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EBOOK DA SCARICARE . RACCONTI INTITOLATO ....GLI STATALI di Arduino Rossi
IL PRECISINO
Sono considerato da tutti un uomo fortunato, eppure la gente non sa quanto sia triste oggi la mia vita.
Lavorai per venticinque anni nell'Istituto Nazionale per la Prevenzione della Malaria, in una sede del Nord del Paese e i miei compiti furono gli stessi, dal primo all'ultimo giorno.
Io non mi consideravo un frustrato dalla monotonia della mia occupazione: non fui assente un solo giorno, ero orgoglioso della mia puntualità e della fedeltà all'ufficio mi avevano soprannominato il "precisino", dimenticando il mio nome "Paolo".
Ero deriso per la mia diligenza, che i miei colleghi consideravano eccessiva, ma io rispondevo loro: -Se voi foste ordinati, quanto lo sono io, questo ufficio sarebbe il più efficiente d'Italia!-
Essi ridevano, ma io non mi crucciavo.
Forse il mio senso del dovere era un po' ossessivo: non perdevo il mio tempo in chiacchiere e non scendevo al bar per il caffè.
Durante le ore d'ufficio ero sempre impegnato nel riordinare, nel pulire e nello spostare incartamenti: non un solo granello di polvere c'era sulla mia scrivania e nei miei scaffali.
Avevo quaranta matite colorate, di marche e di tinte differenti, le avevo disposte in un portamatite, con le punte all'insù, rispettando la scala dell'arcobaleno, dal rosso più intenso al violetto.
Esse avevano una funzione solamente estetica e nessuno doveva toccarle.
Talvolta un mio collega, per scherzo o sbadataggine, spezzava qualche punta: era uno sgarbo che mi mandava su tutte le furie.
Solitamente ero una persona ragionevole e un mio caro amico mi diceva molte volte: -Sei piccolo, grassoccio e calvo.
Sei il tipico impiegato statale: sei meridionale e affronti tutto con troppa calma!-
Ovviamente, oltre a riordinare la scrivania, avevo pure la mia mansione, che mi impegnava per il resto del tempo: revisionavo i verbali di controllo sulla presenza della malaria nel territorio.
Da anni non c'era un solo malato, o un sospetto affetto da febbre malarica, ma l'Istituto proseguiva la sua attività, seguendo tutte le normative del Ministero.
Io ero un convinto assertore dell'importanza dell'Istituto, contro i colleghi "disfattisti.".
Affermai un giorno: -Lo so bene che la malaria è stata debellata, ma noi dobbiamo tenere sotto controllo la situazione!-
Un giovane collega ribatté: -Non hanno senso questi accertamenti: la malaria non ricomparirà più!-
Un nuovo assunto mi impedì di replicare, intromettendosi: -Le pratiche dell'Istituto sono parecchie e complesse.
Verifichiamo ogni attività tre o quattro volte, dobbiamo rendere conto di tutto a molti enti e a tre ministeri! E' un grande movimento di documenti, con firme e con timbri inutili!-
Avevo sacrificato i migliori anni della mia vita per l'Istituto
e non potevo permettere agli ultimi arrivati di denigrarlo: -Voi fate presto a deridere ciò che non capite! Non vi immaginate neppure quanto sia stata tremenda la miseria nelle zone infestate dalla Malaria, che è stata debellata grazia a Istituti come il nostro! Oggi vigiliamo sulle zone paludose, prevedendo nuovi contagi!-
Nonostante queste discussioni la mia vita scorreva tranquilla.
Non ero Felice, ma non mi lamentavo: avevo una famiglia con due figli studiosi, senza grilli per la testa e un buono stipendio.
Un bel giorno, trasgredendo alle mie ferree regole, stavo sfogliando svogliatamente il giornale, nell'orario di lavoro: stavo confrontando i numeri del mio biglietto della lotteria di Merano per vedere se fosse vincente.
Mi sfrega gli occhi per essere sicuro che non fosse un abbaglio: era vero, avevo vinto ed ero diventato molto ricco.
Uscii correndo dall'ufficio, senza giustificare l'assenza.
I colleghi credettero che mi fosse capitato qualcosa, o che fossi impazzito e ipotizzarono spiegazioni tra le più fantastiche.
Entrai come un forsennato nella mia casa, gridando: -Ho vinto! Ho vinto!-
Mia moglie mi fece sedere e senza ascoltarmi fece per telefonare al nostro medico.
Placai la mia frenesia e le mostrai il biglietto vincente, ella non credeva ai suoi occhi, poi svenne: -Mi sento male! ...dell'acqua, un liquore....-
La deposi sul divano buono: ero confuso e non mi decidevo a chiamare il medico, poi le detti un calmante.
Ella si addormentò profondamente: aveva le palpebre cerchiate e il colorito giallognolo.
Mi accorsi per la prima volta dell'invecchiamento precoce di Elena, notando i suoi capelli bianchi: i rimpianti le avevano scavato l'anima.
Elena non aveva mai chiesto nulla più di quello che potevo offrirle nella vita di ogni giorno: le ero vissuto accanto senza accorgermi di soffocarla.
Quando rinvenne per la gioia: -Che cosa faremo con tutti questi soldi? Sono troppi; non ho mai desiderato una ricchezza così grande!-
La nostra convivenza era sempre stata quieta e senza liti: la nostra vita era stata come tante altre, con piccoli problemi e con semplici gioie.
Avevamo due figli, un maschio di diciotto anni e una femmina di venti: non c'era da scialacquare col mio stipendio, ma con un po' di straordinari ero riuscito a mantenerli agli studi superiori.
Gigliola, la maggiore, all'università frequentava Economia e Commercio, mentre Giovanni si stava diplomando in ragioneria.
Li avevo indirizzati verso studi pratici, che assicurassero loro un futuro.
Quando essi mi trovarono a casa in orario insolito e videro la loro madre piangente, si preoccuparono: -Cos'è successo?-
Li abbracciai con impeto: -Abbiamo vinto il primo premio alla lotteria di Merano!-
Essi spalancarono gli occhi, stupiti, increduli mostrai loro il biglietto del miracolo.
Saltarono, urlarono, presi da un entusiasmo incontrollato.
Gigliola trovò per prima la calma: -Papà! Come vuoi investire questi capitali? Non sarà in appartamenti o in titoli statali, spero?-
-Penseremo poi a questo, ora facciamo festa!-
Ella insistette: -No! Bisogna preoccuparsi subito, per non farsi mandare in malora dalle tasse! Esistono azioni sicure, oppure delle attività commerciali molto redditizie, c'è solo l'imbarazzo della scelta!-
Le risposi affettuosamente: -Figliola! Ci penseremo....-
Ella alzò la voce: -Non sei mai stato capace di concludere un affare! E' meglio che li gestisca io questi soldi, pure della riscossione mi preoccuperò io!-
Giovanni approvò l'opinione della sorella.
Mi sentii avvilito: i miei figli si ribellano, dopo tutto quello che avevano ricevuto da me.
Il campanello di casa squillò ripetutamente, aprii.
Una piccola folla di amici, colleghi e parenti entrarono con irruenza, per congratularsi della vincita: euforico, avevo dato la notizia al portinaio del palazzo, senza preoccuparmi delle conseguenze.
Fui costretto a dare fondo alle bottiglie di liquore, conservato con tanta parsimonia da mia moglie per gli ospiti importanti.
Ci fu chi, superstizioso, mi toccò la pelata e la gobba, che non avevo.
Furono peggiori di una nube di cavallette: fecero danni, sporcarono, rubarono qualche oggetto.
-Tanto è così ricco che non se ne accorgerà neppure!-
Parenti, amici e imbroglioni di professione mi proposero molti progetti: tanti consigli strambi, tutti assieme, non li avevo mai ricevuti.
Il vicino disoccupato si impose, senza il mio benestare, come mio segretario e per tutta la sera mi stordì col suo "affare del secolo", ovvero un enorme allevamento di lumache.
Un parente alla lontana, che non incontravo da anni, pretendeva che gettassi l'intera somma per finanziare una sua invenzione, a sentir lui geniale: una macchina che funzionava con energia scoperta e imbrigliata da lui.
Insomma, una masnada di esaltati e di furbi mi costrinsero a sopportare le loro stranezze sino a tarda notte.
Poi, finiti i liquori, delusi dalle mie opposizioni, se ne andarono.
Era quasi l'alba e non avevo ancora sonno: uscii per respirare un po' di aria pura e per meditare in solitudine.
Camminai alcune ore senza meta nella città, che si risvegliava.
Finalmente, stanco, mi sedetti su una panchina.
Avevo l'aspetto di uno che aveva passato una notte in bagordi: una gentile signora anziana mi si accostò per informarsi se mi sentivo male.
Capita improvvisamente di trovare semplici soluzioni a problemi, che ci avevano assillato sino alla disperazione.
Come per incanto le mie idee si schiarirono: il denaro era mio e lo avrei gestito nel modo che ritenevo migliore.
Avrei acquistato, al mio paese in Basilicata, la vecchia tenuta in rovina dei Franciosio e l'avrei riattivata.
Ero partito per il Nord venticinque anni prima, con solo una valigia di logori effetti personali, mentre ora ritornavo come il nuovo Signore del paese.
Mi avrebbero chiamato Don Paolo e si sarebbero tolti tutti il cappello, salutandomi amici e nemici.
Stavo fantasticando sul mio futuro di proprietario terriero, quando mi venne la nostalgia del mio vecchio ufficio: non ero distante e volli vederlo per l'ultima volta.
Bussai alla finestra dell'anziano guardiano, che appena mi scorse si congratulò sinceramente con me.
Non si meravigliò della mia richiesta, continuò a complimentarsi e rifiutò la mancia che gli offrii.
La mia scrivania era nel solito ordine. Un assurdo rimpianto mi prese e nessun pensiero di futura felicità riuscì a scacciarlo: gli anni più sereni della mia vita li avevo trascorsi in quel luogo e forse erano stati i più belli.
Se fossi stato solo avrei pianto.
Un dubbio atroce mi assalì: -Sarò così felice in futuro, o con il denaro la tranquillità sarà fuggita per sempre?-