5 apr 2010

Psicologico- racconto di Arduino Rossi L'ARRIVISTA


L'ARRIVISTA
Ero al cantiere come tutte le mattine, al terzo piano di un edificio abusivo e il capomastro mi chiamò per una telefonata.
Io scesi preoccupato: mia moglie Chiara sapeva che era severamente vietato telefonare, salvo in casi gravi.
-Che c'è?-
-Rientra subito! E' arrivata finalmente la comunicazione dell'assunzione!-
-Ma sei sicura? Non sarà un errore?-
Avevo trentasette anni e la mia vita era stata una continua sconfitta.
A vent'anni ero andato in America e là mi ero trovato bene, poi mia nonna mi aveva supplicato di tornare per vedermi prima di morire e non mi ero allontanato più da Lecce.
Da allora la fortuna mi aveva tradito: fui assunto in un'azienda di radiotecnica e mi ero diplomato alla scuola serale.
Avevo una carriera assicurata, ma la ditta fu chiusa.
Avevo aperto un negozio e ben presto avevo fallito: fui assunto e licenziato altre volte e avevo accettato, per mantenere mia moglie e mia figlia, lavori saltuari e senza contratto.
Chiara mi baciò, entusiasta come solo lei sapeva essere: -Caro, ci sei riuscito! L'Ente di Controllo sulla Manutenzione dell'Edilizia Pubblica ti ha assunto!-
Si era umiliata e instancabile aveva bussato a molte porte per farmi assumere negli Uffici Statali.
Annunciai la buona notizia a tutti gli amici e parenti, anche a quelli che non vedevo da anni.
Fu il mio trionfo: un impiego pubblico è da tutti desiderato.
Congratulazioni e auguri, con un pizzico di invidia, coronarono la mia partenza.
Che gioia fu per me vedere una città del Nord, con le sue industrie periferiche e con quella vitalità, che io ho sempre invidiato al Settentrione.
Non era bella, le nostre città del Sud non hanno paragone, eppure quel capoluogo veneto era pieno di vita, anche nel grigiore dei vecchi palazzi del centro.
Non persi tempo e mi presentai, senza cambiarmi d'abito e senza mangiare, direttamente all'ufficio: i miei superiori avrebbero capito subito che sarei stato un impiegato diligente.
Il Direttore Gilberto Caserta non era in sede: tutti i miei futuri colleghi erano con lui al bar per festeggiare la sua onorificenza a Commendatore.
Percorsi i corridoi e le vaste stanze, ricavate in un palazzo del Seicento.
Bussai inutilmente e mi azzardai a sbirciare gli incartamenti sulle scrivanie polverose.
L'Ente di controllo sulla Manutenzione dell'Edilizia Pubblica non conservava neppure con decenza l'edificio della sua sede.
Io amavo il barocco e mi amareggiai nell'osservare la cattiva manutenzione di quegli stucchi ricchi di ori, di quegli angioletti pasciuti tra floreali decorazioni.
Delle risa rispondevano al motteggiare di una voce autoritaria, che più tardi seppi essere quella di Caserta: rientrava il personale.
-Signori! Il titolo di commendatore oggi è molto diffuso! Non è il certificato in se stesso che mi rende orgoglioso, quanto il riconoscimento di trent'anni di fedele servizio nell'Ente!-
Tutti gli altri approvarono con cenni del capo o con lodi sperticate.
Nessuno badò a me e raggruppandosi continuarono le loro chiacchiere.
Mi presentai al Direttore e gli consegnai la mia lettera di assunzione.
-Si accomodi nel mio studio!-
Attesi parecchio e quando rientrò, si scusò del ritardo.
-Antonelli Giuseppe! Grazie alle agevolazione per l'invalidità lei è stato assunto! Dunque è ora un funzionario in prova.
Riceverà il tesserino di riconoscimento e la borsa con il timbro personale!-
Io ero sanissimo, ma si sa che un'invalidità agevola nei concorsi.
Questo espediente mi denigrò agli occhi dei vecchi funzionari.
Fu l'unico argomento a mio sfavore ed essi lo scordarono, grazie ai miei modi ossequiosi: un'arte che perfezionai sino a esserne il più esperto.
-Buon giorno! Sono la Gina e il Direttore mi ha incaricato di mostrarle le sue mansioni!-
Gina era una persona per bene: quarantacinque anni e nessuna ombra sul suo passato.
Le malalingue avevano rinunciato da anni a interessarsi di lei: pure i peccati più innocenti non erano immaginabili in una donna così insignificante e così pedante.
Nessuno badava a lei e forse ella era da considerare parte dell'arredamento.
A ravvivare l'ambiente c'era il ragioniere contabile Andrea Parenti, chiassoso modenese della mia età.
Grasso, ma energico, non amava il suo lavoro e lo sbrigava velocemente; indossava abiti eleganti che certamente costavano una nostra intera mensilità e compariva di tanto in tanto con una nuova automobile.
Seppi che egli lavorava da un commercialista e si interessava dell'Ente solo per la pensione agevolata degli statali.
Si vantava delle sue avventure amorose e delle sue furbizie poco oneste negli affari.
Capii invece che egli era solo un povero insoddisfatto, poco o nulla considerato dai colleghi: da buon uomo semplice esprimeva sempre sinceramente il suo parere.
Io mi impegnai parecchio sul lavoro e mi misi in buona luce: nei primi tempi parlavo poco e ascoltavo molto.
Divenni il confidente di tutti, ma non era sufficiente per farsi notare.
I pettegolezzi passavano di bocca in bocca e diventavano verità.
Imparai a utilizzare parte di queste voci a mio vantaggio, poi ne inventai delle nuove, che suggerivo con riservatezza e falsa ingenuità a qualche chiacchierone: così coprivo di ridicolo i miei rivali.
Da noi l'incombenza più ambita era quella di "portaborse" del Direttore e io la ottenni grazie alle mie delazioni.
-Caro Giuseppe! Io sarei perso senza di lei! Dirigere un Ente come questo sarebbe impossibile se non avessi informazioni sulla vita degli impiegati anche fuori ufficio.
Un cattivo comportamento, di uno qualunque tra noi, offenderebbe il buon nome dell'Ente!-
Una mattina ricevetti una telefonata da Lecce.
-Ciao Giuseppe! Sono Francesco Corsetti, ti ricordi di me?-
-Oh, Francesco, che sorpresa! Perché questa improvvisata?-
-Non è cosa da spiegare per telefono, ti chiarirò i particolari per lettera. ma dimmi subito se ti andrebbe di fare un grosso affare con me! Ho bisogno di un socio esperto nel trattare clienti stranieri, per la mia società di Import-Export!-
-Mi prendi all'improvviso! Così non so rispondere! Ti farò sapere quando avrò riflettuto un po'!-
Non dormii quella notte: l'aria del settentrione aveva risvegliato in me lo spirito d'iniziativa e avrei preferito un impiego più indipendente.
Intraprendere a quarant'anni un'attività commerciale, partendo senza soldi, è da incoscienti e io lo ero allora.
La mattina dopo ero deciso e annunciai in ufficio, tra lo stupore generale, la mia intenzione a lasciare il posto.
Gina mi guardò con disappunto -Non troverai nulla di più sicuro!-
Mi feci trascinare dalla discussione ed esagerai: -Finalmente potrò dire le miei ragioni liberamente! Voi la chiamate vita questa? La vostra ambizione è solo negli abiti e nei titoli acquisiti, servendo qualche potente!-
Nacque un bisticcio: non frenai le parole e smascherai le loro piccole ipocrisie, dimenticando le mie.
Il ragioniere contabile mi ricordò quanto fosse inopportuno accusare gli altri: -E' da quando ti conosco che sei impostore!
Oggi, che non rischi nulla, ci accusi di ciò di cui tu stesso sei colpevole. Hai calunniato, tradito la fiducia e scavalcato chi aveva più meriti!-
Con quella sfuriata mi ero tagliato i ponti alle spalle e avevo rovinato la mia reputazione.
Orgoglioso del mio coraggio scrissi a Chiara, annunciandole la mia decisione.
Non mi interessavo più all'ufficio, considerandomi un ricco commerciante.
Attesi alcuni giorni la risposta di mia moglie che, preoccupata, mi scongiurò di non fare colpi di testa.
Per abbonirla le promisi di valutare tutto con calma prima di scegliere, ma non tornai sulla mia decisione e preparai la lettera di dimissione.
Per fortuna non la consegnai subito al Direttore, perché Francesco inaspettatamente mi telefonò: -Giuseppe! Sono spiacente, ma non possiamo iniziare la nostra attività! Mia moglie si è indebitata a mia insaputa e sono rovinato! Sarà per un'altra occasione!-
Balbettai qualcosa e lo salutai.
Sicuramente fu l'ultima alternativa favorevole della mia vita.
Qualcuno aveva ascoltato la mia telefonata e la stava riferendo allegramente ai colleghi, che commentavano divertiti.
Era la loro rivincita e infierivano contro di me.
La mia esistenza era divenuta impossibile e inutili furono i miei tentativi di riconquistare la loro fiducia: fui costretto a dare le dimissioni.
L'ultimo giorno nessuno mi salutò e io non ne soffrii: distaccato e senza rimpianti me ne andai.