18 apr 2010

17/4 CARRIERA DA DIRIGENTE STATALE (racconto di Arduino Rossi)


Mi trovai con una laurea in giurisprudenza, dopo una giovinezza trascorsa nel divertimento e con poco impegno nello studio.
Scelsi la carriera statale e mio padre mi introdusse nell'ambiente dei notabili della mia città, a Napoli: essi mi posero sotto la loro protezione: -Questo guaglione farà strada se saprà rispettare le persone che contano!-
Fui precoce nel comprendere le regole del potere e divenni dirigente doganale con il primo concorso tentato.
Fui trasferito al Nord, ma prima volli sposare una brava ragazza, mia concittadina.
Il matrimonio fu di convenienza: Mariagrazia era figlia del Direttore Doganale di Napoli.
La stimai sempre ed ebbi per lei molto affetto, ma non fui fedele: sin dall'adolescenza il fascino del gentil sesso mi aveva attratto irresistibilmente.
Nacquero due figli e fui un padre premuroso; avevo migliorato la mia posizione e avevo accresciuto il mio conto in banca, ma la passione per le donne non l'avevo persa: i capelli si erano imbiancati e il fisico non aveva più la snellezza della
giovinezza, ma sopperivo abilmente a queste lacune con la mia esperienza.
Trascorsi gli anni migliori sognando una vita spensierata, da pittore scapestrato, tra donnine e grandi artisti.
Ero nato per l'arte, ma l'ufficio mi impediva altre attività: non era il troppo impegno che mi ostacolava, erano le preoccupazioni.
Ero schiacciato dalle responsabilità legali, dai controlli dei superiori.
Nei dipartimenti diretti da me tutti facevano quello che volevano: non imponevano la disciplina, per la mia pigrizia.
Ho sempre lasciato che i problemi si sovrapponessero sino a diventare enormi: allora intervenivo con tutta la mia autorità, quando certe situazioni degeneravano in troppa negligenza o in eccessi inaccettabili per il decoro dell'ufficio.
Io mediavo i contrasti tra i dipendenti ed evitavo di schierarmi da una delle parti in contesa per non crearmi nemici.
Dopo vent'anni di continui trasferimenti in sedi differenti arrivai a Bentivoglio e presi la reggenza dell'Ufficio, togliendola al Vicedirettore, un marchigiano chiacchierone e pacioccone, che mi accolse freddamente: attendeva da anni il passaggio a direttore e mi considerò un inaspettato raccomandato importuno.
Non aveva tutti i torti, ma la Direzione Generale non si era fidato di lui e io me ne ero approfittato per impossessarmi di questo posto vacante.
Egli mi presentò ai subordinati con enfasi e con banali formalità: -Il Dottor Ignazio Abramo sarà il nuovo Capoufficio! E' un uomo di valore e di grande professionalità!-
Le sue lodi sperticate annoiarono tutti, ma il panciuto Vicedirettore non desisteva.
Lo azzittii un po' bruscamente, avendo fretta: -Grazie, Dottor Bentivoglio, per la sua cortese accoglienza! Spero in una lunga e proficua collaborazione con tutti e... arrivederci!-
Quel grasso pettegolo Vicedirettore era un vero imbecille: non concludeva nessuna incombenza senza causare impicci.
Dovevo intervenire io per riportare un po' di chiarezza nella sua confusa applicazione della normativa.
Non so quando egli iniziò a odiarmi, forse fu il giorno che lo denigrai davanti a tutti gli impiegati: -Dottor Bentivoglio! Sei solo un mammalucco! Parli, parli e ti impantani in ogni pozzanghera!-
Ero diventato il suo peggior nemico ed egli si voleva vendicare.
Avevo intuito le sue intenzioni, ma non le avevo prese in considerazione: egli era troppo sciocco per potermi causare dei fastidi.
Invece sbagliai e mi fidai troppo del potere dei miei protettori al Ministero.
Anche Bentivoglio aveva i suoi amici e fece ricorso a loro per liberarsi di me e sostituirmi nella direzione dell'Ufficio.
Insistette per ottenere l'intervento dei suoi confratelli di un'associazione massonica e ottenne la visita di un Ispettore che era conosciuto per la sua severità: era un uomo pieno di rancore verso il Mondo e in particolare nei confronti dei meridionali.
Se fosse nato tre secoli prima sarebbe stato giudice della Santa Inquisizione.
Vestiva abiti antiquati e scuri: era un po' curvo, alto e magro.
Aveva due occhi piccoli e foschi, le guance incavate e la pelle butterata da malato di fegato.
Qualcuno penserà che ho del rancore verso quest'uomo, ma oggi considero questa vicenda con distacco e sono il più possibile obiettivo.
L'Ispettore fraternizzò subito con Bentivoglio: erano oltretutto conterranei.
Bentivoglio si considerava il padrone dell'ufficio e non nascondeva più le sue opinioni nei miei confronti: -E' arrivato il castigamatti! E' finita la pacchia per i lavativi e per il loro protettore!-
Gli impiegati si schierarono tutti in mia difesa, perché con me avevano avuto tutte le agevolazioni che ogni statale desidera: permessi, passaggi di carriera, favori di ogni tipo e soprattutto perché coprivo le loro magagne.
Bentivoglio, quella spia, collaborò con l'Ispettore a trovare le pecche e le inefficienza dell'ufficio: i registri mai completati, ammanchi di ogni genere e errori grossolani.
Ero nei pasticci, perché una nota di demerito mi sarebbe costata la promozione a dirigente superiore del Ministero delle Dogane.
Chiesi aiuto ai miei amici, ma nessuno poté intervenire: quel cupo Ispettore non era influenzabile dai notabili del mio gruppo di potere, perché dipendeva da un'associazione rivale.
Capii di essere una vittima di una guerra tra fazioni clientelari dell'Amministrazione Statale: sino ad allora ero riuscito a evitare coinvolgimenti di questo genere, ma qualcuno della corrente rivale aveva saputo della mia prossima promozione al Ministero.
Era scattata la lotta per sostituirmi e si erano serviti di Bentivoglio come pedina per i loro scopi.
L'Ispettore mi stava mettendo alle corde: -Dottor Abramo, ogni giorno che passa la sua situazione peggiora! Forse sarò costretto a denunciarla alla Magistratura!-
-Lei non può far questo! Le lacune sono solo di ordine amministrativo e non riguardano il Codice Penale!-
-Mi vuol insegnare il mio mestiere? Non sa dirigere un ufficio di questa dimensione e pretende di correggermi!-
Contro quel burbero individuo non serviva nulla: le suppliche lo indurivano e le risposte decise lo incattivivano.
Non avevo più scampo: mi vedevo già trasferito nel peggiore ufficio doganale di frontiera, lontano dalla vita civile e dalle belle donne.
Era anche per le miei avventure galanti che l'Ispettore mi odiava: era un bigotto e non ammetteva trasgressioni alla morale: -Lei è uno sporcaccione! Infastidisce tutte le impiegate e appena può si fa un'amante!-
Risposi contrariato -Le mie faccende personali non la riguardano!-
-I dipendenti pubblici devono avere una vita privata irreprensibile e l'Amministrazione Statale deve vigilare anche sulla loro buona condotta fuori ufficio!-
Quel maledetto corvo mi stava rovinando la carriera e il matrimonio.
Mia moglie aveva assecondato per anni le mie scappatelle con le altre donne, per non spezzare la famiglia, ma uno scandalo l'avrebbe costretta a chiedere la separazione legale: nella relazione da mandare al Ministero c'era specificata la mia immoralità, tutti gli amici e i parenti avrebbero conosciuto la mia vita privata.
I miei amici mi promisero di salvare almeno il mio impiego, ovviamente avrei dovuto accettare qualsiasi trasferimento in sedi disagiate.
Mi ero rassegnato: avrei subito le conseguenze di questa tempesta inaspettata e avrei tentato di riaccomodare la situazione con il tempo.
Invece la fortuna si era scordata di me solo per poco: il mio amico dell'università, Antonio Cianetti, era un deputato del partito di maggioranza.
Da anni cercava di diventare ministro, ma qualcuno gli soffiava la poltrona all'ultimo momento.
Ormai ero convinto che egli non sarebbe mai riuscito nel suo intento: era in una corrente politica di minoranza, ai margini del partito.
Stavo sfogliando svogliatamente un giornale pomeridiano e lessi il nome di Antonio nella lista dei nuovi ministri: era a capo del Ministero delle Dogane.
Il mio umore mutò improvvisamente: corsi al primo telefono pubblico per capovolgere la mia situazione.
-Ciao Antonio! Sono Ignazio! Complimenti per la tua nomina!-
Dopo i convenevoli gli ricordai tutti i favori che gli avevo concesso.
Fui un po' frettoloso e usai poco tatto, ma Antonio mi assicurò il suo intervento: -Questo Ispettore lo richiamerò subito e gli insegnerò il rispetto dovuto alle persone per bene!-
Ero risorto dalle mie ceneri e mi preparavo alla vendetta.
Il giorno dopo mi presentai in ufficio con due ore di ritardo: l'Ispettore mi volle rimproverare in presenza dei miei impiegati: -Nella sua situazione non si permetta negligenze di questo genere! La puntualità per un Capoufficio è il primo dei suoi
obblighi!-
Gli risposi con decisione e non più intimorito: -Sono io il Direttore, devo rendere conto solo al Ministro della mia condotta e non a un ometto della sua specie!-
-Come si permette! Io....-
-Taccia! Non sono più disposto a sopportare le sue prepotenza! Sarò io che la denuncerò per la sua indegna condotta!-
Raggelai i presenti: mi credettero impazzito e mi considerarono totalmente rovinato.
L'Ispettore rimase in silenzio, sorpreso dalla reazione, poi ritrovò la sua autorità e mi ordinò: -Esca immediatamente da questo ufficio! Si consideri licenziato!-
-E' a lei che conviene chiudere l'inchiesta e andarsene come nulla fosse capitato. Inoltre non ha il potere di esonerarmi dal servizio, perché questo dipende dal Ministro!-
La telefonata di Antonio non si fece attendere: l'Ispettore cercò di mutare l'opinione del Ministro con atti, prove e testimonianze, ma dopo due ore di discussione dovette rassegnarsi.
Era offeso e depresso: i suoi principi erano stati calpestati.
Egli mi odiava, ma non ebbe più il coraggio di parlarmi: se ne tornò a Roma il giorno stesso, senza salutare nessuno.
Bentivoglio, quel vigliacco, cercò di correre ai ripari: mi supplicò di non prendere provvedimenti nei suoi confronti, se non per lui per la sua famiglia.
Fui magnanimo e mi accontentai di un trasferimento in una sede disagiata, molto lontana dalla sua regione natale, alla quale egli era profondamente legato.
Se si impegnerà in pochi anni avrà un avvicinamento.
La mia promozione la ottenni in anticipo, grazie ad Antonio, e oggi aspiro alla pensione, avendo raggiunto il livello più alto della carriera.
Quando non lavorerò più mi dedicherò alla pittura.
Chissà se riuscirò ad avere un po' di successo?
I miei "amici" mi potrebbero aiutare, favorendo il giudizio positivo dei critici legati alla nostra associazione.

RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli statali. Gioie e dolori per il posto fisso”
Scritto da Arduino Rossi
Morpheo editore – Narrativa
presente in IBS e altre librerie online
http://www.morpheoedizioni.it/Gli_Statali.htm

17/4 IL PASTICCIONE (racconto di Arduino Rossi)


Ho ventotto anni di servizio nell'ufficio Riscontro Imposte sui Prodotti di Lusso e sarei in pensione, grazie alle agevolazioni per impiego in sede disagiata, se non fosse per mantenere i miei figli.
Lo stipendio non mi è sufficiente e accumulo venticinque ore straordinarie ogni settimana per arrivare a fine mese: in casa mia i soldi non bastano mai, tanti ne entrano e tanti ne escono.
Io e mia moglie spendiamo quasi tutto per i ragazzi: nulla deve mancare a loro ed essi devono studiare nelle migliori scuole, avere tutte le occasioni e i divertimenti adatti.
Alcuni anni fa pretendevo che i miei figli studiassero e con tutto l'impegno.
Dicevo: -Saranno degli stimati liberi professionisti, costi quel che costi!-
Mia moglie Anna era più comprensiva: -Saranno loro a scegliere la professione giusta! E' meglio che siamo buoni impiegati che ingegneri negligenti!-
Non l'ascoltavo: ero certo che i miei figli avrebbero saputo usufruire delle opportunità che offrivano loro con le nostre rinunzie.
Ne facevo dei sacrifici! Le responsabilità sul lavoro crescevano ogni giorno e nuovi decreti, sempre più complessi, erano promulgati: diventava impossibile conoscere tutti i cavilli e le sfumature delle normative.
I rapporti con i colleghi spesso erano tesi; essi erano tutti bravi ragazzi, ma divergenze sulle interpretazioni delle leggi ci portavano a litigare: -Romano! Sei il solito pasticcione! Non si sa mai dove mettere le mani nella tua scrivania, quando si ha bisogno di un documento!-
Io rispondevo: -Non ho tempo e ammucchio gli incartamenti alla rinfusa!-
-Quello sarebbe nulla! Sei pure confusionario nell'applicazione dei regolamenti: prima fai un'affermazione e subito dopo la smentisci!-
Ero "l'agnello sacrificale" dell'ufficio, ma io replicavo senza remissione: -Siete voi che non sapete lavorare con precisione. Io sono sempre ordinato e i fatti lo dimostrano!-
Il mio rapporto con loro era buono, escludendo questi contrasti: talvolta si usciva a cena tutti assieme e ci aiutavamo nei momenti difficili.
La mia vera preoccupazione era Francesco, il figlio maggiore: era un caro ragazzo, affettuoso e vivace, ma non voleva studiare.
Avevo provato con tutti i metodi possibili: le minacce, le botte e i castighi.
Egli aveva in mente solo il gioco del calcio e per esso sprecava le ore libere, dopo la scuola.
Fui costretto a chiuderlo in casa, con l'ordine di impegnarsi per migliorare i voti, concedendogli una partita di calcio alla settimana.
Egli non concluse nulla: i giudizi del primo quadrimestre furono appena sufficienti, invece le valutazioni dell'allenatore della squadra di pallone furono entusiastici: -Suo figlio è nato per il calcio! Lo lasci giocare e diventerà un campione!-
Non mi dispiaceva che Francesco amasse l'attività fisica, ma prima doveva ottenere i voti sufficienti per entrare nel Liceo Classico più rinomato della città.
Lo chiamai per l'ennesimo predicozzo: -E' bello che riesci nel calcio! Pure io volevo diventare un campione, ma la vita è molto impegnativa e devi puntare alla cultura e alla laurea!-
-Papà! Oggi i calciatori guadagnano di più di tanti ingegneri!-
-Che ne sai della vita? Non credere ai guadagni facili! Sei giovane! Hai quattordici anni! Al mondo tutto ha un costo e deve essere guadagnato!-
I ragazzi d'oggi hanno la convinzione che tutto sia a portata di mano e non sanno quanto sacrificio comporti il raggiungimento di certe mete.
Gli proibii di uscire di casa e gli sequestrai le scarpe da calcio e la divisa della sua squadra.
Francesco rimaneva nella sua camera, ma non studiava, guardava il soffitto con sguardo sognante: fantasticava il suo futuro da calciatore, con la folla che lo osannava.
Anna sosteneva che ero troppo severo: -Se quel ragazzo non è predisposto allo studio non è colpa sua!-
Io le ricordavo quanto fosse bravo Enrico, il secondogenito di dodici anni, che forse era eccessivamente studioso per la sua età.
Anna era accomodante; per lei era importante la felicità dei suoi figli e non la posizione sociale: -Enrico è un ragazzo troppo solo e triste. Non ha compagni di giochi e ha bisogno di praticare un sano sport per irrobustirsi!-
La prigionia di Francesco non dava nessun risultato e l'anno scolastico volgeva al termine.
Lo minacciai di rinchiuderlo in collegio: -Saranno i Padri Domenicani a farti studiare e loro sanno come raddrizzare un lavativo sciocco come te!-
Il giorno dopo Francesco fuggì da casa.
Mi sembrò di impazzire: sapevo di ragazzi mai più ritornati in famiglia e che erano entrati in bande criminali o erano stati vittime di sporcaccioni.
Presentai denuncia alla polizia, ma mi trattarono con indifferenza: -Ha qualche idea dove possa essere finito suo figlio?-
-Se sono qui da voi è perché non lo so!-
-Si calmi! Faremo il possibile per rintracciarlo, ma di casi come il suo ne abbiamo a migliaia in tutta Italia; speri che ritorni spontaneamente, perché non possiamo impegnare molti uomini in queste ricerche, abbiamo altre inchieste più gravi!-
Lo Stato non considerava importante la sparizione di migliaia di minori e un genitore doveva arrangiarsi con i poliziotti privati.
Mi feci consigliare una buona agenzia investigativa da un mio collega, che aveva fatto pedinare sua moglie: -Chiedi dell'agente Ambrogini. E' il migliore dell'agenzia e fu lui a scovare in fragrante mia moglie!-
Ambrogini aveva l'aspetto tipico del piedipiatti: era calvo, aveva lo sguardo perso nel vuoto ed era un vero ficcanaso.
Senza tanti complimenti mi mise a soqquadro la casa, cercando non so quale elemento per la sua indagine.
Se ne andò, assicurandomi che aveva già capito dove fosse Francesco, chiedendomi un cospicuo anticipo.
Mi misi in malattia e per una settimana rimasi ad attendere notizie, vicino al telefono.
Ero dilaniato dall'angoscia: speravo nel ritorno di Francesco per abbracciarlo con esultanza, ma anche desideravo con rabbia di punirlo.
Non arrivavano notizie né dalla polizia né dall'agente privato.
Pervenivano solo telefonate di amici e di parenti: consolavano mia moglie, mi incoraggiavano e davano molti consigli inutili.
Anna piangeva e non parlava, ma una mattina si tranquillizzò senza apparente motivo: mi si avvicinò e mi pose la mano sulla spalla: -Sono convinta che nostro figlio stia bene e non corre pericoli!-
Non badai al suo tono troppo sereno per non nascondere qualche notizia positiva, ma il giorno dopo le chiesi: -Cara! Sai qualcosa di Francesco? Ha telefonato?-
-Sì! Ma non volevo dirlo a te, perché temevo che avresti messo nei guai chi lo ospita! Francesco è a casa di un amico, non so quale e promette di ritornare.-
Anna nascondeva la completa verità e probabilmente aveva l'indirizzo dell'amico e temeva la mia eccessiva severità.
Cercai di assecondare i suoi intenti e le promisi di non punire il ragazzo.
Ella mi disse: -E' a casa dei nonni, al paese!-
Fu come una coltellata nella schiena: -Quindi sono i tuoi genitori che hanno dato rifugio a Francesco! Noi stavamo morendo di crepacuore e i "Signori" stavano viziando e rimpinzando di dolci quel mascalzone!-
Non c'era buon sangue tra me e i suoceri: ero un marito troppo povero per la loro figlia ed essi non mi avevano mai perdonato di averla sposata.
Certamente stavano complottando alle mie spalle, istigandomi contro il ragazzo.
Non ascoltai le suppliche di Anna di non causare impicci: partii il giorno stesso, deciso a far stare al loro posto i suoceri e riportare all'ovile la pecorella smarrita, anche con la forza.
Durante il viaggio ripensai al mio modo di educare Francesco: ipotizzai che non era tutta colpa sua.
I nonni mi fermarono sull'uscio: -Non ti lasciamo entrare! Se tenti di riprenderti tuo figlio con la prepotenza, telefoniamo ai carabinieri!-
Non badai a loro e chiamai Francesco, che uscì titubante e con il capo chino.
Gli posi affettuosamente un braccio attorno al collo, egli pianse chiedendomi perdono.
I nonni furono sorpresi e non dissero nulla: prepararono i pochi abiti di Francesco e lo salutarono commossi.
Soffrivano la solitudine della vecchiaia e avevano sperato di poter tenere il ragazzo con loro ancora un po' di tempo.
Io li ringraziai: -Sono contento che ci siete stati voi a ospitare questo figliolo! Dove sarebbe andato senza un sicuro
rifugio accogliente?-
Durante il viaggio di ritorno nessuno dei due sapeva incominciare un dialogo: non volevo ammettere i miei eccessi e Francesco temeva le mie sfuriate.
Rimanemmo in silenzio alcune ore, poi: -Papà! Non volevo far soffrire te e la mamma, ma sono fuggito per non finire in collegio!-
-Non temere! La scuola la sceglieremo assieme!-
Gli si illuminò il viso e non parlò più: era troppo felice.
Oggi studia con discreto risultato e sta concludendo una scuola professionale, con buone prospettive di inserimento nel mondo del lavoro, ma è proprio nel gioco del calcio che Francesco mi sta dando grosse soddisfazioni: è stato ingaggiato da una importante squadra di Milano e l'allenatore è certo del futuro da
campione di mio figlio.

RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli statali. Gioie e dolori per il posto fisso”
Scritto da Arduino Rossi
Morpheo editore – Narrativa
presente in IBS e altre librerie online
http://www.morpheoedizioni.it/Gli_Statali.htm

17/4 Il governo italiano libera i tre in Afghanistan (Paolo Rossi)



Il governo italiano riesce a far liberare i tre operatori di Emergency: erano stati arrestati il 10 aprile a Lashkar Gah, nel sud dell'Afghanistan.
Franco Frattini, Ministro degli Esteri ha comunicato la notizia: Marco Garatti, Matteo dell'Aira e Matteo Pagani sono stati scagionati da tutte le accuse.
Mentre Gino Strada comunica la sua intenzione di tornare in Afghanistan, nei loro ospedali.
Auguri!

17/4 I voli soppressi e l'Europa appiedata (Arduino Rossi)



Sono 63mila i voli annullati dal 15 aprile sino al 19 aprile, questo dato viene da Eurocontrol: il vulcano islandese sta mettendo in crisi le compagnie europee e soprattutto i trasposti delle persone.
E' un disastro inaspettato sta mettendo in crisi la vita europea, compreso quelle della finanza e degli uomini politici.
I turisti danno “l'assalto ai treni” per tornare a casa.

17/4 Il papa ha visto le vittime dei preti pedofili e si è commosso (Angelo Ruben)



Una vittima dei preti pedofili ha detto: “Ho visto il Papa piangere di emozione e mi sono sentito liberato da un gran peso”.
Lawrence Grech parla: “Non mi aspettavo scuse dal Papa ma ho visto in lui e nel vescovo di Malta l'umiltà di una Chiesa che in quel momento rappresentava tutto il problema della Chiesa moderna”.
Invece è stata totalmente infelice l'intervento dei soliti pennivendoli, potevano risparmiarci il loro attacco continuo e pretestuoso a questo pontefice.
Si stanno dimostrando sempre più i servi di un potere cieco, arrogante, egoista, interessato, senza scrupoli.

17/4 Le compagnie aeree tedesche vogliono tornare a volare (Antonio Rossi)



I voli sull'Europa sono quasi tutti fermi, ma non tutti sono d'accordo sulla sosta forzata.
Le compagnie aeree tedesche Lufthansa e Air Berlin contestano la chiusura dello spazio aereo su quasi tutta Europa: sostengono che non hanno fatto test sufficienti per poter dimostrare che le ceneri del vulcano islandese siano pericolose alla navigazione aerea.
I loro aerei non hanno subito danni dopo i voli di prova e quindi chiedono di poter volare.

17/4 L'ARTISTA (racconto di Arduino Rossi)


Non avrei mai creduto di dover tornare in questo ufficio, con le stesse mansioni di dodici anni fa.
Ero felicissima quando me ne andai per sposare Enrico e iniziare quella che sarebbe stata la rovina della mia vita.
Nella Sezione del Ministero degli Affari Economici, Ufficio Ristrutturazioni, le mie giornate si susseguivano uguali: il mio era un compito ripetitivo, di nessun impegno intellettuale e di scarsa professionalità.
Ero spesso in malattia e prendevo molte ore di permesso per uscire da quell'ambiente deprimente.
I miei interessi erano fuori ufficio: dipingevo, scrivevo poesie e romanzi d'amore, suonavo il pianoforte e cantavo.
Era un continuo susseguirsi di interessi e di divertimenti.
Rimanevo con gli amici sino a notte inoltrata e ogni giorno era differente dal precedente: conoscevo nuove persone e soddisfacevo la mia propensione alla frenesia e all'arte.
Gioia e colori sprizzavano da me e il mondo mi girava attorno.
Ebbi molti ragazzi: nessuno di loro era congeniale alla mia personalità: li giudicavo tutti un po' sciocchi e indecisi, senza il dinamismo di chi si vuol aprire una strada nella vita.
In verità neppure io concludevo molto: facevo tutto bene, ma impegnavo poco tempo per ogni interesse artistico, stancandomi di tutto.
Avevo tanti corteggiatori, forse troppi e spesso i più sfacciati mi infastidivano.
Non tutto era rose e fiori: saltuariamente avevo isteriche crisi d'angoscia.
I miei genitori, con pazienza, mi consigliavano preoccupati: -Elisa! Ti interessi di troppi argomenti! Concentra le tue capacità in un solo settore! Metti un po' di ordine nei tuoi sentimenti e nella tua esistenza!-
Papà e mamma avevano ragione, ma a ventitré anni non si comprende che il tempo ci scivola dalle mani e che è l'epoca propizia per costruire qualcosa di buono.
Ero nata per dipingere: i miei quadri piacevano a quasi tutti per le linee semplici ed eleganti del disegno, i colori vivaci.
Qualche invidioso diceva che i miei dipinti fossero tecnicamente perfetti e insulsi, vuoti come me.
Io deridevo la loro opinioni, sicura di essere una grande artista: nessun critico mi aveva ancora valorizzato, ma ero convinta che presto sarebbe arrivato il mio momento.
Mi annoiavo in ogni situazione: cambiavo spesso amicizia, perché tutti mi infastidivano e nessuno mi era simpatico.
Anche nel dipingere ero incostante: avrei potuto esporre, ma non ebbi mai tante tele sufficienti per una mostra.
La confusione stava travolgendo i miei fragili freni inibitori, quando conobbi Enrico: aveva già trentotto anni, con un passato pieno di esperienze di ogni genere ed era stanco di tutto.
Era l'opposto di me e non so perché mi misi con lui: probabilmente fu per il bisogno di sicurezza e per il pensiero del futuro.
Egli mi dava la stabilità anche con le sue rendite: il padre aveva un'industria, non molto grande, ma solida, con una buona resa economica.
Enrico non si era interessato agli affari sino ad allora: il padre gestiva tutto con grande scrupolo e con professionalità.
Enrico era un bell'uomo: alto e sempre abbronzato.
Aveva l'unico difetto di essere un po' all'antica, come un nobile sfaccendato d'altri tempi.
Aveva molte ragazze che gli ronzavano attorno, ma egli si divertiva con loro, senza pensare al matrimonio.
Per spirito di competizione o per gioco, provai con lui la mia abilità da seduttrice e mi trovai sposata senza veramente desiderarlo.
Abbandonai i miei amici, il lavoro e le festicciole, che terminavano quasi sempre a notte inoltrata ed erano la prima causa della mia vita sbandata.
Enrico era metodico e paziente: mi impose le sue maniere e mi appoggiò nella mia carriera artistica.
Spendetti molti soldi per pubblicizzare le mie esposizioni, con risultati disastrosi.
La critica e il pubblico mi furono avversi, io stessa mi stavo accorgendo che la mia nuova esistenza mi aveva tolto ogni ispirazione: i colori delle mie opere si stavano smorzando e i tratti del disegno perdevano carattere.
Pure io stavo mutando, l'aria tetra della villa di Enrico mi soffocava; la mobilia, i quadri e le spesse tende alle finestre ricordavano generazioni di abili imprenditori, che avevano imposto il loro punto di vista al Mondo e non ammettevano nulla di diverso dal gusto e dal modo di esistere da loro creato.
Mio marito tesseva una ragnatela, giorno dopo giorno, attorno a me: voleva mutarmi in una parte intonata della casa, pronta ai suoi desideri e d'accordo con le sue opinioni.
lo conoscevo sempre meglio: la sua natura, in apparenza tranquilla, era in realtà maligna e di una sottile cattiveria caparbia.
Egli spense ogni mio entusiasmo e io iniziai a odiarlo.
Tutto doveva stare al suo posto: abiti, contegno e abitudini.
Non c'era mai nulla di nuovo, ogni giorno era uguale al precedente.
Era il denaro che mi tratteneva vicino a lui: non sapeva rinunciare al lusso e alle comodità di una vita da Signora.
Furono dodici anni tremendi: il suo silenzio tradiva il suo disprezzo verso me.
Ero ormai un'intrusa in un mondo non mio e pure la servitù mi era ostile.
Il vecchio padre morì improvvisamente ed Enrico lo sostituì nella direzione dell'azienda: fu un incapace e in pochi anni dilapidò il patrimonio accumulato dalle generazioni precedenti.
Divenne intrattabile e fui il suo capro espiatorio: -Sei tu che hai succhiato tutte le mie energie! Ero un uomo di carattere e ora sono un rammollito!-
-No caro! Non mi puoi incolpare dei tuoi fallimenti! Sino a quando c'era tuo padre e avevi le spalle coperte, ti potevi atteggiare a uomo superiore: oggi ti dimostri un individuo insulso e privo di tempra!-
Il rapporto con lui divenne impossibile: egli approfittava di ogni situazione per offendermi, davanti alla servitù e ai parenti.
Non resistetti oltre e lo lasciai, restituendogli tutti i suoi preziosi regali con disprezzo.
L'atto fu eccessivamente precipitoso, mi trovai senza sostentamento e senza casa.
Tornai dai miei genitori, che mi accolsero con muta contrarietà: avevo rotto il sacro vincolo del matrimonio.
Mi feci riassumere nel mio ufficio, ma gli anni avevano cambiato anche i colleghi: furono freddi e scontrosi, isolandomi.
La causa di divorzio fu un disastro: ottenni solo il minimo degli alimenti possibili per legge, una miseria.
Mio marito aveva recuperato parte del patrimonio e per vendetta aveva speso molto in validi avvocati, pur di ottenere la mia completa sconfitta.
Gli amici di allora sono tutti accasati e con professioni decorose: non si ritrovano più per le bizzarre serate di allegria.
Qualcuno dice che sono acida e brusca, sto in ufficio il più possibile per far passare il tempo.
Le sere sono tutte uguali: grigie e solitarie, senza amici.
I miei migliori quadri dei bei giorni sono appesi nella mia camera e quando li guardo mi commuovo: ero un'ottima pittrice e ora non so più disegnare uno schizzo.

RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli statali. Gioie e dolori per il posto fisso”
Scritto da Arduino Rossi
Morpheo editore – Narrativa
presente in IBS e altre librerie online
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17/4 L'IDEALISTA (Racconto di Arduino Rossi)


E' incredibile come sia difficile comprendere la natura più segreta di una persona: ho scoperto proprio ieri i veri intenti di un mio ex collega, dell'Istituto di Prevenzione Incidenti del Lavoro.
Giuliano Gelpi ci ha ingannato tutti per anni con le sue cordiali maniere educate: era generoso, sempre pronto ad aiutare il prossimo.
Era ligio e pignolo nelle sue incombenze, che eseguiva con allegria e con buona volontà.
Non una sola volta fu visto adirato: sembrava che vivesse in una dimensione idilliaca tutta sua, lontano dalle miserie di noi comuni.
Si interessava della difesa degli animali, di tutte le specie indiscriminatamente e della salvaguardia dei fiori di montagna.
I suoi impegni si erano poi allargati ai bambini abbandonati e maltrattati, ai vecchi soli, contro la vivisezione e non so a quante altre cause umanitarie.
Egli affiggeva sulla bacheca d'entrata dell'Istituto i manifesti di propaganda delle sue iniziative e rispondeva alle nostre perplessità con pazienza missionaria.
Era "perfetto", assomigliava a un Santo tutto virtù e niente debolezze.
Io dubitavo della sua sincerità: Giuliano doveva avere qualche difetto, come ogni mortale.
I miei colleghi erano certi della sua buona fede: -Giuliano è in gamba! Nonostante l'apparenza del suo fisico minuto e della sua voce sottile, ha un temperamento forte! E' da stimare!-
Qualche volta lo deridevano per le sue convinzioni quasi fanatiche e il tono da pretino.
Egli era credente, ma non praticante: si era inventato una religione tutta sua, rivolta verso i grandi problemi del nostro tempo.
Parlava spesso di Dio e del dovere degli uomini nei confronti dei più deboli e della natura.
Lo credevamo una roccia: sempre uguale a se stesso, senza un'incertezza, egli era un punto fermo in un mondo di opportunisti e di banderuole.
Il giorno che non si presentò in ufficio ci fu un coro di commenti: -E' di carne e di ossa pure lui! Si è ammalato per la prima volta dopo otto anni di indefesso servizio!-
Fu assente per un'intera settimana, che giustificò in ritardo con un certificato medico incompleto.
Il capoufficio chiuse un occhio per il suo passato da impiegato modello e non prese momentaneamente provvedimenti.
Dopo la presunta malattia Giuliano era totalmente mutato: era dimagrito sino a essersi ridotto a pelle e a ossa, aveva le occhiaia per le notti di veglia.
Era divenuto brusco e schivo, perché un grave problema lo affliggeva: si intuiva dagli occhi e dal viso che egli era irritato e pensieroso.
Non si preoccupava di concludere una sola pratica e il capoufficio lo richiamò più volte, ma egli rimase indifferente.
Questa situazione durò un mese, poi egli chiese un lungo periodo d'aspettativa: se ne partì senza dare spiegazioni e senza salutarci, come fossimo la causa del suo guaio.
Le illazioni furono numerose e contraddittorie: -E' ammalato di A.I.D.S.! C'era qualcosa di anormale in lui!-
-Per me ha dei debiti di gioco! Un mio amico ha detto che lo aveva visto in un losco locale di giocatori d'azzardo.-
-Figuratevi! Uno come lui si comporta in modo così misterioso solo quando subisce un grave torto! Sarà stato ingannato da una di quelle comunità che frequentava e ora dovrà cambiare aria, per la sua tranquillità!-
Ascoltavo tutte le opinioni dei miei colleghi, ma neppure una mi parve accettabile: Giuliano non si sarebbe mai messo in un imbroglio così scioccamente e se si fosse ammalato non sarebbe fuggito in qualche località isolata a morire, all'insaputa dei conoscenti.
I pettegolezzi durarono dei mesi e poi si affievolirono, Giuliano non interessava più a nessuno: tutto quello che si era potuto inventare su di lui era stato detto.
Invece, ogni tanto, io mi chiedevo che fine avesse fatto e perché egli era mutato in quel modo improvvisamente.
Alcuni anni trascorsero senza notizie di Giuliano: pareva svanito nel nulla.
Ieri mattina stavo passeggiando nel centro di Milano quando lo intravvidi: lo chiamai e corsi per raggiungerlo.
Gli misi una mano sulle spalle ed egli si voltò stupito e infastidito.
Mi riconobbe, spalancò gli occhi e mi disse con foga gioiosa: -Quanto tempo è che non ci vediamo! Va tutto bene da voi, in ufficio?-
Gli chiesi: -Perché ti sei eclissato?-
Egli rimase un po' silenzioso e mi invitò in un bar: ci sedemmo a un tavolino isolato ed egli mi raccontò le sue vicissitudini.
Aveva una doppia esistenza: una per esibire la coerenza ai suoi ideali e l'altra pratica e celata, per raccogliere i fondi necessari ai suoi impegni umanitari.
Aveva tralasciato il buon senso nella fretta di guadagnare sempre più denaro e si era immischiato in affari sempre più loschi.
Sapeva con quali galantuomini aveva a che fare, ma i suoi animali e le persone aiutate da lui non potevano attendere.
Egli se ne era andato dall'Istituto per sfuggire alla Giustizia: era implicato nel riciclaggio del denaro di un rapimento.
Si era rifugiato all'estero, in un paese dell'Estremo Oriente, e aveva trafficato in droga.
Aveva accumulato un grosso capitale ed era rientrato in Italia, perché le precedenti accuse erano cadute.
Oggi egli è un uomo d'affari rispettoso delle leggi, ma non prova un minimo di rimorso per gli errori del passato: -Ho fatto questo solo per validi motivi: ho tolto molti bambini dalla miseria, ho contribuito a tutte quelle cause che permettono a questo Mondo di essere accettabile!-
-Hai però commesso dei crimini! Hai rovinato molti giovani con la droga! Sei stato complice di pericolosi delinquenti senza scrupoli!-
-Non si può ottenere il bene senza pagare un prezzo elevato! Io lavoro per un Mondo Migliore e che cosa vuoi che me ne importi di qualche insignificante Drogato o di qualche reato in più! E' il risultato finale che mi preme!-
Mi rivelò i rischi corsi per colpa dei suoi complici: individui violenti, senza scrupoli e pronti a qualsiasi abominio per denaro.
Giuliano fu più furbo di loro, denunciandoli alla polizia, quando le minacce stavano per essere messe in pratica.
Fu appunto facendo il doppio gioco che egli evitò il carcere, ma tutt'oggi teme le vendette della malavita.
Ha rotto tutti i ponti col passato e non ha fatto più sapere ai vecchi conoscenti dove risiede e come vive: oggi ha una nuova esistenza, con nuovi amici, prosegue nelle opere di beneficenza, spendendo parte dei suoi lauti guadagni.
Dopo tutte quelle vicissitudini, al momento dell'arrivederci, Giuliano mi confessò che sarebbe stato disposto a ripetere tutto e a rischiare come allora, se l'avesse considerato utile ai suoi fini.

RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli statali. Gioie e dolori per il posto fisso”
Scritto da Arduino Rossi
Morpheo editore – Narrativa
presente in IBS e altre librerie online
http://www.morpheoedizioni.it/Gli_Statali.htm

17 apr 2010

17/4 Cerca di uccidersi, ma il treno non le fa nulla (Angelo Ruben)



Nel Napoletano, a Torre del Greco, della Circumvesuviana una donna di 40 anni ha tentato di uccidersi: era sulla massicciata della ferrovia, accanto ai binari.
Il macchinista l'aveva vista e aveva suonato, la donna si è scansata, poi si è collocata sui binari, ma la sua fortuna è stata grande: il treno le ha provocato solo escoriazioni, senza ucciderla, avendo una grande fortuna.
Speriamo che riesca a superare i suoi problemi e riconosca la grazia che “qualcuno” le ha concesso.

17/4 Extracomunitario tenta di violentare ragazza e la morsica (Teresa Togni)



I carabinieri hanno arrestato un nordafricano di 22 anni, abitante nel modenese per tentato stupro.
La ragazza di 22 anni stava facendo jogging alla periferia di Fabbrico ,nella provincia di Reggio Emilia, quando è stata aggredito dall'extracomunitario, che si riteneva in diritto di fare uno stupro.
La ragazza si è salvata, ma ha ricevuto un morso dal delinquente, che è servito a riconoscere il nordafricano: era un'impronta certa del potenziale stupratore.
Il “povero emarginato” ha confessato il suo reato dopo la cattura.
Ora bisogna chiedersi cosa vogliono fare le autorità e la casta politica contro costoro, contro la loro cultura che vede tutte le donne senza velo come delle puttane da abusare liberamente, specialmente se infedeli.
Dio ci salvi dal sociologismo demenziale, per molte donne tutto questo è e sarà fatale.