LA STRADA NON FINISCE
La mia casetta era
l'ultima della mia via.
Abitavo in una zona
periferica, vicino a un muro di cinta, oltre il quale, si diceva,
c'era una fabbrica dismessa.
Io non avevo mai
badato allo squallido panorama che si vedeva dalle finestre
dell'ultimo piano della mia casetta: c'erano capannoni, detriti,
rottami, sporcizia e qualche vagabondo senza dimora.
Quella sera la nebbia
era sottile, la mia casa si vedeva un po' confusa.
Avevo freddo e non
c'era nessuno.
I lampioni
illuminavano quella viuzza che si spegneva contro il muro,
invalicabile, con le sue pietre grosse e nude, con il grigio dei
decenni, con l'odore del fumo della vecchia fabbrica ancora
impregnato nella malta.
Questa casa mi era
costata poco, per me era stata un affare, ma poi mi dovetti
ricredere: la zona divenne sempre più degradata.
Chi poté andarsene se
ne fuggì in quartieri più tranquilli e la feccia della città si
concentrò nel mio rione.
Ormai non avevo più i
soldi e la voglia di mutar vita: ero un vecchio scapolo in pensione.
Più volte ero stato
minacciato da alcuni teppisti.
Avevo subito
un'aggressione da un tossicodipendente, ma lo avevo fatto fuggire.
Ero sempre più in
pericolo e le forze mi abbandonavano ogni giorno.
Uscivo raramente, solo
di giorno e solo per le poche compere che mi riguardavano.
Vedevo svanire il mio
mondo, le mie amicizie erano finite da tempo.
Non comprendevo ciò
che capitava: l'avanzare di quella marea di violenza, barbarie,
stupidità, brutalità.
Restavo rintanato
nella mia casa: sbirciavo giorno e notte quel branco di umanoidi
smarrita, perduti, svuotati da ogni speranza.
Ero armato: avevo con
me le mie antiquate pistole a tamburo, il fucile da caccia, sempre
carichi.
Più volte dovetti
sparare in aria per far fuggire ladruncoli che tentavano di penetrare
nella mia casa.
L'ultima volta
risposero al fuoco e fui costretto a colpire il delinquente: rimase
sull'asfalto per un'ora, ferito in modo serio, con il sangue che
sgorgava, i suoi lamenti languidi, striduli.
La polizia con
l'autoambulanza si presero il ladro e se lo portarono via.
Non seppi più nulla,
forse morì dissanguato, prima di giungere in ospedale.
Uno scialbo appuntato
mi fece poche domande di rito.
In piedi mi fece
firmare le mie dichiarazioni e se ne andò, senza spiegarmi cosa
dovevo fare e se ci sarebbero state conseguenze per me.
Non ce ne furono e per
un po' i delinquenti mi lasciarono in pace.
Poi mi capitò quello
che temevo: si vendicarono dando fuoco alla casa.
Riuscii a spegnere
subito le fiamme con l'estintore, i danni furono lievi: tossii alcuni
giorni, mi rimasero gli occhi arrossati e nulla più.
Quella notte mi
addormentai: era da troppo che non dormivo e mi risvegliai di
soprassalto.
Era stato un colpo,
uno strillo, o chissà che altro.
C'era attorno un
silenzio profondo, una luminosità insolita.
Pensai alla luna
piena.
Mi alzai insonnolito e
andai al mio spioncino: tutto era tranquillo, niente era capitato.
Rimasi a sbirciare la
strada vuota, poi mi accorsi: la via alberata, con i suoi alberi
secchi, rovinati, proseguiva.
Non c'era in fondo il
muro di cinta della fabbrica.
Era assurdo e cercai
di trovare una via di uscita a quella mia visione pazzesca.
Fu inutile: ero
sveglio, non mi ero confuso con la prospettiva, con la viuzza
laterale.
La strada proseguiva e
non c'era più la fabbrica, ma casette come la mia, con quel gusto
piccolo borghese che tanto mi piaceva: con lo stile modesto e la
semplicità ordinata, che rammentava vite condotte all'insegna del
perbenismo.
Dentro c'era tanta
gente che badava alla cortesia, agli affari, ma non troppo rischiosi.
Scesi in vestaglia in
strada e a piedi nudi avanzai verso quella che pareva una novità
inspiegabile: c'era vita reale in quelle case.
I gatti e i cani
domestici dormivano accovacciati sugli zerbini, nelle cucce.
C'era pace, forse
troppa pace: c'era una mestizia pesante, che non riusciva a distrarmi
dalla paura di qualcosa di minaccioso.
Un pericolo incombente
mi sovrastava: lo percepivo, ma proseguivo a camminare.
Mi accorsi di essermi
smarrito in quel quartiere sconosciuto, non c'era più nulla di
familiare, di conosciuto.
Vidi poi che la gente
apriva le porte e le finestre, usciva pur essendo notte fonda.
Mi accolsero
sorridendo, dicendo: -Vieni e vedrai!-
I loro visi tradivano
la malignità, c'era nei loro occhi della cattiveria quasi sadica.
Mi invitavano ad
entrare nelle loro abitazioni: intuii il tranello e mi rifiutai.
Mi allontanai, poi mi
detti alla fuga, ma fu inutile.
Loro risero perché
appena svoltavo la via li rincontravo.
Dopo due o tre
tentativi rinunciai e accettai la mia nuova condizione.
-Nel quartiere di San
Lorenzo, dopo alcuni giorni, è stato rinvenuto il cadavere del
pensionato Giuseppe Borni, morto per un infarto.
I teppisti della zona
sono riusciti a penetrare nella casa del morto, ma non hanno
sottratto nulla.
Una misteriosa paura
superstiziosa avvolge la zona: si dice che nelle notti nebbiose una
strada si spalanchi oltre il muro alla fine della via.
Degli spettri sono
condotti fuori dall'Oltretomba dal pensionato defunto: minacciano e
terrorizzano la teppaglia.
Infestano il quartiere
per alcune ore, poi rientrano nella loro borgo, che nessuno sa dove
sia di giorno.
In quelle notti
stregate se si va al di là, dentro quel villaggio accogliente che si
vede sonnecchiare al posto della decrepita fabbrica, non si può più
tornare sui propri passi.
racconto di Arduino Rossi
racconto di Arduino Rossi