LA VERITA'
Le tomba del cimitero
abbandonato sono sempre avvolte dalla nebbiosità del lago verso
sera, quando il sole svanisce tra le nubi dell'orizzonte lacustre.
La notte è morbida,
triste, un po' offuscata dagli umori della terra umida della collina.
Io mi recavo spesso,
dopo il tramonto, sul morbido prato che sovrastavano le acque scure,
placide, che specchiavano i boschi della riva settentrionale.
Il flusso del tempo in
quel luogo era ammorbidito da mille memorie non mie, che tentavano di
entrare nella mia anima.
Le barche andavano e
venivano: tagliavano la liscia superficie, rompendo per un istante la
perfetta pace delle acque, lasciando solo brevi scie.
Il tempo passava, gli
anni morivano e io, il guardiano del cimitero, vedevo transitare
oltre il cancello d'entrata, i vecchi e i meno vecchi.
Là tutto era placato:
rancori, odi, passioni, amori, entusiasmi, delusioni.
Ogni emozione umana,
ogni speranza era annullata.
Solo io sapevo che la
morte non spegneva totalmente i cuori umani.
I morti spesso
continuano a lottare contro il loro destino inesorabile anche dopo,
quando non si può fare nulla, quando la
vita è svanita
nell'oblio.
Loro, in quella loro
dimensione, senza tempo né fine, proseguono a sperare, a desiderare
senza più nulla ottenere.
Io stavo lì e
lasciavo che le ombre si allungassero, il lago diventasse cupo, i
boschi scuri.
La notte si dilatava
sopra di me con quell'infinito che stava attorno, dentro e mi
sovrastava.
Non parlavano, i
defunti non chiacchierano, ma io udivo le loro voci, là non si
discorre, non si pensa, ma si esiste, si soffre e si gioisce, si ama
e si odia.
Comprendevo i loro
stati d'animo e ben presto divenni un tramite tra i vivi e i morti:
intuivo, prevedevo, sapevo i fatti di tutti.
Ero un pericolo per
l'intero borgo, così qualcuno mi venne a trovare per uccidermi: gli
aprii la porta della mia casa con un sorriso.
Mi colpì con un
coltello da cucina, straziando il mio corpo.
Alla mattina mi
trovarono e in fretta mi seppellirono: chiusero presto sia la cassa
sia le indagini.
Tutti i compaesani
conoscevano il nome dell'omicida, ma tutti tacquero.
La morte di un povero
misantropo, scapolo, con pochi parenti non interessava alle autorità,
ma la speranza che il mio caso fosse scordato fu vana: per punizione
la mia sensibilità extra-terrena fu ereditata dal mio assassino.
Fu costretto a
raccontare di me, della verità dei vivi e dei defunti: ci fu un
secondo e un terzo omicida, poi la comunità del
villaggio fecero
rinchiudere l'ultimo assassino in manicomio, sperando di concludere
con la questione per sempre.
Fu il loro errore più
grave: quel poveretto, nel suo letto di contenzione urlava che presto
il villaggio sarebbe precipitato nel lago e tutti sarebbero morti.
In quell'ospedale
psichiatrico non c'era nessuno che ascoltò il "farneticare"
di quel folle.
Una notte tremenda
l'antica fessura nella roccia si allargò improvvisamente: l'intera
collina con il suo borgo franò giù, nelle acque profonde del lago,
trascinando con sé tutti.
racconto di Arduino Rossi
racconto di Arduino Rossi