11 set 2012

11 settembre... 11 anni dalla strage delle torri gemelle di New York


11 settembre ha il suo 11esimo anniversario, i morti dell’attentato non hanno pace perché i meccanismi segreti che hanno portato a questo assurdo crimine sono incomprensibili: Al Qaeda esiste ancora, o meglio esiste una galassia di piccoli gruppi terroristici pronti ad agire, anche se spesso sono scollegati tra loro.
Il terrorismo islamico è legato alla presenza di teocrazie anacronistiche nel mondo, che per la loro stessa natura, non possono accettare la diffusione del libero pensiero e della libera critica.
Il problema, senza cercare complotti immaginari e assurdi, con ipotesi infantili, sta tutto

miss italia 2012 . vince la Sicilia con il televoto


La Sicilia vince Miss Italia, scusate la 18enne Giusy Buscemi è la vincitrice, tra grandi polemiche sul sistema di televoto e non solo: il gioco di Miss Italia pare sporco, o così dicono i perdenti e questa volta è tutto per il Sud, così dicono.
Che la scelta della ragazza siciliana sia una cosa pulita oppure no non conta, ma dietro ci sono molti soldi: nessuno spende capitali per far vincere una ragazza senza vere un rientro economico adeguato.
Sarebbe interessante capire e valutare cosa ci sia dietro tutto questo.

Milano . doppio omicidio in pieno centro.... che sconvolge la città


Un omicidio in pieno centro a Milano ha sconvolto la città: le vittime sono un imprenditore di 43 anni e la sua compagna di 21.
Il tutto è avvenuto a Porta Romana e la vittima è stato colpito da 7 colpi: è un imprenditore del commercio di 43 anni incensurato
Pare di essere in realtà diverse e tutto questo: l’assassinio di questo genere non fanno parte della storia di una città e l’obbligo di fermare l’avanzata della criminalità organizzata passa al primo posto nelle priorità della politica, o così dovrebbe essere.
L’illegalità diffusa poi porta a una nuova legge, quella criminale e presto vedremo sempre più vittime innocenti o meno, ma sempre più sangue nelle strade: non si può più tacere.

Marte Curiosity... la vita non c'è e non c'era







Su Marte la vita oggi non c'è, su questo fatto si è quasi certi, invece i dubbi sono se nel passato esistevano condizioni per favorire il sorgere della vita: anche per questa domanda c'è già una risposta, le argille del pianeta rosso indicano che su Marte la vita, anche nel passato, non poteva sorgere, generare spontaneamente o cadere dal cielo, come certe teorie sostengono, da qualche cometa.
Quindi perché mandare un mezzo così complesso e costoso sul suolo marziano?
Curiosity dovrebbe cercare quello che gli scienziati  a terra sanno già che non c'è: la vita passata o presente.
La verità è un'altra, su Marte si prepara la strada per la vita futura, con esseri umani che lo esploreranno e innescheranno la vita, fra decenni: questa è la risposta vera, Curiosity sta studiando il suolo marziano per la vita futura.
Perché non lo si dice è semplice: tutto questo costerà moltissimo e la ricaduta economica e scientifica ci sarà, ma molti non ne capiscono il meccanismo, così si cerca ciò che non c'è, o si fa credere questo.

Blog ...Beppe Grillo e Favia .. l'inutile guerra tra poveri



Favia e Grillo sono ai ferri corti e l'accusa del rappresentante regionale e il comico è sulla democrazia interna, così nascerà un partito che sarà formato dai fuoriusciti del Movimento 5 stelle: il loro destino è già segnato, o spariranno o confluiranno nei partiti di sinistra o spariranno.
Invece è interessante capire che quello di Grillo è il primo movimento politico nato da Internet: costa pochissimo fondare e proporre ai elettori un partito che possa poi entrare nelle realtà locali.
E' la fine della vecchia politica, costosissima e solo chi saprà gestire bene Internet vincerà e elezioni nel futuro.
Oggi però i vetusti partiti storici resistono a tutto, anche all'intelligenza, così Grillo potrebbe diventare almeno l'ago della bilancia dei traballanti governi futri, con o senza Favia.

2013 . Monti e la ripresa che ci sarà..... forse




Lui è convinto, ma noi no, perché le vere riforme non si vedono e questa situazione. 
I punti fondamentali stanno tutti nella qualità, ma questa qualità non si vede: il pubblico impiego  dovrebbe essere tutto informatizzato, ovvero si dovrebbero fare tutte le pratiche da casa, scaricando i documenti da casa e spedendo tutto via e.mail, con i relativi controlli informatizzati, seri ed efficienti.
Un esempio per tutti è quella della gestione amministrativa di Google, che gestisce milioni di situazioni con pochissimo personale.
Altro forte sta nella ricerca scientifica, che non si vede, con tagli fiscali per chi vuole investire nel settore.
Altro aiuto deve arrivare alle famiglie naturali e non a cose strambe, di moda oggi.
Tutto queto non si vede e quindi il sistema Monti è destinato a finir male: sono solo sacrifici inutili.

di paura storie ....... LA SCULTURA













LA SCULTURA

Camminavo su per dirupi, dentro boschi, abetaie, castagni, pinete.
Correvo sui nevai, dentro i canaloni, saltavo di sasso in sasso e
poi mi lanciavo in una corsa sfrenata verso il fondo valle.
Questo mio modo di concepire le camminate in montagna era considerato da folle dai più, ma con ciò io proseguivo nella mia ricerca di emozioni forti tra rocce, dentro crepacci, al bordo di precipizi.
Poi conobbi degli alpinisti che mi fecero entrare nel loro gruppo
e fui presto un ottimo arrampicatore.
Sarei potuto diventare una guida, ma rinunciai: non era un lavoro per me.
I cittadini, per di più ricchi, erano tutti presuntuosi, arroganti, o peggio paternalisti.
Non amavo farmi chiamare buon uomo, né ricevere pacche sulle
spalle come un animale da soma.
Ero libero e non sapevo cosa fosse la paura: la natura selvaggia
era affine alla mia anima scontrosa, solitaria.
Odiavo tutto ciò che fosse rumore, schiamazzo, detestavo le risate degli avvinazzati nelle baite, nelle osterie.
Campavo con quello che i forestieri mi davano per le mie sculture in legno.
Nel villaggio in fondo alla valle non ero ben visto: mi consideravano un negromante.
Ero figlio naturale di uno dei più noti erboristi, ma anche, si diceva, stregoni.
Alla sua morte, io avrei dovuto subentrare nella sua bottega, ma
lasciai andare tutto alla malora: non avevo la testa di uno scialbo e untuoso bottegaio.
Vendetti quel poco che avevo ereditato e mi comprai una casupola, dove mi rifugiavo in inverno, come una bestia nella sua tana.
Fu proprio lì che quasi per noia appresi l'arte di intagliare il morbido legno della foresta, ancora verde e resinoso.
Avevo un'abilità insolita, un'agilità e una velocità nelle mani che sorprendeva tutti.
Sostenevano in molti che quella fosse una dote donatami dal Diavolo, l'ultima eredità di una stirpe di stregoni.
Proprio esseri mostruosi, diabolici, infernali, erano i soggetti da me preferiti e quelle macabre sembianze, orripilanti, talvolta ripugnanti erano le più apprezzate dai forestieri, le meglio pagate.
Con la mia arte sarei potuto diventare ricco, ma invece il denaro guadagnato lo lascivo in una scatola colorata nella baita, senza preoccuparmi di eventuali furti.
Benché avessi rapporti sporadici con la gente, solo quelli necessari per sopravvivere, non facessi del male, anzi fossi diventato generoso anche con il parroco e i poveri, la mia cattiva fama era accresciuta.
Si iniziava a bisbigliare che fossi un ladro, un degenerato, un maniaco.
L'invidia nei miei confronti aumentava con l'espandersi della fama delle mie opere: le voci maligne non smettevano mai di ciarlare.
Persino i furti e i più gravi atti vili erano attribuiti a me.
A quel punto apparvero i testimoni, persona sospette, gran bevitori, mitomani, bugiardi riconosciuti, che divennero credibili quando raccontavano di avermi visto nei pressi di questo o quel misfatto.
I gendarmi iniziarono a interessarsi a me, pur non credendo a quelle fandonie: mi cercarono più volte per interrogarmi.
Io non avevo testimoni o alibi per scagionarmi da tutte quelle assurdità: fui arrestato e gettato in carcere dove avrei dovuto scontare molti anni.
Non ero adatto a sopravvivere in un ambiente chiuso, umido e sporco, maltrattato dai compagni di pena, dai secondini.
La nostalgia delle mie montagne mi fu fatale: non mangiavo, ero
in un angolo in silenzio.
Pure i più stupidi tra i miei vicini di cella si stancarono di stuzzicarmi.
La mia abbronzatura mutò in un colorito giallognolo, sempre più
chiaro.
La morte mi sorprese ormai privo di sensi: ero diventato una larva, un cadavere con un soffio di vita.
Ero completamente innocente, ma questo non importava alle guardie, ai giudici, ai miei compaesani ipocriti.
Ci fu chi provò rimorsi, chi invece si sentì soddisfatto, mentendo pure a se stesso.
Qualcuno cercò una timida riabilitazione della mia memoria.
Le mie opere erano sempre più valorizzate: ora costatavo parecchio.
Ci fu chi guadagnò vendendo ciò che aveva ottenuto con qualche centesimo o una scodella di minestra.
La mia memoria, per interesse, era rivalutata poco alla volta.
Pure il processo penale stava per essere riesaminato e le numerose assurdità, che mi avevano condotto alla rovina, erano
stigmatizzate dalla stampa della città.
Tutto procedeva come capita nel mondo, con la giustizia che arrivava tardi.
Nella mia nuova dimensione stavo stretto: non avevo la pace, ma il rancore, la rabbia.
Odiavo con tutto il mio vuoto spirito chi mi aveva ingiustamente
condotto precocemente tra le ombre perpetue.
Entrai nei loro sogni, spalancai le loro menti con la mia immagine.
Mi videro, mi immaginarono nel buio, ero dentro le loro coscienze.
Ero l'immagine della morte, della dannazione, del terrore che gela le mani, i visi, i cuori.
Volevo essere odiato e non compatito, volevo essere udito nelle
notti di tempesta sul monte, tra le rocce dure e aride, nelle vallate boscose, tra i pini aggrappati ai dirupi.
Di me si parla ancora e le mie sculture sono nelle chiese, esposte nei musei, ma tutti mi chiamano lo scultore delle agonie, l'artista delle forme cadaveriche, del lutto.

racconto di Arduino Rossi


real time fantasmi ......LA VERITA'











LA VERITA'

Le tomba del cimitero abbandonato sono sempre avvolte dalla nebbiosità del lago verso sera, quando il sole svanisce tra le nubi dell'orizzonte lacustre.
La notte è morbida, triste, un po' offuscata dagli umori della terra umida della collina.
Io mi recavo spesso, dopo il tramonto, sul morbido prato che sovrastavano le acque scure, placide, che specchiavano i boschi della riva settentrionale.
Il flusso del tempo in quel luogo era ammorbidito da mille memorie non mie, che tentavano di entrare nella mia anima.
Le barche andavano e venivano: tagliavano la liscia superficie, rompendo per un istante la perfetta pace delle acque, lasciando solo brevi scie.
Il tempo passava, gli anni morivano e io, il guardiano del cimitero, vedevo transitare oltre il cancello d'entrata, i vecchi e i meno vecchi.
Là tutto era placato: rancori, odi, passioni, amori, entusiasmi, delusioni.
Ogni emozione umana, ogni speranza era annullata.
Solo io sapevo che la morte non spegneva totalmente i cuori umani.
I morti spesso continuano a lottare contro il loro destino inesorabile anche dopo, quando non si può fare nulla, quando la
vita è svanita nell'oblio.
Loro, in quella loro dimensione, senza tempo né fine, proseguono a sperare, a desiderare senza più nulla ottenere.
Io stavo lì e lasciavo che le ombre si allungassero, il lago diventasse cupo, i boschi scuri.
La notte si dilatava sopra di me con quell'infinito che stava attorno, dentro e mi sovrastava.
Non parlavano, i defunti non chiacchierano, ma io udivo le loro voci, là non si discorre, non si pensa, ma si esiste, si soffre e si gioisce, si ama e si odia.
Comprendevo i loro stati d'animo e ben presto divenni un tramite tra i vivi e i morti: intuivo, prevedevo, sapevo i fatti di tutti.
Ero un pericolo per l'intero borgo, così qualcuno mi venne a trovare per uccidermi: gli aprii la porta della mia casa con un sorriso.
Mi colpì con un coltello da cucina, straziando il mio corpo.
Alla mattina mi trovarono e in fretta mi seppellirono: chiusero presto sia la cassa sia le indagini.
Tutti i compaesani conoscevano il nome dell'omicida, ma tutti tacquero.
La morte di un povero misantropo, scapolo, con pochi parenti non interessava alle autorità, ma la speranza che il mio caso fosse scordato fu vana: per punizione la mia sensibilità extra-terrena fu ereditata dal mio assassino.
Fu costretto a raccontare di me, della verità dei vivi e dei defunti: ci fu un secondo e un terzo omicida, poi la comunità del
villaggio fecero rinchiudere l'ultimo assassino in manicomio, sperando di concludere con la questione per sempre.
Fu il loro errore più grave: quel poveretto, nel suo letto di contenzione urlava che presto il villaggio sarebbe precipitato nel lago e tutti sarebbero morti.
In quell'ospedale psichiatrico non c'era nessuno che ascoltò il "farneticare" di quel folle.
Una notte tremenda l'antica fessura nella roccia si allargò improvvisamente: l'intera collina con il suo borgo franò giù, nelle acque profonde del lago, trascinando con sé tutti.

racconto di Arduino Rossi

in Italia fantasmi ....... LA STRADA NON FINISCE











LA STRADA NON FINISCE

La mia casetta era l'ultima della mia via.
Abitavo in una zona periferica, vicino a un muro di cinta, oltre il quale, si diceva, c'era una fabbrica dismessa.
Io non avevo mai badato allo squallido panorama che si vedeva dalle finestre dell'ultimo piano della mia casetta: c'erano capannoni, detriti, rottami, sporcizia e qualche vagabondo senza dimora.
Quella sera la nebbia era sottile, la mia casa si vedeva un po' confusa.
Avevo freddo e non c'era nessuno.
I lampioni illuminavano quella viuzza che si spegneva contro il muro, invalicabile, con le sue pietre grosse e nude, con il grigio dei decenni, con l'odore del fumo della vecchia fabbrica ancora impregnato nella malta.
Questa casa mi era costata poco, per me era stata un affare, ma poi mi dovetti ricredere: la zona divenne sempre più degradata.
Chi poté andarsene se ne fuggì in quartieri più tranquilli e la feccia della città si concentrò nel mio rione.
Ormai non avevo più i soldi e la voglia di mutar vita: ero un vecchio scapolo in pensione.
Più volte ero stato minacciato da alcuni teppisti.
Avevo subito un'aggressione da un tossicodipendente, ma lo avevo fatto fuggire.
Ero sempre più in pericolo e le forze mi abbandonavano ogni giorno.
Uscivo raramente, solo di giorno e solo per le poche compere che mi riguardavano.
Vedevo svanire il mio mondo, le mie amicizie erano finite da tempo.
Non comprendevo ciò che capitava: l'avanzare di quella marea di violenza, barbarie, stupidità, brutalità.
Restavo rintanato nella mia casa: sbirciavo giorno e notte quel branco di umanoidi smarrita, perduti, svuotati da ogni speranza.
Ero armato: avevo con me le mie antiquate pistole a tamburo, il fucile da caccia, sempre carichi.
Più volte dovetti sparare in aria per far fuggire ladruncoli che tentavano di penetrare nella mia casa.
L'ultima volta risposero al fuoco e fui costretto a colpire il delinquente: rimase sull'asfalto per un'ora, ferito in modo serio, con il sangue che sgorgava, i suoi lamenti languidi, striduli.
La polizia con l'autoambulanza si presero il ladro e se lo portarono via.
Non seppi più nulla, forse morì dissanguato, prima di giungere in ospedale.
Uno scialbo appuntato mi fece poche domande di rito.
In piedi mi fece firmare le mie dichiarazioni e se ne andò, senza spiegarmi cosa dovevo fare e se ci sarebbero state conseguenze per me.
Non ce ne furono e per un po' i delinquenti mi lasciarono in pace.
Poi mi capitò quello che temevo: si vendicarono dando fuoco alla casa.
Riuscii a spegnere subito le fiamme con l'estintore, i danni furono lievi: tossii alcuni giorni, mi rimasero gli occhi arrossati e nulla più.
Quella notte mi addormentai: era da troppo che non dormivo e mi risvegliai di soprassalto.
Era stato un colpo, uno strillo, o chissà che altro.
C'era attorno un silenzio profondo, una luminosità insolita.
Pensai alla luna piena.
Mi alzai insonnolito e andai al mio spioncino: tutto era tranquillo, niente era capitato.
Rimasi a sbirciare la strada vuota, poi mi accorsi: la via alberata, con i suoi alberi secchi, rovinati, proseguiva.
Non c'era in fondo il muro di cinta della fabbrica.
Era assurdo e cercai di trovare una via di uscita a quella mia visione pazzesca.
Fu inutile: ero sveglio, non mi ero confuso con la prospettiva, con la viuzza laterale.
La strada proseguiva e non c'era più la fabbrica, ma casette come la mia, con quel gusto piccolo borghese che tanto mi piaceva: con lo stile modesto e la semplicità ordinata, che rammentava vite condotte all'insegna del perbenismo.
Dentro c'era tanta gente che badava alla cortesia, agli affari, ma non troppo rischiosi.
Scesi in vestaglia in strada e a piedi nudi avanzai verso quella che pareva una novità inspiegabile: c'era vita reale in quelle case.
I gatti e i cani domestici dormivano accovacciati sugli zerbini, nelle cucce.
C'era pace, forse troppa pace: c'era una mestizia pesante, che non riusciva a distrarmi dalla paura di qualcosa di minaccioso.
Un pericolo incombente mi sovrastava: lo percepivo, ma proseguivo a camminare.
Mi accorsi di essermi smarrito in quel quartiere sconosciuto, non c'era più nulla di familiare, di conosciuto.
Vidi poi che la gente apriva le porte e le finestre, usciva pur essendo notte fonda.
Mi accolsero sorridendo, dicendo: -Vieni e vedrai!-
I loro visi tradivano la malignità, c'era nei loro occhi della cattiveria quasi sadica.
Mi invitavano ad entrare nelle loro abitazioni: intuii il tranello e mi rifiutai.
Mi allontanai, poi mi detti alla fuga, ma fu inutile.
Loro risero perché appena svoltavo la via li rincontravo.
Dopo due o tre tentativi rinunciai e accettai la mia nuova condizione.
-Nel quartiere di San Lorenzo, dopo alcuni giorni, è stato rinvenuto il cadavere del pensionato Giuseppe Borni, morto per un infarto.
I teppisti della zona sono riusciti a penetrare nella casa del morto, ma non hanno sottratto nulla.
Una misteriosa paura superstiziosa avvolge la zona: si dice che nelle notti nebbiose una strada si spalanchi oltre il muro alla fine della via.
Degli spettri sono condotti fuori dall'Oltretomba dal pensionato defunto: minacciano e terrorizzano la teppaglia.
Infestano il quartiere per alcune ore, poi rientrano nella loro borgo, che nessuno sa dove sia di giorno.
In quelle notti stregate se si va al di là, dentro quel villaggio accogliente che si vede sonnecchiare al posto della decrepita fabbrica, non si può più tornare sui propri passi.


racconto di Arduino Rossi

racconto fantastico ...... L'AUTISTA









L'AUTISTA

Mi avevano licenziato tre volte nell'ultimo mese: dovevo assolutamente trovare un nuovo lavoro e tenermelo per un po'.
Ero un attacca lite: mi ero scontrato con i padroncini, con i miei colleghi e sempre per sciocchezze.
L'ultima volta ero quasi arrivato alle mani con il mio capo per una questione di tifo sportivo.
Ero fatto così: ero focoso, iroso, mi scaldavo per nulla e insultavo.
Quella volta non avevo proprio il pretesto di cedere alla mia rabbia: il padrone dell'agenzia era un ometto silenzioso, che parlava lo stretto necessario per farsi capire.
Le mie domande curiose, il mio modo chiassoso, le mie battute lo lasciavano indifferente: -Capo! Dove siamo qua?-
-Lo vedi! E' un'agenzia di pompe funebri!-
Era una domanda ovvia: -Quanto mi dà! Ci sono mance? Ho colleghi?...-
Dopo una trentina di richieste di informazione il tizio, con quell'aria da becchino nato, mi consigliò di fare gli affari mie.
La paga era quella sindacale e nient'altro, ero l'unico autista e dovevo portare le casse con i cari estinti alle loro dimore, in tutta la Nazione, con le trasferte pagate.
Non c'era da far festa, ma non potevo certamente rifiutare quell'ultima possibilità.
Iniziai il mestiere di autista dei cadaveri: mi vestivo in divisa nera ovviamente, salivo sul furgone e partivo per ore intere, talvolta per giorni, sino al paese d'origine, per soddisfare le ultime volontà di qualche poveraccio.
Trascorsero i mesi, gli anni e quella tetra incombenza mi aveva intristito: non parlavo con nessuno per chilometri e chilometri.
Nei bar o nei ristoranti tutti mi evitavano, qualcuno faceva gli scongiuri alla mia vista.
In passato suonavo il clacson o fischiavo quando incontravo qualche bella ragazza, ma non era il caso di farlo ora, nelle mie nuove vesti con quel triste carico alle spalle.
Non mi rimaneva che ascoltare la radio e senza accorgermi incominciai a parlare da solo, come se qualcuno mi potesse rispondere.
Scivolai. senza accorgermi, in dialoghi improbabili con la salma:
-Amico! Come va la vita? Parlo dell'altra vita.... Ti scottano i piedi?-
Erano discorsi irriverenti, talvolta volgari e scabrosi, spesso sarcastici.
Non so come, ma da quella volta il mio non fu un monologo: -Come
si sta nella cassa! Tutto avvolto nella seta?-
Udii alle mie spalle: -Bene, grazie!-
Rimasi allibito: frenai per non perdere il controllo del mezzo.
Finii sul bordo della strada e mi girai verso il feretro: -Chi ha parlato?-
Non ricevetti risposta: dedussi di aver confuso una voce della via con quella del morto.
Stavo per ripartire quando riudii: -Hai paura? Uno come te non dovrebbe aver timore dell'Aldilà!-
Mi girai lentamente, con il cuore in gola, pallido e sudato.
Chiesi: -Chi sei? Cosa vuoi?-
-Chi sono? Non sai leggere? E' scritto sulla bara! Cosa voglio? Nulla! Solo fare due chiacchiere!-
Temevo per me e la mia anima: -Dove sei ora?-
-Non ti riguarda questo, sono affari miei! Ti posso dire che potrei star meglio, ma potevo finire in fondo e star peggio per sempre!-
Mi sforzai di sorridere: -Ti è andata bene quindi?-
-Non mi posso lamentare!-
Da quel giorno i morti mi parlano e io finalmente ho qualcuno con cui scambiare quattro parole.
Vi assicuro che sono tutti spiritosi, simpatici, di buona compagnia.
Peccato che solo io li sento, ma venite da me qualche volta: ora
ho un'agenzia tutta mia.
Vi farò conoscere i miei amici.


racconto di Arduino Rossi