6 apr 2010

04/4 IL VANITOSO (Racconto di Arduino Rossi)



La settimana prossima rientrerà in ufficio Serafino, dopo un duro anno nell'esercito.
Un giovane del suo "stampo", intelligente e garbato, non avrebbe dovuto subire l'umiliazione di mischiarsi con la truppa: sarebbe stato giusto arruolarlo come ufficiale, ben rispettato e accanto ai suoi simili.
Noi, dell'Ente Segnaletica Stradale, ci siamo indignati per le sue disavventure: Serafino era riuscito a evitare la leva militare per i favori di uno zio, ufficiale medico, ma a ventisei anni ricevette la cartolina di precetto.
Nel controllare i registri di alcuni esonerati qualcuno si accorse dell'irregolare condizione di Serafino.
Il generale, che ebbe la pratica fra le mani, non volle ascoltare ragioni: -Non prenderò provvedimenti punitivi, ma questo imboscato deve fare il soldato!-
Egli venne mandato in una malconcia caserma al confine con la Slovenia, che era lontana quindici chilometri dal più vicino centro abitato.
Era un postaccio e la vita era difficile: di notte egli aveva freddo, la mensa era pessima e insufficiente, la disciplina era rigorosa.
Il sergente Corpari, appena vide Serafino, gli disse: -Signor Sansoni! Ben venuto nel nostro corso speciale! Qui si raddrizzano i lavativi e i furbi! Volevi fare il dritto ed evitare il tuo dovere verso la Patria? Ora te ne accorgerai che bella vacanza è questa: ti rimanderemo dalla mammina sano e salvo, ma senza pancia e con la tempra di un vero uomo!-
-Io sono già un vero uomo!-
-Certamente, ma di lardo!-
Serafino si dimostrò superiore a quell'essere meschino, che lo odiò sin dal primo giorno: lo puniva per futili motivi, lo costringeva a esercizi fisici intensi e prolungati, che lo sfiancavano.
Alla prima licenza egli venne a trovarci in ufficio.
Sopportava con dignità la sua condizione e con distacco ci narrò i particolari più sconvenienti: -Gli scherzi sono pesanti: mi disfano la branda tre, quattro volte al giorno. Mi sporcano le scarpe e mi nascondono gli indumenti per farmi punire. I miei commilitoni mi disprezzano, perché capiscono che sono un uomo superiore, di "classe"!-
Noi, colleghe, lo consolavamo, ma egli disdegnava decorosamente ogni compatimento.
Era stimato da tutti gli impiegati e apprezzato da noi donne: non era bello, ma galante e sapeva far sentire a suo agio una ragazza.
Molte tra noi lo avrebbero voluto per fidanzato.
Qualunque cosa facesse era eseguita perfettamente: era intelligente, abile, colto e otteneva quello che desiderava senza impegnarsi.
Tutte le porte erano aperte per lui, bastava che bussasse e qualsiasi carriera era spianata.
Uno sciocco invidioso disse ironico: -Lasciate il passaggio al Signor Conte, miseri plebei!-
Io risposi: -Scherza pure! Ma tu non vali la metà di lui!-
-Vorrei sapere che cosa ha di particolare per essere così stimato? Non ha concluso l'università, non è bello e si monta la testa per ogni sciocchezza che fa!-
Era vero che in apparenza, Serafino non faceva nulla di straordinario: era il suo stile e l'aristocratico aspetto che lo differenziavano dal "popolino".
Egli aveva nel sangue tracce di nobiltà, ma quello che importava era l'educazione.
Era nato in Puglia da una famiglia di proprietari terrieri in decadenza.
Suo padre lo aveva allevato secondo i principi della nobiltà meridionale: parlare poco, non perdere mai la calma e non abbassarsi a lavori non degni del proprio ceto.
Serafino manifestò ben presto nell'Ente la tendenza al comando: si fece porre dal Capoufficio a dirigere il reparto più
disordinato e indisciplinato.
Egli impose l'efficienza senza alzare la voce: fu considerato abile dai subordinati per la sua capacità a coordinare e per il suo buon senso.
Non tutto funzionò a dovere e qualche malevole affermò: -E' grazie al "feudatario" che il lavoro è più disordinato e confuso di prima!-
Noi colleghi talvolta ci incontravamo in pizzeria alla sera: si parlava del più e del meno, si stava un po' allegri.
Egli eccelleva anche nei motti spiritosi e non era mai volgare.
Veniva con la fidanzata, una siciliana, alta e dai lunghi capelli neri: ella era una ragazza riservata, un po' altezzosa, quasi autoritaria, dai lineamenti fini e dal fisico ben disegnato, anche se mascolino.
Era figlia di un barone potentissimo e disdegnava disprezzo verso i maleducati: Serafino faceva rinsavire con autorità i colleghi sboccati, che urtavano il buon gusto di Gustava.
Forse tra loro non c'era vero amore, ma affinità di gusti e di ideali: essi parevano fatti l'uno per l'altra, sensibili all'arte, all'eleganza e alle buone maniere.
Si stavano sposando, ma la vicenda del servizio militare li aveva costretti a rimandare.
Il padre di lei intervenne presso le autorità militari, ma il reparto di Serafino era comandato da un generale estremamente severo: nemmeno il sottosegretario del Ministero della Difesa
riuscì a dissuadere l'Alto Ufficiale, che replicò: -Non si possono concedere favori! Tutti devono fare il proprio dovere!-
Serafino considerava l'esercito necessario, ma la sua esistenza privata lo era di più: i suoi interessi e la sua carriera non dovevano subire un ritardo di un anno.
Egli giustamente diceva: -Esistono tanti perdigiorno, che avrebbero bisogno di un po' di disciplina!-
In caserma non taceva il suo parere sulla vita nell'esercito e le pessime condizioni fisiche e psicologiche che un giovane "civile" doveva subire: fu biasimato ufficialmente e rischiò di essere
incriminato per vilipendio alle Forze Armate, ma se la cavò per l'intervento del suo suocero.
Il sergente Corpari non perdeva le occasioni per umiliarlo: -Sansoni! In tre mesi non hai smarrito un solo etto di quella "trippa"!-
-Signor sergente, ho perso otto chili!-
-Ma veramente? Il nostro signorino è in perfetta forma!-
I camerati ridevano con sarcasmo e l'animo di Serafino ne risentiva: in certi momenti d'ira egli avrebbe strangolato quel buzzurro di sottufficiale.
Ricambiava il disprezzo dei camerati con altrettanta avversione e si difendeva intelligentemente dalle burle.
Finalmente un colonnello, amico di famiglia, ottenne il congedo anticipato dal burbero generale.
Serafino fu accolto con gioia in ufficio: esultammo tutti assieme, ascoltando con apprensione le sue vicissitudini.
-Il sergente riteneva di avermi plasmato a modo suo. Volle darmi la mano prima che me ne andassi, ma gli risposi che i somari
della sua specie meritavano solo bastonate e che era un ammasso di muscoli senza cervello!-
Festeggiammo Serafino in un locale rinomato: bevemmo champagne e mangiammo ostriche.
Egli si dimostrò quel gran Signore che noi tutti conoscevamo: pagò la cena alle signore e rese brillante la conversazione.
Parlò dei suoi progetti per il futuro, con accorta eloquenza: -Non rimarrò molto tra voi! Concluderò l'università e diventerò un commercialista! Un vecchio compaesano, che mi considera come un figlio, attende il mio titolo di Stato per andare in pensione e consegnarmi il suo studio, molto ben avviato!-
Il solito sciocco commentò a bassa voce: -Deve avere bevuto un po' troppo! Altro che commercialista: mi hanno detto che suo padre lo attende a casa, perché non ce la fa più con la salumeria!-
Era risaputo che il padre di Serafino fosse in cattive acque, ma sicuramente non si sarebbe abbassato a certi mestieri.
Questa affermazione non meritava risposta: la bassezza morale di certi individui è pari ai mediocri risultati che essi ottengono nella vita.
L'illusione della conclusione delle sue traversie durò due mesi, poi Serafino ricevette una lettera dal Ministero della Difesa: doveva presentarsi alla stessa caserma e nello stesso reparto per concludere in nove mesi il servizio militare.
Il colonnello, che lo aveva esentato, era stato arrestato per corruzione: da tempo era sotto inchiesta per gli esoneri facili.
Ancora Serafino dovette partire, ma senza più speranze di un congedo anticipato.
All'arrivo in caserma il sergente Corpari lo stava attendendo: non era arrabbiato, non disse nulla, ma sogghignava.
Aveva desiderato la vendetta e ora il suo "onore" era salvo: nessun soldato lo aveva offeso impunemente e nessun signorino viziato doveva scampare alla sua "giustizia".
La stizza si era trasformata in freddo rancore: quel bruto lo avvilì sino a farlo piangere davanti alla truppa.
Un amico sostiene che Serafino non sia più quello di un tempo, ma triste e pauroso.
Io non credo a questa calunnia: egli tornerà depresso, ma sarà sempre lo stesso.
Si riprenderà e proseguirà la sua strada con successo.

RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli statali. Gioie e dolori per il posto fisso”
Scritto da Arduino Rossi
Morpheo editore – Narrativa
presente in IBS e altre librerie online
http://www.morpheoedizioni.it/Gli_Statali.htm