio: il tipo era appena più anziano di lui sia come età anagrafica sia come anzianità di servizio.
Così al nostro nuovo assunto non rimase che mettersi a servizio, proprio come un servitore, un maggiordomo, di quella persona a lui tanto antipatica: Paolo era uno che tendeva ad “allargarsi”, aveva un’amante nell’ufficio, una piccola e tutta curve, che lo assecondava in tutto.
Quella era la principale alleata di Paolo e Lorenzo lo capì subito: era la figlia di un vecchio senatore in pensione, che aveva lasciato molti amici e tanti contatti da sfruttare, tra gli imprenditori e soprattutto nella pubblica amministrazione.
Lorenzo cercò di circuirla, di sedurla, ma quella era una abituata a tutte le tecniche di seduzione e sapeva sfruttare, usare gli uomini come meglio credeva: li avvicinava con il suo linguaggio spregiudicato e li faceva sentire a loro agio, poi, se gli interessavano per scopi pratici, “concludeva”, altrimenti lo allontanava bruscamente, anche con minacce.
Rinunciò molto presto alla conquista della fanciullona e si dedicò a una nuova venuta più giovane, non proprio bella, anzi bruttina, ma la figlia di un pezzo da novanta della politica: era lì, in quello sperduto ufficio periferico per farsi un po’ di gavetta.
Lei lo assecondò, anche perché quella era l’unico uomo che la corteggiava: “Lorenzo, usciamo questa sera?”
“Certamente, passerotto mio.”
Lorenzo, usando un linguaggio popolare in voga, era di bocca buona e per certe cose chiudeva gli occhi: la signorina respirava, ciò era importante e fondamentale, tutto il resto non importava.
Ben presto all’interno dell’ufficio si formarono due “partiti”: quello favorevole a Paolo e quello pro Lorenzo.
Il merito del loro successo lavorativo dipendeva dalle loro reciproche amanti: così ci fu uno scontro velato tra le raccomandazioni dei due gruppi di potere.
Lorenzo non era uno che amava farsi vedere arrabbiato o ostile con qualcuno: solo con i sottoposti era duro, sgarbato, veramente cattivo, ma unicamente con coloro che non erano importanti, perché non avevano amicizie da sfruttare.
Purtroppo per lui Paolo stava accaparrando successo e rispetto: all’interno dell’ufficio era lui che ispirava fiducia, perché si era creato simpatie per favori e favoritismi.
Aveva dieci pesi e dieci misure, ma con chi valeva qualcosa, come conoscenze, era molto disponibile, pure con i ruffiani e le spie era spesso generoso: Paolo era cattivo, di una crudeltà che rasentava la follia, con chi lo ostacolava.
Lorenzo sapeva tutto questo e continuava a sorridergli, a fargli riverenze rispettose, da damerino del Settecento.
Intanto scavava la fossa al suo rivale, ma tutto andava per il verso sbagliato: Paolo sarebbe diventato il direttore reggente dell’ufficio e da lì sarebbe passato ad altri alti incarichi.
L’ultima notizia che gli giunse alle orecchie fu per lui sconvolgente: il suo rivale si sarebbe preso la reggenza, la titolarità, di un secondo ufficio di un’altra provincia, dandogli la possibilità di guadagnare non poco per premi e riconoscimenti.
Lorenzo era furioso e per la prima volta nella sua vita divenne scontroso.
Paolo era stato sgarbato con la sua amante e il nostro bieco dirigente in carriera reagì prontamente: “Come ti permetti! Guarda che racchia è quel bonsai della tua donna: piccola, tutta culo e tette”.
“Il tuo brutto anatroccolo invece è solo una rospetta.”
Li seguirono urla, pianti delle due donne e minacce di querele.
Trascorsero due giorni di silenzio e di pace apparente, poi il futuro grande direttore Paolo chiamò il suo sottoposto Lorenzo per un colloquio privato: “Non si può stare tutte e due nello stesso ufficio, dopo quello che è capitato. Appena arriverà il decreto di nomina e diventerò il capoufficio titolare, ti farò trasferire.”
Non aggiunse altro e per Lorenzo era la fine di tutto: sarebbe stato mandato al confine, in qualche avamposto di montagna, tra neve, solitudine, scomodità.
Il giorno successivo giunse un telegramma del ministero, ma non fu una bella notizia per Paolo: era stato trasferito a 500 chilometri di distanza.
Era stato lui a dover andarsene in montagna, in una valle impervia e solitaria.
A vincere era stata l’amante di Lorenzo, con un amico sottosegretario, un vecchio che la trattava come una figlia.
Per Lorenzo De Lorenzi fu un fulmine a cielo sereno: era convinto che sarebbe stato nominato lui direttore, invece l’incarico fu assegnato ad un altro, un vecchio funzionario che si era fatto da solo, grazie alla Massoneria.
Ora Lorenzo prosegue la sua tecnica per avvicinare il capoufficio: la sua amante è stata trasferita in una nuova sede e si è scordata del suo primo grande amore.
Lorenzo sa che il direttore, fra un paio di ann, se ne andrà e lui continua a servirlo, mostrandosi duro e cattivo con i sottomessi e cortese, amichevole, quasi fraterno con il capo e il suo gruppo.
Prima o poi Lorenzo riuscirà nei suoi intenti e diverrà il Direttore Lorenzo De Lorenzo, il terrore degli impiegati e la gioia per le belle donne, il servo perfetto per un altro dirigente superiore, sempre pronto a baciare le mani per un po’ di carriera agevolata.
RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli Statali 2, La vendetta" edito da lulu www.lulu.com scritto da Arduino Rossi
02/4 GINA LA LECCHINA (Arduino Rossi)
Il suo nome era Luigina, ma per tutti era Gina, anche perché faceva rima con molte situazioni e giochetti di parole: Gina la cretina, Gina la zoccolino, Gina la lecchina, Gina la bellina, questa frase era detta solo in sua presenza.
Il soprannome lecchina gli rimase attaccato per tutta la vita lavorativa: non si sa chi glielo appioppò, forse una collega invidiosa per la sua continua vicinanza con i capi, per il suo servilismo ossequioso, da cameriera tutto ….fare.
Il resto lo supponevano i colleghi che non potevano o non volevano credere in altro: si sussurrava che Gina fosse molto “generosa”, dava a chi conveniva dare.
Cosa donava?
L’anima, la sua passione, il suo amore profondo, il suo cuore e la sua premura erano a disposizione: bastava avere un posto di comando e quella persona indossasse sia i panni del capo, sia gli abiti adeguati, che facevano il signore, per farle perdere la testa.
Luigina era appassionata del suo lavoro, anzi lo adorava: solo lì si sentiva realizzata, perché a casa era trattata un po’ come una schiava.
Marito e figli ne chiedevano sempre i servigi per ogni cosa, ma spesso le rispondevano male e non era considerata affatto come madre, per imporre l’educazione, per far studiare i ragazzi e le ragazze.
Gina aveva 4 figli, tre femmine e un maschio: le tre ragazze studiavano, ma il maschiaccio non voleva “annusare il profumo” dei libri.
Nonostante gli sforzi, le punizioni, le promesse di premi quello non ne voleva sentir parlare di scuola: infatti concluse le medie inferiori a fatica e alle superiori fu un disastro unico.
Dovette cercare un lavoro da operaio e lì imparò un mestiere, che gli dette da vivere e da spendere molto presto.
Le figlie invece erano delle secchione e si trovarono lavori da impiegatine, che lei riteneva di grande valore, da manager.
Così i figli furono indipendenti e lei potette preoccuparsi della carriera: i passaggi di livello erano uguali per tutti, si passava in massa ai gradi superiori senza spesso riconoscere i meriti personali.
Gina di meriti “particolari” ne aveva tanti, prima fra tutto c’erano le sue aggraziate richieste di aiuto ai superiori: “La prego, Dottore, mi spieghi lei come devo fare con questa nuova normativa…….no, non poteva fare di meglio, lei è sempre il migliore.”
Ben presto tutti i suoi salamelecchi la resero monotona ai capi e antipatica ai colleghi, poi l’età avanzava e gli spacchi nella gonna non davano più gli effetti desiderati: non aveva più le curve adatte per attrarre gli sguardi degli uomini.
Luigina era sempre più patetica e i capelli li aveva tinti di biondo, per nascondere i numerosi capelli bianchi: lei era imperterrita e proseguiva a cercare favori dai capi.
Gli anni passarono e tutte le colleghe del suo concorso se ne erano andate in pensione, chi prima e chi dopo: Gina resisteva alle battute dei giovani e alle freddure dei nuovi capi.
Lei proseguiva a mostrare le sue prominenze, ormai cadenti, sperando di ricevere delle lusinghe: era sempre più audace e un giorno non si controllò più.
Si mise accanto al nuovo venuto, un giovane dalle belle speranze di carriera: era il suo superiore diretto e lei se ne invaghì, come sanno fare certe donne particolari, al tramonto della loro bellezza e della loro giovinezza matura.
Il nuovo arrivato era timido, molto timido e la sua riservatezza fece credere a Gina di potersi permettere confidenze, poi piccoli contatti fisici, infine lei le fu contro, infine le fu sopra: lui prima rimase perplesso, confuso, immobile, anzi paralizzato, poi cercò di allontanarla, ma Gina era una furia.
Erano in mezzo agli scatoloni e alle scartoffie polverose.
Lei era eccitata come una…cagna, ma alla fine lui, con una voce sottile, urlò: “Aiuto, mi violentano, una donna mi sta facendo male.”
Intervennero i colleghi e lui, tutto scioccato, confessò: “Io sono gay, non voglio e non posso avere rapporti con le donne. Questa pazza mi voleva fare la festa, mi ha stropicciato tutto il vestito.”
Luigina fu chiamata dal direttore, fu rimproverata, ma il capo volle celare l’accaduto, perché ne andava del buon nome dell’ufficio: lei fu trasferita allo sportello, a contatto continuo con il pubblico e non più con un solo uomo, specialmente se di grado dirigenziale.
Però Luigina il vizio di ossequiare i dirigenti non lo perdette: questa volta sapeva che quello era un uomo e si presentò dal direttore, con la scollatura aperta e lo spacco spalancato.
Il capo è sempre il capo e bisogna servirlo a tutte le età, o così Gina riteneva corretto e doveroso.
RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli Statali 2, La vendetta" edito da lulu -www.lulu.com scritto da Arduino Rossi
Il soprannome lecchina gli rimase attaccato per tutta la vita lavorativa: non si sa chi glielo appioppò, forse una collega invidiosa per la sua continua vicinanza con i capi, per il suo servilismo ossequioso, da cameriera tutto ….fare.
Il resto lo supponevano i colleghi che non potevano o non volevano credere in altro: si sussurrava che Gina fosse molto “generosa”, dava a chi conveniva dare.
Cosa donava?
L’anima, la sua passione, il suo amore profondo, il suo cuore e la sua premura erano a disposizione: bastava avere un posto di comando e quella persona indossasse sia i panni del capo, sia gli abiti adeguati, che facevano il signore, per farle perdere la testa.
Luigina era appassionata del suo lavoro, anzi lo adorava: solo lì si sentiva realizzata, perché a casa era trattata un po’ come una schiava.
Marito e figli ne chiedevano sempre i servigi per ogni cosa, ma spesso le rispondevano male e non era considerata affatto come madre, per imporre l’educazione, per far studiare i ragazzi e le ragazze.
Gina aveva 4 figli, tre femmine e un maschio: le tre ragazze studiavano, ma il maschiaccio non voleva “annusare il profumo” dei libri.
Nonostante gli sforzi, le punizioni, le promesse di premi quello non ne voleva sentir parlare di scuola: infatti concluse le medie inferiori a fatica e alle superiori fu un disastro unico.
Dovette cercare un lavoro da operaio e lì imparò un mestiere, che gli dette da vivere e da spendere molto presto.
Le figlie invece erano delle secchione e si trovarono lavori da impiegatine, che lei riteneva di grande valore, da manager.
Così i figli furono indipendenti e lei potette preoccuparsi della carriera: i passaggi di livello erano uguali per tutti, si passava in massa ai gradi superiori senza spesso riconoscere i meriti personali.
Gina di meriti “particolari” ne aveva tanti, prima fra tutto c’erano le sue aggraziate richieste di aiuto ai superiori: “La prego, Dottore, mi spieghi lei come devo fare con questa nuova normativa…….no, non poteva fare di meglio, lei è sempre il migliore.”
Ben presto tutti i suoi salamelecchi la resero monotona ai capi e antipatica ai colleghi, poi l’età avanzava e gli spacchi nella gonna non davano più gli effetti desiderati: non aveva più le curve adatte per attrarre gli sguardi degli uomini.
Luigina era sempre più patetica e i capelli li aveva tinti di biondo, per nascondere i numerosi capelli bianchi: lei era imperterrita e proseguiva a cercare favori dai capi.
Gli anni passarono e tutte le colleghe del suo concorso se ne erano andate in pensione, chi prima e chi dopo: Gina resisteva alle battute dei giovani e alle freddure dei nuovi capi.
Lei proseguiva a mostrare le sue prominenze, ormai cadenti, sperando di ricevere delle lusinghe: era sempre più audace e un giorno non si controllò più.
Si mise accanto al nuovo venuto, un giovane dalle belle speranze di carriera: era il suo superiore diretto e lei se ne invaghì, come sanno fare certe donne particolari, al tramonto della loro bellezza e della loro giovinezza matura.
Il nuovo arrivato era timido, molto timido e la sua riservatezza fece credere a Gina di potersi permettere confidenze, poi piccoli contatti fisici, infine lei le fu contro, infine le fu sopra: lui prima rimase perplesso, confuso, immobile, anzi paralizzato, poi cercò di allontanarla, ma Gina era una furia.
Erano in mezzo agli scatoloni e alle scartoffie polverose.
Lei era eccitata come una…cagna, ma alla fine lui, con una voce sottile, urlò: “Aiuto, mi violentano, una donna mi sta facendo male.”
Intervennero i colleghi e lui, tutto scioccato, confessò: “Io sono gay, non voglio e non posso avere rapporti con le donne. Questa pazza mi voleva fare la festa, mi ha stropicciato tutto il vestito.”
Luigina fu chiamata dal direttore, fu rimproverata, ma il capo volle celare l’accaduto, perché ne andava del buon nome dell’ufficio: lei fu trasferita allo sportello, a contatto continuo con il pubblico e non più con un solo uomo, specialmente se di grado dirigenziale.
Però Luigina il vizio di ossequiare i dirigenti non lo perdette: questa volta sapeva che quello era un uomo e si presentò dal direttore, con la scollatura aperta e lo spacco spalancato.
Il capo è sempre il capo e bisogna servirlo a tutte le età, o così Gina riteneva corretto e doveroso.
RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli Statali 2, La vendetta" edito da lulu -www.lulu.com scritto da Arduino Rossi
02/4 Deficit-pil si è fermato nel 2009 al 5,2%, nel 2008 era al 2,7% (Arduino Rossi)
Peggio di così c'è stato solo il 1996.
Le entrate sono diminuite del 2% nell'intero 2009 e del 1,2% nel IV trimestre 2009. L'avanzo primario nel 2009 è a -0,6%, dal 1991 è il primo dato negativo.
Tremonti non dovrebbe essere sempre ottimista: non può bastare affermare che c'è chi sta peggio di noi.
Bisogna guardare ogni tanto chi sta meglio di noi, magari provando un po' di invidia, in questo caso sarebbe un'emozione sana e stimolante.
Le entrate sono diminuite del 2% nell'intero 2009 e del 1,2% nel IV trimestre 2009. L'avanzo primario nel 2009 è a -0,6%, dal 1991 è il primo dato negativo.
Tremonti non dovrebbe essere sempre ottimista: non può bastare affermare che c'è chi sta peggio di noi.
Bisogna guardare ogni tanto chi sta meglio di noi, magari provando un po' di invidia, in questo caso sarebbe un'emozione sana e stimolante.
02/4 Maria Luisa Busi e il richiamo del direttore del Tg1 (Arduino Rossi)
Il consigliere del Cda Rai Nino Rizzo Nervo fa un po' di ironia: ''Ha ragione il consigliere Antonio Verro: quando mai si è visto che un giornalista possa avere opinioni ed esprimerle liberamente! Ma proprio per questo l'invito alle dimissioni di Maria Luisa Busi e l'inevitabile richiesta di danni mi sembra una soluzione troppo buonista.....”
La vicenda Minzolini, direttore del Tg1 e la giornalista Maria Luisa Busi, richiamata ufficialmente per aver criticato il direttore lascia delle conseguenze: si sa che è in corso un'epurazione, presentata come rinnovo del personale, ma ciò sconvolge un po'.
Non è perché questo è avvenuto che ci si stupisce: tanti altri casi sono già capitati in passato, ma sono state rese pubbliche certe.......epurazioni.
I giornalisti devono solo ripetere, magari con enfasi, il pensiero dell'editore e del direttore?
Qualsiasi scimmia ammaestrata, o meglio qualsiasi pappagallo addomesticato potrebbero svolgere la professione di giornalista.
La vicenda Minzolini, direttore del Tg1 e la giornalista Maria Luisa Busi, richiamata ufficialmente per aver criticato il direttore lascia delle conseguenze: si sa che è in corso un'epurazione, presentata come rinnovo del personale, ma ciò sconvolge un po'.
Non è perché questo è avvenuto che ci si stupisce: tanti altri casi sono già capitati in passato, ma sono state rese pubbliche certe.......epurazioni.
I giornalisti devono solo ripetere, magari con enfasi, il pensiero dell'editore e del direttore?
Qualsiasi scimmia ammaestrata, o meglio qualsiasi pappagallo addomesticato potrebbero svolgere la professione di giornalista.
02/4 Minzolini può punire i suoi giornalisti? (Arduino Rossi)
Il caso della direzione del Tg1 però a superato il limite...umano: Minzolini era sotto indagine a Potenza e una lettera di solidarietà con il direttore era quantomeno sconveniente.
Qualcuno non ha firmato ed è finito, come pare, sotto la mannaia della “ristrutturazione” aziendale.
Ora il signor Minzolini se la prende con una sua giornalista, nota perché legge le notizie alle 20 di sera: costei ha osato criticare i provvedimenti presi contro i non firmatari.
Libertà è una bella parola, le opinioni si discutono, si criticano, ma non si censurano mai.
E' quanto meno una caduta di stile, se non altro: siamo in crisi economica e si bada poco alle sottigliezze.
Si può dire che qualcuno se ne approfitta per limitare le libertà individuali: ora i telegiornali Rai sono da sempre lottizzati, questi scontri hanno il sapore di regolamenti di conti tra gruppi politici maggioritari e minoritari.
Qualcuno non ha firmato ed è finito, come pare, sotto la mannaia della “ristrutturazione” aziendale.
Ora il signor Minzolini se la prende con una sua giornalista, nota perché legge le notizie alle 20 di sera: costei ha osato criticare i provvedimenti presi contro i non firmatari.
Libertà è una bella parola, le opinioni si discutono, si criticano, ma non si censurano mai.
E' quanto meno una caduta di stile, se non altro: siamo in crisi economica e si bada poco alle sottigliezze.
Si può dire che qualcuno se ne approfitta per limitare le libertà individuali: ora i telegiornali Rai sono da sempre lottizzati, questi scontri hanno il sapore di regolamenti di conti tra gruppi politici maggioritari e minoritari.
02/4 Rai, Tg1, Minzolini e la libertà di Internet (Arduino Rossi)
La libertà di pensiero sta da sempre lontano dal mondo giornalistico televisivo:
la suddivisione degli incarichi, in base alle presenze in parlamento e in base al peso politico, non è libertà, ma solo una volgare divisione della torta.
Per fortuna che c'è Internet, altrimenti gli italiani si catalogherebbero ancora in comunisti, democristiani, socialisti, liberali e del Movimento Sociale.
Le guerre di potere nella Rai possono interessare i politicanti nazionali, che continuano ad essere degli analfabeti di Internet: io consiglio a loro qualche corso per Internet di base, ce ne sono per tutti i gusti, per tutte le tasche e per tutte le....intelligenze.
la suddivisione degli incarichi, in base alle presenze in parlamento e in base al peso politico, non è libertà, ma solo una volgare divisione della torta.
Per fortuna che c'è Internet, altrimenti gli italiani si catalogherebbero ancora in comunisti, democristiani, socialisti, liberali e del Movimento Sociale.
Le guerre di potere nella Rai possono interessare i politicanti nazionali, che continuano ad essere degli analfabeti di Internet: io consiglio a loro qualche corso per Internet di base, ce ne sono per tutti i gusti, per tutte le tasche e per tutte le....intelligenze.
02/4 Cinesi dormivano sulle impalcature (Maria Valota)
Le impalcature erano per il restauro dell'Arco della Pace di Piazza Sempione, a Milano, ma per loro erano un dormitorio pubblico e libero: 18 cinesi sono stati scoperti dalla polizia municipale.
Si erano organizzati: avevano sacchi a pelo, tende e pure l'allacciamento abusivo alla corrente elettrica.
13 erano senza documenti e sono stati arrestati, mentre i 5 con permesso di soggiorno sono stati identificati e rilasciati.
Si erano organizzati: avevano sacchi a pelo, tende e pure l'allacciamento abusivo alla corrente elettrica.
13 erano senza documenti e sono stati arrestati, mentre i 5 con permesso di soggiorno sono stati identificati e rilasciati.
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