IL PIGRO
Mi ero iscritto al Politecnico di Milano, convinto dai miei genitori: io non mi sarei mai impegnato negli studi universitari senza il loro sprone.
Il primo anno di corso lo superai con tutti gli esami in regola, non tanto per la mia buona volontà, ma per il bisogno di riempire con un'attività le ore vuote della giornata, poi vinsi un concorso nell'Ente di controllo sulla Manutenzione Stradale ed ebbi un impiego.
Smisi di studiare, nonostante la contrarietà di mio padre: la professione da ingegnere mi interessava, ma la prospettiva di altri quattro anni di studio mi fece perdere il desiderio di continuare.
Il mio impiego era decoroso: avevo un discreto stipendio e un po' di ipocriti ossequi da parte degli utenti.
Io mi accontentavo di questo poco, ma mio padre non si stancava di stimolarmi a un maggiore arrivismo: -Camillo, sei intelligente e hai molte possibilità di carriera: sei sprecato come impiegatuccio! Non fare lo sciocco!-
Non era per stupidità che volevo rimanere nel calderone dello Stato, ma per la mia scarsa propensione al lavoro: avevo le mie aspirazioni, ma purtroppo la mia pigrizia mi costringeva a rinunciare a esse.
Gli anni trascorsero tutti uguali per me: sempre le stesse cartacce, sempre le stesse chiacchiere con i miei colleghi e le sere passate bighellonando sino a tardi.
Pure nella ricerca della ragazza ero indolente: non mi erano mancate le buone occasioni e avevo iniziato qualche legame, ma la mia incostanza e i miei fiacchi intenti avevano disilluso molto presto le fidanzate.
Per anni avevo avuto solo qualche amorino e poca voglia di impegnarmi in un rapporto duraturo: stavo bene in casa con i miei genitori e non volevo perdere la libertà di uscire tutte le sere con gli amici.
Ogni scapolo ha il suo tallone d'Achille e una biondina, molto carina, mi fece innamorare.
Era piccola, dal viso un po' infantile e dai furbi occhi verdi: pareva una di quelle ragazze dall'aspetto eternamente da adolescente e bisognose di protezione.
Invece era dinamica come una gatta e molto sportiva: praticava le discipline più pericolose con incoscienza.
Aveva sempre nuove idee, anzi grilli per la testa: era affascinata dall'audacia, dalla vivacità e amava l'imprevisto.
Io la seguivo, con le mie paure, in tutte le sue imprese: feci corsi di roccia e di sci alpinismo.
Riuscii a evitare il paracadutismo e i voli in deltaplano solo perché il nostro tempo era limitato.
Tutte le sere mi esercitavo in palestra o correvo lungo le strade della periferia: non potevo sfigurare davanti a lei, che era sempre al meglio della forma.
Provai pure "l'ebbrezza" della discesa nelle viscere della terra: strisciai in stretti cunicoli e mi calai in tetri antri profondissimi.
L'amore mi costringeva a fatiche e ad azzardi veramente eccessivi per il mio placido temperamento, ma sicuramente Rosa valeva tutto ciò.
Per di più eravamo bene affiatati, nonostante la diversità di carattere: io valutavo con calma ogni situazione ed evitavo che ella incappasse in rischi o in noie, costringendomi a vincere la mia apatia.
In ufficio mi atteggiavo a uomo d'azione ed esageravo efficacemente la mia audacia: i colleghi mi ammiravano, ma non avrebbero mai cambiato una loro quiete ora con le mie emozionanti esperienze.
La frenesia di Rosa cresceva ogni giorno, ma ella non avrebbe fatto un solo passo senza di me.
Una sera mi disse a bruciapelo, troncando il mio discorso, che voleva concludere in una proposta di matrimonio.
-Che ne dici di un viaggio con l'agenzia "Avventura"? Uno di quei percorsi di sopravvivenza nei deserti o nelle foreste tropicali, con solo qualche provvista, pochi mezzi e tanto coraggio!-
Cercai di dissuaderla da un progetto così folle, ma più le davo motivazioni razionali e più ella si intestardiva nel suo proposito.
Scegliemmo l'itinerario africano e ci allenammo sui greti dei fiumi durante i fine settimana e tra le boscaglie delle nostre montagne, con pochissimi viveri e dormendo all'aperto.
Mi sentivo un po' ridicolo in quella tenuta da esploratore a pochi chilometri dalla città, ma gli organizzatori dell'agenzia mi assicurarono che era necessario prepararsi in tempo ai disagi, per non incappare poi in grosse difficoltà.
Partimmo dall'aeroporto di Milano Linate in agosto, mentre gli italiani riposavano placidi sulle spiagge. IL PIGRO
I miei compagni di peripezia erano cordiali e durante il volo iniziai a conoscerli: avevano tutti un impiego sedentario, una frustrante esistenza quotidiana e uno spirito sognante da ragazzini.
Essi erano tutti ben allenati e c'era anche qualche veterano: -Il profumo della giungla è inebriante! Le grida delle belve nella notte creano una musica favolosa!-
I racconti dei reduci infiammarono gli animi: ci sentimmo degli eroi, pronti ad affrontare una tribù di cannibali o un branco di elefanti imbizzarriti.
Dopo l'atterraggio, senza neppure controllare i documenti, i funzionari dell'aeroporto ci fecero rinchiudere in una baracca di lamiere, senza viveri, né acqua.
Le nostre proteste non servirono a nulla: i due annoiati militari di guardia ci assicurarono, in un inglese storpiato, che era una procedura normale.
Trascorremmo alcune ore in quel "forno per turisti" e tra noi qualcuno ebbe leggeri malori, altri crisi isteriche.
A sera un omino cortese, vestito all'occidentale, ci lasciò uscire, senza darci spiegazioni.
Come mezzo di trasporto, per condurci al nostro albergo, gli organizzatori ci avevano procurato un vecchio autobus, incredibilmente mal ridotto, guidato da un africano spericolato e probabilmente ubriaco.
L'albergo era un fortilizio militare inglese parzialmente riadattato, mentre la giungla aveva invaso il settore abbandonato dell'edificio.
Soffrivamo molto la sete e tutti bevemmo a un pozzo, non badando all'aspro sapore di quell'acqua giallognola.
Nella notte la maggior parte di noi ebbe intensi dolori di pancia e al mattino quasi tutti avevano la febbre.
Solo io e tre veterani eravamo ancora in buone condizioni per inoltrarci nella foresta.
Avevo già perso tutto il mio scarso ardore e cercai di evitare questa prova con la scusa di restare vicino a Rosa malata, ma ella non fu d'accordo: -Va, almeno tu! Non voglio costringerti a rinunciare a questa stupenda esperienza!-
Fu risoluta come al solito e non mi rimase che aggregarmi a quei tre atleti, capaci di resistere in qualsiasi ambiente e clima.
Il caldo umido mi sfiancava durante le marce: le punture delle zanzare erano dolorose e non mi concedevano un momento di sollievo.
Ero l'ultimo e a stento tenevo il passo con il gruppo.
La vegetazione era così fitta che eravamo costretti ad aprirci il varco con una mannaia affilata.
Ero terrorizzato dai serpenti e li immaginavo pronti a mordermi, dietro ogni groviglio della vegetazione.
Il più audace ed esperto tra noi mi richiamava continuamente per la mia lentezza e per il mio scoraggiamento: -Se sapevi di avere tutta questa paura, perché sei venuto? Non ci puoi far rallentare in questo modo!-
Arrivammo sulla riva di un fiumiciattolo fangoso e pullulante di strani pesci.
Il capo gruppo mi dovette spingere con la forza in acqua per farmi guadare: -Coraggio! Qui non ci sono pesci piranha, ma solo coccodrilli!-
Essi mi deridevano, ma senza cattiveria, da sempliciotti.
Alzammo le tende per la notte in una radura e accendemmo il fuoco.
Mi sentivo sfinito e col viso bruciato dal sole e gonfio per le punture degli insetti.
Finalmente stavo ascoltando la "musica" della giungla: era un caotico concerto di suoni differenti, vicini e lontani, che il silenzio amplificava. Si riconoscevano solo i lamenti delle prede ormai spacciate e le urla delle belve affamate.
Non so come potei trascorrere un'intera settimana in quelle condizioni, forse fu l'istinto di conservazione che mi dette la grinta insperata.
Al ritorno in ufficio tutti i colleghi mi chiesero e richiesero il resoconto della mia avventura: fu il fatto della settimana e per un intero mese ci fu ancora chi ne riparlava.
Era il mio momento di gloria: esaltai la mia indifferenza davanti al pericolo e la bellezza della natura esotica.
Rosa era soddisfatta di me ed era disposta a sposarmi: -Sei l'uomo che ho sempre sognato, che condivide le mie passioni! Vedrai quante nuove avventure avremo dopo le nozze!-
L'ascoltai senza battere ciglio e le promisi con freddezza che le avrei dato presto una risposta.
Infatti le detti il ben servito, lasciandola sconcertata perché ella non capì il motivo di una decisione così repentina: non aveva mai compreso la mia personalità interiore e meno temeraria.
Oggi cerco una ragazza con i miei stessi gusti. Se ella non sarà bella come Rosa non è rilevante, l'importante è che accetti la mia predisposizione a una monotona vita da impiegato statale e senza rischi.
RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli statali. Gioie e dolori per il posto fisso”
Scritto da Arduino Rossi
Morpheo editore – Narrativa
presente in IBS e altre librerie online
http://www.morpheoedizioni.it/Gli_Statali.htm