11 set 2012

in Italia fantasmi ....... LA STRADA NON FINISCE











LA STRADA NON FINISCE

La mia casetta era l'ultima della mia via.
Abitavo in una zona periferica, vicino a un muro di cinta, oltre il quale, si diceva, c'era una fabbrica dismessa.
Io non avevo mai badato allo squallido panorama che si vedeva dalle finestre dell'ultimo piano della mia casetta: c'erano capannoni, detriti, rottami, sporcizia e qualche vagabondo senza dimora.
Quella sera la nebbia era sottile, la mia casa si vedeva un po' confusa.
Avevo freddo e non c'era nessuno.
I lampioni illuminavano quella viuzza che si spegneva contro il muro, invalicabile, con le sue pietre grosse e nude, con il grigio dei decenni, con l'odore del fumo della vecchia fabbrica ancora impregnato nella malta.
Questa casa mi era costata poco, per me era stata un affare, ma poi mi dovetti ricredere: la zona divenne sempre più degradata.
Chi poté andarsene se ne fuggì in quartieri più tranquilli e la feccia della città si concentrò nel mio rione.
Ormai non avevo più i soldi e la voglia di mutar vita: ero un vecchio scapolo in pensione.
Più volte ero stato minacciato da alcuni teppisti.
Avevo subito un'aggressione da un tossicodipendente, ma lo avevo fatto fuggire.
Ero sempre più in pericolo e le forze mi abbandonavano ogni giorno.
Uscivo raramente, solo di giorno e solo per le poche compere che mi riguardavano.
Vedevo svanire il mio mondo, le mie amicizie erano finite da tempo.
Non comprendevo ciò che capitava: l'avanzare di quella marea di violenza, barbarie, stupidità, brutalità.
Restavo rintanato nella mia casa: sbirciavo giorno e notte quel branco di umanoidi smarrita, perduti, svuotati da ogni speranza.
Ero armato: avevo con me le mie antiquate pistole a tamburo, il fucile da caccia, sempre carichi.
Più volte dovetti sparare in aria per far fuggire ladruncoli che tentavano di penetrare nella mia casa.
L'ultima volta risposero al fuoco e fui costretto a colpire il delinquente: rimase sull'asfalto per un'ora, ferito in modo serio, con il sangue che sgorgava, i suoi lamenti languidi, striduli.
La polizia con l'autoambulanza si presero il ladro e se lo portarono via.
Non seppi più nulla, forse morì dissanguato, prima di giungere in ospedale.
Uno scialbo appuntato mi fece poche domande di rito.
In piedi mi fece firmare le mie dichiarazioni e se ne andò, senza spiegarmi cosa dovevo fare e se ci sarebbero state conseguenze per me.
Non ce ne furono e per un po' i delinquenti mi lasciarono in pace.
Poi mi capitò quello che temevo: si vendicarono dando fuoco alla casa.
Riuscii a spegnere subito le fiamme con l'estintore, i danni furono lievi: tossii alcuni giorni, mi rimasero gli occhi arrossati e nulla più.
Quella notte mi addormentai: era da troppo che non dormivo e mi risvegliai di soprassalto.
Era stato un colpo, uno strillo, o chissà che altro.
C'era attorno un silenzio profondo, una luminosità insolita.
Pensai alla luna piena.
Mi alzai insonnolito e andai al mio spioncino: tutto era tranquillo, niente era capitato.
Rimasi a sbirciare la strada vuota, poi mi accorsi: la via alberata, con i suoi alberi secchi, rovinati, proseguiva.
Non c'era in fondo il muro di cinta della fabbrica.
Era assurdo e cercai di trovare una via di uscita a quella mia visione pazzesca.
Fu inutile: ero sveglio, non mi ero confuso con la prospettiva, con la viuzza laterale.
La strada proseguiva e non c'era più la fabbrica, ma casette come la mia, con quel gusto piccolo borghese che tanto mi piaceva: con lo stile modesto e la semplicità ordinata, che rammentava vite condotte all'insegna del perbenismo.
Dentro c'era tanta gente che badava alla cortesia, agli affari, ma non troppo rischiosi.
Scesi in vestaglia in strada e a piedi nudi avanzai verso quella che pareva una novità inspiegabile: c'era vita reale in quelle case.
I gatti e i cani domestici dormivano accovacciati sugli zerbini, nelle cucce.
C'era pace, forse troppa pace: c'era una mestizia pesante, che non riusciva a distrarmi dalla paura di qualcosa di minaccioso.
Un pericolo incombente mi sovrastava: lo percepivo, ma proseguivo a camminare.
Mi accorsi di essermi smarrito in quel quartiere sconosciuto, non c'era più nulla di familiare, di conosciuto.
Vidi poi che la gente apriva le porte e le finestre, usciva pur essendo notte fonda.
Mi accolsero sorridendo, dicendo: -Vieni e vedrai!-
I loro visi tradivano la malignità, c'era nei loro occhi della cattiveria quasi sadica.
Mi invitavano ad entrare nelle loro abitazioni: intuii il tranello e mi rifiutai.
Mi allontanai, poi mi detti alla fuga, ma fu inutile.
Loro risero perché appena svoltavo la via li rincontravo.
Dopo due o tre tentativi rinunciai e accettai la mia nuova condizione.
-Nel quartiere di San Lorenzo, dopo alcuni giorni, è stato rinvenuto il cadavere del pensionato Giuseppe Borni, morto per un infarto.
I teppisti della zona sono riusciti a penetrare nella casa del morto, ma non hanno sottratto nulla.
Una misteriosa paura superstiziosa avvolge la zona: si dice che nelle notti nebbiose una strada si spalanchi oltre il muro alla fine della via.
Degli spettri sono condotti fuori dall'Oltretomba dal pensionato defunto: minacciano e terrorizzano la teppaglia.
Infestano il quartiere per alcune ore, poi rientrano nella loro borgo, che nessuno sa dove sia di giorno.
In quelle notti stregate se si va al di là, dentro quel villaggio accogliente che si vede sonnecchiare al posto della decrepita fabbrica, non si può più tornare sui propri passi.


racconto di Arduino Rossi