2 apr 2010

02/4 GINA LA LECCHINA (Arduino Rossi)

Il suo nome era Luigina, ma per tutti era Gina, anche perché faceva rima con molte situazioni e giochetti di parole: Gina la cretina, Gina la zoccolino, Gina la lecchina, Gina la bellina, questa frase era detta solo in sua presenza.
Il soprannome lecchina gli rimase attaccato per tutta la vita lavorativa: non si sa chi glielo appioppò, forse una collega invidiosa per la sua continua vicinanza con i capi, per il suo servilismo ossequioso, da cameriera tutto ….fare.
Il resto lo supponevano i colleghi che non potevano o non volevano credere in altro: si sussurrava che Gina fosse molto “generosa”, dava a chi conveniva dare.
Cosa donava?
L’anima, la sua passione, il suo amore profondo, il suo cuore e la sua premura erano a disposizione: bastava avere un posto di comando e quella persona indossasse sia i panni del capo, sia gli abiti adeguati, che facevano il signore, per farle perdere la testa.
Luigina era appassionata del suo lavoro, anzi lo adorava: solo lì si sentiva realizzata, perché a casa era trattata un po’ come una schiava.
Marito e figli ne chiedevano sempre i servigi per ogni cosa, ma spesso le rispondevano male e non era considerata affatto come madre, per imporre l’educazione, per far studiare i ragazzi e le ragazze.
Gina aveva 4 figli, tre femmine e un maschio: le tre ragazze studiavano, ma il maschiaccio non voleva “annusare il profumo” dei libri.
Nonostante gli sforzi, le punizioni, le promesse di premi quello non ne voleva sentir parlare di scuola: infatti concluse le medie inferiori a fatica e alle superiori fu un disastro unico.
Dovette cercare un lavoro da operaio e lì imparò un mestiere, che gli dette da vivere e da spendere molto presto.
Le figlie invece erano delle secchione e si trovarono lavori da impiegatine, che lei riteneva di grande valore, da manager.
Così i figli furono indipendenti e lei potette preoccuparsi della carriera: i passaggi di livello erano uguali per tutti, si passava in massa ai gradi superiori senza spesso riconoscere i meriti personali.
Gina di meriti “particolari” ne aveva tanti, prima fra tutto c’erano le sue aggraziate richieste di aiuto ai superiori: “La prego, Dottore, mi spieghi lei come devo fare con questa nuova normativa…….no, non poteva fare di meglio, lei è sempre il migliore.”
Ben presto tutti i suoi salamelecchi la resero monotona ai capi e antipatica ai colleghi, poi l’età avanzava e gli spacchi nella gonna non davano più gli effetti desiderati: non aveva più le curve adatte per attrarre gli sguardi degli uomini.
Luigina era sempre più patetica e i capelli li aveva tinti di biondo, per nascondere i numerosi capelli bianchi: lei era imperterrita e proseguiva a cercare favori dai capi.
Gli anni passarono e tutte le colleghe del suo concorso se ne erano andate in pensione, chi prima e chi dopo: Gina resisteva alle battute dei giovani e alle freddure dei nuovi capi.
Lei proseguiva a mostrare le sue prominenze, ormai cadenti, sperando di ricevere delle lusinghe: era sempre più audace e un giorno non si controllò più.
Si mise accanto al nuovo venuto, un giovane dalle belle speranze di carriera: era il suo superiore diretto e lei se ne invaghì, come sanno fare certe donne particolari, al tramonto della loro bellezza e della loro giovinezza matura.
Il nuovo arrivato era timido, molto timido e la sua riservatezza fece credere a Gina di potersi permettere confidenze, poi piccoli contatti fisici, infine lei le fu contro, infine le fu sopra: lui prima rimase perplesso, confuso, immobile, anzi paralizzato, poi cercò di allontanarla, ma Gina era una furia.
Erano in mezzo agli scatoloni e alle scartoffie polverose.
Lei era eccitata come una…cagna, ma alla fine lui, con una voce sottile, urlò: “Aiuto, mi violentano, una donna mi sta facendo male.”
Intervennero i colleghi e lui, tutto scioccato, confessò: “Io sono gay, non voglio e non posso avere rapporti con le donne. Questa pazza mi voleva fare la festa, mi ha stropicciato tutto il vestito.”
Luigina fu chiamata dal direttore, fu rimproverata, ma il capo volle celare l’accaduto, perché ne andava del buon nome dell’ufficio: lei fu trasferita allo sportello, a contatto continuo con il pubblico e non più con un solo uomo, specialmente se di grado dirigenziale.
Però Luigina il vizio di ossequiare i dirigenti non lo perdette: questa volta sapeva che quello era un uomo e si presentò dal direttore, con la scollatura aperta e lo spacco spalancato.
Il capo è sempre il capo e bisogna servirlo a tutte le età, o così Gina riteneva corretto e doveroso.

RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli Statali 2, La vendetta" edito da lulu -www.lulu.com scritto da Arduino Rossi