Ho ventotto anni di servizio nell'ufficio Riscontro Imposte sui Prodotti di Lusso e sarei in pensione, grazie alle agevolazioni per impiego in sede disagiata, se non fosse per mantenere i miei figli.
Lo stipendio non mi è sufficiente e accumulo venticinque ore straordinarie ogni settimana per arrivare a fine mese: in casa mia i soldi non bastano mai, tanti ne entrano e tanti ne escono.
Io e mia moglie spendiamo quasi tutto per i ragazzi: nulla deve mancare a loro ed essi devono studiare nelle migliori scuole, avere tutte le occasioni e i divertimenti adatti.
Alcuni anni fa pretendevo che i miei figli studiassero e con tutto l'impegno.
Dicevo: -Saranno degli stimati liberi professionisti, costi quel che costi!-
Mia moglie Anna era più comprensiva: -Saranno loro a scegliere la professione giusta! E' meglio che siamo buoni impiegati che ingegneri negligenti!-
Non l'ascoltavo: ero certo che i miei figli avrebbero saputo usufruire delle opportunità che offrivano loro con le nostre rinunzie.
Ne facevo dei sacrifici! Le responsabilità sul lavoro crescevano ogni giorno e nuovi decreti, sempre più complessi, erano promulgati: diventava impossibile conoscere tutti i cavilli e le sfumature delle normative.
I rapporti con i colleghi spesso erano tesi; essi erano tutti bravi ragazzi, ma divergenze sulle interpretazioni delle leggi ci portavano a litigare: -Romano! Sei il solito pasticcione! Non si sa mai dove mettere le mani nella tua scrivania, quando si ha bisogno di un documento!-
Io rispondevo: -Non ho tempo e ammucchio gli incartamenti alla rinfusa!-
-Quello sarebbe nulla! Sei pure confusionario nell'applicazione dei regolamenti: prima fai un'affermazione e subito dopo la smentisci!-
Ero "l'agnello sacrificale" dell'ufficio, ma io replicavo senza remissione: -Siete voi che non sapete lavorare con precisione. Io sono sempre ordinato e i fatti lo dimostrano!-
Il mio rapporto con loro era buono, escludendo questi contrasti: talvolta si usciva a cena tutti assieme e ci aiutavamo nei momenti difficili.
La mia vera preoccupazione era Francesco, il figlio maggiore: era un caro ragazzo, affettuoso e vivace, ma non voleva studiare.
Avevo provato con tutti i metodi possibili: le minacce, le botte e i castighi.
Egli aveva in mente solo il gioco del calcio e per esso sprecava le ore libere, dopo la scuola.
Fui costretto a chiuderlo in casa, con l'ordine di impegnarsi per migliorare i voti, concedendogli una partita di calcio alla settimana.
Egli non concluse nulla: i giudizi del primo quadrimestre furono appena sufficienti, invece le valutazioni dell'allenatore della squadra di pallone furono entusiastici: -Suo figlio è nato per il calcio! Lo lasci giocare e diventerà un campione!-
Non mi dispiaceva che Francesco amasse l'attività fisica, ma prima doveva ottenere i voti sufficienti per entrare nel Liceo Classico più rinomato della città.
Lo chiamai per l'ennesimo predicozzo: -E' bello che riesci nel calcio! Pure io volevo diventare un campione, ma la vita è molto impegnativa e devi puntare alla cultura e alla laurea!-
-Papà! Oggi i calciatori guadagnano di più di tanti ingegneri!-
-Che ne sai della vita? Non credere ai guadagni facili! Sei giovane! Hai quattordici anni! Al mondo tutto ha un costo e deve essere guadagnato!-
I ragazzi d'oggi hanno la convinzione che tutto sia a portata di mano e non sanno quanto sacrificio comporti il raggiungimento di certe mete.
Gli proibii di uscire di casa e gli sequestrai le scarpe da calcio e la divisa della sua squadra.
Francesco rimaneva nella sua camera, ma non studiava, guardava il soffitto con sguardo sognante: fantasticava il suo futuro da calciatore, con la folla che lo osannava.
Anna sosteneva che ero troppo severo: -Se quel ragazzo non è predisposto allo studio non è colpa sua!-
Io le ricordavo quanto fosse bravo Enrico, il secondogenito di dodici anni, che forse era eccessivamente studioso per la sua età.
Anna era accomodante; per lei era importante la felicità dei suoi figli e non la posizione sociale: -Enrico è un ragazzo troppo solo e triste. Non ha compagni di giochi e ha bisogno di praticare un sano sport per irrobustirsi!-
La prigionia di Francesco non dava nessun risultato e l'anno scolastico volgeva al termine.
Lo minacciai di rinchiuderlo in collegio: -Saranno i Padri Domenicani a farti studiare e loro sanno come raddrizzare un lavativo sciocco come te!-
Il giorno dopo Francesco fuggì da casa.
Mi sembrò di impazzire: sapevo di ragazzi mai più ritornati in famiglia e che erano entrati in bande criminali o erano stati vittime di sporcaccioni.
Presentai denuncia alla polizia, ma mi trattarono con indifferenza: -Ha qualche idea dove possa essere finito suo figlio?-
-Se sono qui da voi è perché non lo so!-
-Si calmi! Faremo il possibile per rintracciarlo, ma di casi come il suo ne abbiamo a migliaia in tutta Italia; speri che ritorni spontaneamente, perché non possiamo impegnare molti uomini in queste ricerche, abbiamo altre inchieste più gravi!-
Lo Stato non considerava importante la sparizione di migliaia di minori e un genitore doveva arrangiarsi con i poliziotti privati.
Mi feci consigliare una buona agenzia investigativa da un mio collega, che aveva fatto pedinare sua moglie: -Chiedi dell'agente Ambrogini. E' il migliore dell'agenzia e fu lui a scovare in fragrante mia moglie!-
Ambrogini aveva l'aspetto tipico del piedipiatti: era calvo, aveva lo sguardo perso nel vuoto ed era un vero ficcanaso.
Senza tanti complimenti mi mise a soqquadro la casa, cercando non so quale elemento per la sua indagine.
Se ne andò, assicurandomi che aveva già capito dove fosse Francesco, chiedendomi un cospicuo anticipo.
Mi misi in malattia e per una settimana rimasi ad attendere notizie, vicino al telefono.
Ero dilaniato dall'angoscia: speravo nel ritorno di Francesco per abbracciarlo con esultanza, ma anche desideravo con rabbia di punirlo.
Non arrivavano notizie né dalla polizia né dall'agente privato.
Pervenivano solo telefonate di amici e di parenti: consolavano mia moglie, mi incoraggiavano e davano molti consigli inutili.
Anna piangeva e non parlava, ma una mattina si tranquillizzò senza apparente motivo: mi si avvicinò e mi pose la mano sulla spalla: -Sono convinta che nostro figlio stia bene e non corre pericoli!-
Non badai al suo tono troppo sereno per non nascondere qualche notizia positiva, ma il giorno dopo le chiesi: -Cara! Sai qualcosa di Francesco? Ha telefonato?-
-Sì! Ma non volevo dirlo a te, perché temevo che avresti messo nei guai chi lo ospita! Francesco è a casa di un amico, non so quale e promette di ritornare.-
Anna nascondeva la completa verità e probabilmente aveva l'indirizzo dell'amico e temeva la mia eccessiva severità.
Cercai di assecondare i suoi intenti e le promisi di non punire il ragazzo.
Ella mi disse: -E' a casa dei nonni, al paese!-
Fu come una coltellata nella schiena: -Quindi sono i tuoi genitori che hanno dato rifugio a Francesco! Noi stavamo morendo di crepacuore e i "Signori" stavano viziando e rimpinzando di dolci quel mascalzone!-
Non c'era buon sangue tra me e i suoceri: ero un marito troppo povero per la loro figlia ed essi non mi avevano mai perdonato di averla sposata.
Certamente stavano complottando alle mie spalle, istigandomi contro il ragazzo.
Non ascoltai le suppliche di Anna di non causare impicci: partii il giorno stesso, deciso a far stare al loro posto i suoceri e riportare all'ovile la pecorella smarrita, anche con la forza.
Durante il viaggio ripensai al mio modo di educare Francesco: ipotizzai che non era tutta colpa sua.
I nonni mi fermarono sull'uscio: -Non ti lasciamo entrare! Se tenti di riprenderti tuo figlio con la prepotenza, telefoniamo ai carabinieri!-
Non badai a loro e chiamai Francesco, che uscì titubante e con il capo chino.
Gli posi affettuosamente un braccio attorno al collo, egli pianse chiedendomi perdono.
I nonni furono sorpresi e non dissero nulla: prepararono i pochi abiti di Francesco e lo salutarono commossi.
Soffrivano la solitudine della vecchiaia e avevano sperato di poter tenere il ragazzo con loro ancora un po' di tempo.
Io li ringraziai: -Sono contento che ci siete stati voi a ospitare questo figliolo! Dove sarebbe andato senza un sicuro
rifugio accogliente?-
Durante il viaggio di ritorno nessuno dei due sapeva incominciare un dialogo: non volevo ammettere i miei eccessi e Francesco temeva le mie sfuriate.
Rimanemmo in silenzio alcune ore, poi: -Papà! Non volevo far soffrire te e la mamma, ma sono fuggito per non finire in collegio!-
-Non temere! La scuola la sceglieremo assieme!-
Gli si illuminò il viso e non parlò più: era troppo felice.
Oggi studia con discreto risultato e sta concludendo una scuola professionale, con buone prospettive di inserimento nel mondo del lavoro, ma è proprio nel gioco del calcio che Francesco mi sta dando grosse soddisfazioni: è stato ingaggiato da una importante squadra di Milano e l'allenatore è certo del futuro da campione di mio figlio.
RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli statali. Gioie e dolori per il posto fisso”
Scritto da Arduino Rossi
Morpheo editore – Narrativa
presente in IBS e altre librerie online
http://www.morpheoedizioni.it/Gli_Statali.htm