2 apr 2010

02/4 IL BIECO (Arduino Rossi)

Il suo nome era Lorenzo De Lorenzi ed era uno che aveva le idee chiare nella vita: avrebbe fatto carriera nello Stato.
Così si laureerò in Economia e Commercio, sudando non poco perché per lui i libri non contavano molto: era ben più importante il prestigio sociale e il “rispetto” verso l’autorità costituita.
Lui preferiva ossequiare i docenti che impegnarsi sui libri.
Era sempre ai primi posti ad ascoltare la lezione e si faceva vedere impegnato: regalava oggettini simpatici, portava la borsa, si impegnava a distribuire ai compagni le dispense.
Qualche esame non lo superò, ma il suo sistema funzionava e per la sua “buona volontà” riuscì ad ottenere dei discreti esiti: il primo fu quello di laurearsi, il secondo di ricevere la “stima” degli insegnanti, che lo raccomandarono volentieri.
Lui era, sotto sotto, un po’ ambizioso.
Si trasferì a Nord per aprire uno studio da commercialista, ma fallì amaramente nei suoi intenti: dovette ripiegare verso l’insegnamento, che gli permetteva di svolgere una seconda attività.
Il suo studio restava sempre deserto e i pochi clienti se ne andavano poco dopo il primo incontro, delusi: lui valeva solo come porta borse e così rinunciò a certe sue ambizioni.
Telefonò agli amici e a certi suoi vecchi professori: “Non temere Lorenzo, ti aiuteremo noi.”
Così fu e lui vinse il concorso da dirigente pubblico presso un ufficio erariale per il territorio: il primo giorno che si presentò per entrare in servizio fu squadrato come un marziano dal capoufficio.
Lorenzo era basso di statura, con le spalle larghe e un fisico quadrato, quasi cubico, non atletico: pareva un bracciante agricolo del Sud e forse ne era un legittimo discendente, non per l’aspetto, ma per i modi rozzi.
Invece il capo era alto e longilineo, quasi sottile, d’aspetto un po’ femminile: era però un uomo a tutti gli effetti e per di più innamorato di tre cose, la carriera, i soldi, le donne, anche quelle brutte, ma dalle forme provocanti.
De Lorenzi Dr. Lorenzo capì subito che quello sarebbe stato un osso duro per lui, ma alla fine avrebbe vinto.
Doveva superare in carriera quella mezza cartuccia di Angelico Paolo, direttore provvisorio: il tipo era appena più anziano di lui sia come età anagrafica sia come anzianità di servizio.
Così al nostro nuovo assunto non rimase che mettersi a servizio, proprio come un servitore, un maggiordomo, di quella persona a lui tanto antipatica: Paolo era uno che tendeva ad “allargarsi”, aveva un’amante nell’ufficio, una piccola e tutta curve, che lo assecondava in tutto.
Quella era la principale alleata di Paolo e Lorenzo lo capì subito: era la figlia di un vecchio senatore in pensione, che aveva lasciato molti amici e tanti contatti da sfruttare, tra gli imprenditori e soprattutto nella pubblica amministrazione.
Lorenzo cercò di circuirla, di sedurla, ma quella era una abituata a tutte le tecniche di seduzione e sapeva sfruttare, usare gli uomini come meglio credeva: li avvicinava con il suo linguaggio spregiudicato e li faceva sentire a loro agio, poi, se gli interessavano per scopi pratici, “concludeva”, altrimenti lo allontanava bruscamente, anche con minacce.
Rinunciò molto presto alla conquista della fanciullona e si dedicò a una nuova venuta più giovane, non proprio bella, anzi bruttina, ma la figlia di un pezzo da novanta della politica: era lì, in quello sperduto ufficio periferico per farsi un po’ di gavetta.
Lei lo assecondò, anche perché quella era l’unico uomo che la corteggiava: “Lorenzo, usciamo questa sera?”
“Certamente, passerotto mio.”
Lorenzo, usando un linguaggio popolare in voga, era di bocca buona e per certe cose chiudeva gli occhi: la signorina respirava, ciò era importante e fondamentale, tutto il resto non importava.
Ben presto all’interno dell’ufficio si formarono due “partiti”: quello favorevole a Paolo e quello pro Lorenzo.
Il merito del loro successo lavorativo dipendeva dalle loro reciproche amanti: così ci fu uno scontro velato tra le raccomandazioni dei due gruppi di potere.
Lorenzo non era uno che amava farsi vedere arrabbiato o ostile con qualcuno: solo con i sottoposti era duro, sgarbato, veramente cattivo, ma unicamente con coloro che non erano importanti, perché non avevano amicizie da sfruttare.
Purtroppo per lui Paolo stava accaparrando successo e rispetto: all’interno dell’ufficio era lui che ispirava fiducia, perché si era creato simpatie per favori e favoritismi.
Aveva dieci pesi e dieci misure, ma con chi valeva qualcosa, come conoscenze, era molto disponibile, pure con i ruffiani e le spie era spesso generoso: Paolo era cattivo, di una crudeltà che rasentava la follia, con chi lo ostacolava.
Lorenzo sapeva tutto questo e continuava a sorridergli, a fargli riverenze rispettose, da damerino del Settecento.
Intanto scavava la fossa al suo rivale, ma tutto andava per il verso sbagliato: Paolo sarebbe diventato il direttore reggente dell’ufficio e da lì sarebbe passato ad altri alti incarichi.
L’ultima notizia che gli giunse alle orecchie fu per lui sconvolgente: il suo rivale si sarebbe preso la reggenza, la titolarità, di un secondo ufficio di un’altra provincia, dandogli la possibilità di guadagnare non poco per premi e riconoscimenti.
Lorenzo era furioso e per la prima volta nella sua vita divenne scontroso.
Paolo era stato sgarbato con la sua amante e il nostro bieco dirigente in carriera reagì prontamente: “Come ti permetti! Guarda che racchia è quel bonsai della tua donna: piccola, tutta culo e tette”.
“Il tuo brutto anatroccolo invece è solo una rospetta.”
Li seguirono urla, pianti delle due donne e minacce di querele.
Trascorsero due giorni di silenzio e di pace apparente, poi il futuro grande direttore Paolo chiamò il suo sottoposto Lorenzo per un colloquio privato: “Non si può stare tutte e due nello stesso ufficio, dopo quello che è capitato. Appena arriverà il decreto di nomina e diventerò il capoufficio titolare, ti farò trasferire.”
Non aggiunse altro e per Lorenzo era la fine di tutto: sarebbe stato mandato al confine, in qualche avamposto di montagna, tra neve, solitudine, scomodità.
Il giorno successivo giunse un telegramma del ministero, ma non fu una bella notizia per Paolo: era stato trasferito a 500 chilometri di distanza.
Era stato lui a dover andarsene in montagna, in una valle impervia e solitaria.
A vincere era stata l’amante di Lorenzo, con un amico sottosegretario, un vecchio che la trattava come una figlia.
Per Lorenzo De Lorenzi fu un fulmine a cielo sereno: era convinto che sarebbe stato nominato lui direttore, invece l’incarico fu assegnato ad un altro, un vecchio funzionario che si era fatto da solo, grazie alla Massoneria.
Ora Lorenzo prosegue la sua tecnica per avvicinare il capoufficio: la sua amante è stata trasferita in una nuova sede e si è scordata del suo primo grande amore.
Lorenzo sa che il direttore, fra un paio di ann, se ne andrà e lui continua a servirlo, mostrandosi duro e cattivo con i sottomessi e cortese, amichevole, quasi fraterno con il capo e il suo gruppo.
Prima o poi Lorenzo riuscirà nei suoi intenti e diverrà il Direttore Lorenzo De Lorenzo, il terrore degli impiegati e la gioia per le belle donne, il servo perfetto per un altro dirigente superiore, sempre pronto a baciare le mani per un po’ di carriera agevolata.


RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli Statali 2, La vendetta" edito da lulu www.lulu.com scritto da Arduino Rossi