6 apr 2010

04/4 L'AMANTE DEL DIRETTORE (Racconto di Arduino Rossi)

Quando c'è una faccenda scabrosa i francesi dicono: -Cherchez la femme!-
La Signora Irene non fu istigatrice di nessun crimine, ma solamente la causa di un grande garbuglio.
Irene lavorava all'Ufficio di Controllo sui Patrimoni Pubblici e per la sua capacità e per la sua buona volontà sarebbe rimasta all'ultimo gradino della carriera sino alla pensione.
Non era colta e non era molto intelligente, ma possedeva quella furbizia istintiva che certe donne del Sud hanno nel sangue: esse conoscono l'arte della seduzione, che sveglia le passioni più calde in uomini non più giovani.
Ella era tondetta, dalle forme pronunciate e compatte, un poco "caserecce".
Faceva provare al sedotto la presunzione del maschio virile e aitante.
Queste tecniche le applicava con i superiori e con i colleghi che la potevano favorire: in poco tempo Irene migliorò la sua posizione nell'ufficio, passando da dattilografa impacciata a segretaria particolare del Direttore.
Si era attirata l'antipatia degli impiegati e ribatteva con disprezzo la crescente ostilità: -Mi sono creata una posizione e me la tengo!-
-E' il metodo che hai usato per fartela che non va!-
-Sono una Signora e non ammetto nessuna insinuazione sulla mia condotta!-
Si riteneva in una botte di ferro: si atteggiava a donna per bene e a madre affettuosa.
Probabilmente la sacralità della famiglia era fondamentale per lei, ma l'arrivismo innato la spronava a tradire le sue buone intenzioni.
La tresca con il Direttore non iniziò per un reciproco desiderio di concubinaggio.
Il Commendatore si considerava un uomo in perfetta forma, nonostante i suoi cinquantanove anni e non perdeva l'occasione di "allungare" le mani sulle impiegate: si avvicinava cauto e appoggiava la mano sulla spalla, poi approfittava della soggezione dovuta al suo grado e faceva scivolare la palma dove non doveva.
Irene non disprezzava questi gesti del Capoufficio, anzi sembrava che lo volesse provocare: si presentava nello studio del Capoufficio quando era certa di trovarlo solo, si avvicinava con movimenti lenti e sinuosi, prendendo pose che accentuavano la sua "figura curvilinea".
Fu uno scambio di favori: più lei concedeva e più lui la appoggiava.
Ella divenne primo funzionario di un reparto con quattro impiegati: quei poveretti dovevano subire sfuriate e umiliazioni dalla presuntuosa Caposettore, che non ammetteva la responsabilità dei suoi numerosi sbagli.
Il rapporto tra i due era ormai impudente: egli la ghermiva dietro le porte o negli angoli bui del corridoio, con poca attenzione alla decenza.
Da queste esuberanze "affettuose" in pubblico nacquero molti pettegolezzi: -Vogliono divorziare! Lei vuole abbandonare i figli! Si racconta che lei ha molti altri amanti e il Direttore è geloso!-
I soliti viscidi seminatori di zizzania si erano "preoccupati" di avvisare il marito e la moglie ingannati, con caustiche lettere anonime.
I due cornuti, dopo l'ennesima epistola, dubitarono della lealtà dei coniugi.
Il marito di Irene, Giorgio, si presentò a casa della Signora Carpone, moglie del Commendatore: -Gentile Signora! Sono dispiaciuto, ma devo darle una brutta notizia!-
Geltrude lo fece entrare, riattandosi il vestito e accomodandosi i capelli brizzolati, folti e vigorosi.
Era ancora una bella donna, dal sorriso buono e dallo sguardo infantile: solo le rughe marcate erano indizio della sua età, quasi senile.
Giorgio si stava morsicando le labbra e non riusciva a parlare: stava stropicciando tra le dita nervose un pacchetto di lettere.
Sorrise un po' impacciato e le disse, consegnandole le lettere: -Sono sinceramente rammaricato, ma pure lei deve conoscere la verità!-
Ella lesse qualche frase e sospirò, rivolgendosi a lui: -Crede in queste menzogne? Mio marito è sempre stato un uomo onesto e un padre esemplare!-
-Ci sono troppi riscontri con la realtà per essere solo delle illazioni!-
Discussero vivacemente: Geltrude pianse, Giorgio maledisse la consorte ed entrambi decisero di allearsi per salvare le famiglie.
Fu allora che telefonarono alla mia agenzia e io, giovane agente privato senza clienti, mi posi a loro disposizione.
Mi informai sugli orari dei presunti adulteri, confrontai ogni particolare delle abitudini dei due e mi fu tutto chiaro: essi si incontravano al sabato pomeriggio in un alberghetto periferico.
Irene aveva l'alibi delle spese nei negozi del centro città e Carpone giustificava le uscite con gli straordinari in ufficio.
Il mio metodo di indagine è scientifico: i pedinamenti e i travestimenti li utilizzo solo dopo aver valutato le possibili
ipotesi con il mio computer.
Divisi la città in zone e valutai i tempi di percorrenza di un auto nel traffico del sabato dalle case dei concubini: individuai l'area dove si sarebbe dovuta trovare l'alcova.
Detti delle mance ai portieri di cinque pensioni per consultare i registri degli ospiti: finalmente scoprii i nomi dei due "traditori".
Avvisai i miei clienti e preparai tutti gli arnesi del mio mestiere per trovare le prove schiaccianti.
Non c'erano edifici vicino alla pensione: eravamo in aperta campagna, c'era solo qualche albero, ma senza foglie perché era
gennaio e non era possibile appostarsi vicino.
Affittai una camera accanto alla stanza dei due amanti e attesi.
Per mia sfortuna dimenticai la macchina fotografica sul balcone del portiere.
Il padrone della pensione si insospettì e mi portò personalmente in camera l'attrezzatura fotografica.
Io mi posi davanti all'entrata per nascondere i miei strumenti di lavoro, l'energumeno mi sospinse e volle vedere quello che stavo facendo.
Mi disse, indicando gli obiettivi fotografici: -Lei è un fotografo professionista?-
-Sì, certamente! Amo la campagna in inverno, che è stupenda se ben fotografata!-
-Anche con la nebbia, come oggi?-
Gli spiegai che il paesaggio nebbioso era tra i preferiti nei concorsi fotografici.
Egli non mi credette e se ne uscì borbottando, salutandomi a malapena: -Va bene! Buona sera!-
Conclusi di accomodare nel mio zainetto l'attrezzatura e mi arrampicai sulla grondaia: raggiunsi il tetto, rompendo qualche tegola e legai la corda a un comignolo, calandomi sino alla finestra dei due lussuriosi.
Il Direttore si dimenava come un ossesso sulla sua sottomessa: per dimostrarsi virile rischiava l'infarto.
Io rimasi in una posizione precaria, appeso e con i piedi appena appoggiati sul davanzale: fui sul punto di perdere la macchina fotografica e di infrangere la finestra.
Ero così assorto nel mio lavoro che non mi accorsi dello scricchiolare del comignolo, che cedette: precipitai, salvando istintivamente il materiale fotografico con una mano e con l'altra mi aggrappai a un filo dei panni, che rallentò la mia
caduta.
Non ebbi conseguenze serie: mi rialzai contento per lo scampato pericolo.
Mi accorsi dell'albergatore, che mi era accanto, aveva compreso le mie intenzioni e mi aveva tenuto sotto controllo: -Ma bravo! Volevi farmi credere d'essere un fotografo di paesaggi, però non mi hai specificato di quali!-
Le mie giustificazioni non furono nemmeno ascoltate egli mi sequestrò il rullino, ruppe i miei delicati strumenti sotto i piedi, mi dette un paio di sonori schiaffoni e mi disse: -Vattene, guardone! Non chiamo la polizia per compassione di te, ma che non ti incontri più!-
Avvisai i miei clienti della certezza dell'adulterio, ma non potei darne le prove.
Ero bruciato: non avrei potuto indagare in quella pensione.
I due traditi decisero di proseguire nella ricerca delle prove da soli: prenotarono una stanza per il sabato successivo e attesero l'arrivo dei due "colombelli".
Il Dottor Cattaneo e la sua amante non vennero: erano stati avvertiti da un loro amico poliziotto dell'intervento della squadra della Buoncostume nella pensione.
La polizia da tempo investigava sugli ospiti e sui traffichi di quell'alberghetto: sospettava che fosse un luogo di incontro della malavita e di ritrovo di prostitute.
Un magistrato moralista aveva coordinato l'inchiesta: voleva porre un freno al dilagare dell'adulterio, che rovinava molte famiglie per bene.
Quando gli agenti irruppero, Giorgio e Geltrude erano assieme: aspettavano i reciproci coniugi con l'intento di scoprirli sul fatto e svergognarli.
Invece furono loro a subire l'umiliazione di un fermo di polizia per accertamenti: furono ammanettati e fatti salire malamente sul cellulare.
Alla questura c'era un fotografo, di un giornale locale, in cerca di scandali: infatti, tra noti pregiudicati e prostitute, c'erano uomini d'affari, notabili e un sacerdote.
Giorgio e Geltrude furono prescelti come esempio della doppia vita della città: -Impiegato modello, madre e moglie apparentemente irreprensibile si incontravano in un locale di appuntamenti!-
La loro fotografia venne messa sul giornale: Geltrude era in lacrime e si copriva il volto, mentre Giorgio minacciava con un pugno il fotografo.
Dopo un breve interrogatorio furono rilasciati, ma a casa vennero trattati da adulteri.
L'ipocrita Direttore dell'ufficio dichiarò di voler divorziare: -Il mio nome e la mia carriera sono stati infangati! I nostri figli dovranno cambiare scuola...-
Irene fece una scenata da melodramma: ruppe parte della cristalleria, quella che non le piaceva più.
Maledisse il marito, senza risparmiare le ingiurie: -Sei la vergogna della nostra famiglia! Sporcaccione! Degenerato! Dio ti punirà!-
A questo punto io non potei rimanere con le mani in mano: rintracciai l'albergatore, appena uscito dal carcere e lo pagai per il rullino sequestrato.
Il manigoldo mi trattò con interessata cordialità: -Se mi avessi spiegato prima le tue intenzioni, non ci sarebbero stati malintesi: ti avrei lasciato fare tutte le fotografie che volevi!-
Telefonai ai miei clienti e chiesi loro di venire nel mio ufficio con i loro relativi coniugi.
Il finale fu molto agitato e la mia mobilia subì qualche danno: Giorgio inseguiva Irene con l'intento di "strangolarla".
Geltrude colpiva con un cuscino da sedia la testa calva del marito, mettendo tanta foga da impedire ogni tentativo di difesa.
Il mio intervento placò gli animi: i litiganti si riappacificarono per amore dei figli e per salvare ciò che rimaneva delle loro reputazioni.
La conclusione fu per tutti "positiva", meno che per me: non ricevetti un centesimo d'onorario.
-Io e Geltrude siamo stati arrestati per colpa tua, vorresti essere pagato? Spero che ti ritirino la licenza!-
RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli statali. Gioie e dolori per il posto fisso”
Scritto da Arduino Rossi
Morpheo editore – Narrativa
presente in IBS e altre librerie online
http://www.morpheoedizioni.it/Gli_Statali.htm