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26 mar 2021

La globalizzazione ci ha portato la pandemia.

A dire il vero ci ha portato anche altre pandemie oltre al Covid, come l'AIDS, ma anche altre che hanno colpito per esempio l'Africa.
Perché questo capita?
Bisogna conoscere la storia dell'Homo Sapiens Sapiens, cioè la nostra specie.
Circa 70 mila anni fa gli umani erano tutti concentrati in Africa, nella zona dell'attuale Etiopia, qualcosa, un cambiamento climatico e forse delle pandemie, li aveva ridotti a pochi migliaia di individui, circa 2 mila coppie, ovvero 4 mila esseri, a rischio estinzione. 
Il numero è piccolo e il patrimonio genetico si era ridotto parecchio, rendendo il genoma umano non troppo sviluppato, anzi limitato a poche varianti. 
In pratica noi umani siamo tutti, in un cento senso, parenti stretti, poi 50 mila anni fa i Sapiens Sapiens se ne andarono per tutto il mondo, cambiando colore della pelle, per la faccenda della vitamina D, prodotta appunto anche dall'epidermide e quindi più chiara è la pelle e più vitamine si produce a Nord, dove c'è meno sole, che ha generato la pelle bianca europea o dei popoli asiatici, un po' sul giallo, per lo spessore dell'epidermide.
Comunque, nonostante le differenze somatiche, siamo genericamente molto simili, per virus e i batteri è........una bella notizia e fanno festa, diciamo ironicamente, perché quando hanno trovato il sistema per infettare un umano possono infettarci tutti.
La notizia non ci rende felici, perché siamo.......... fratelli tutti, come dice Bergoglio, infatti può bastare, in teoria, un virus per ucciderci tutti.
Quindi la globalizzazione ci fa male, molto male e a uccidere è l'ignoranza di chi confonde il razzismo con l'igiene.
Abbracciare un...... cinese era un invito a infettarci, così accogliere tutti significa accogliere tutti i virus al seguito e in conseguenza servono frontiere sanitarie, per il bene di tutti.
Oggi i virus fanno il giro del mondo in un paio di giorni e possono infettare anche l'ultimo villaggio sperduto in pochi settimane.
In passato sarebbero stati necessari anni, decenni, mentre i vaccini e le cure necessitano sempre molto tempo, in studi e ricerche.
Quindi la globalizzazione e l'accoglienza uccidono, i primi saranno gli idioti che abbracciano i cinesi e tutti gli altri esseri umani, ma poi, perché costoro vivono con noi, toccherà pure a noi.
I virus non sono razzisti e ci.............. vedono tutti fratelli.

5 ott 2010

Denaro e paradiso . I cattolici e l’economia globale


 

 

Ettore Gotti Tedeschi
Rino Cammilleri

Volume edito da Lindau di 155 pag.

Nuova edizione ampliata con un commento all'enciclica "Caritas in veritate"

01 Settembre 2010

Fonte come da titolazione, rilevato da Ciani Vittorio x l'Ufficio Documentazione Diocesi Piacenza-Bobbio.

Indice

Pag. 9. Prefazione, card. Tarcisio Bertone

Pag. 15. Premessa

Pag. 17. Introduzione


DENARO E PARADISO

Pag. 23 1. L'economia

Pag. 49 2. Il capitalismo

Pag. 79 3. La globalizzazione

Pag. 105 4. Economia ed etica

Pag. 125 5. Conclusione

Pag. 139 6. La crisi dell'uomo, la crisi economica e l'Enciclica «Caritas in Veritate»

Premessa

Poiché il capitalismo ha origini cristiane e su queste si fonda ancora oggi nonostante le eresie che l'hanno deformato, l'economia di mercato e la globalizzazione che stiamo vivendo sono ancora il sistema che meglio permette all'uomo di valorizzarsi, meglio di altri e nonostante tutto. Dal mo­mento che non esiste un'«economia cattolica» (esistono semmai i cattolici che possono gestirla), è opportuno superare molti luoghi comuni e chiarire tanti pregiudizi. Questo libro propone una serie di riflessioni su vari argomenti: sull'economia di mercato, sul capitalismo, sulla globalizzazione, sulla morale in economia. Proprio per rivedere tanti pregiudizi.

È stato scritto per far capire che l'economia, il mercato, il capitalismo e la globalizzazione non sono di per sé un male e non sono pericolosi: essi sono strumenti neutri nelle mani dell'uomo. È stato scritto anche per spiegare ai non cattolici, nonché ai cattolici meno convinti, che la morale cattolica in economia rappresenta un potenziale vantaggio competitivo da esaltare piuttosto che reprimere. La morale cattolica non è mai stata contro il capitalismo o le leggi del mercato né un ostacolo allo sviluppo, anzi. E questo libro vorrebbe tentare di riconciliare, in piena globalizzazione e crisi economica mondiale, morale e mercato, mostrando i reciproci benefici che l'una può portare all'altro: la morale può rendere più efficace il mercato, l'economia e la ricchezza non impediscono una vita pienamente cristiana.


Chi domanda è l'intellettuale polemico e curioso, chi risponde è l'economista pratico e non accademico. Entrambi sono sensibili al problema dell'uomo, preoccupati di orientare gli sforzi dell'economia verso il di lui bene.

(…) (…)

Capitolo 6 (pagg. 139-154)

La crisi dell'uomo, la crisi economica e l'Enciclica «Caritas in Veritate»

Tra la prima edizione e questa nuova del 2010 molte cose sono accadute. Soprattutto, ai fini del nostro discorso, è intervenuta l'enciclica Caritas in veritate (29 giugno 2009) dell'attuale pontefice, Benedetto XVI, che l'ha promulgata nel quinto anno del suo pontificato.

Due frasi di essa mi sembra opportuno citare a mo' di esergo prima di procedere alle consuete domande-risposte, anche perché paiono, a tutt'oggi, riassumere la strategia di questo pontificato: «Senza Dio l'uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia»; e: «La ragione senza la fede è destinata a perdersi nell'illusione della propria onnipotenza. La fede senza la ragione rischia l'estraniamento dalla vita concreta delle persone».

Veniamo dunque a noi. Leggo nell'enciclica:

Pubblicando nel 1967 l'enciclica Populorum progressio, il mio venerato predecessore Paolo VI (...) ha affermato che l'annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo (...). A oltre quarant'anni dalla pubblicazione dell'enciclica, intendo rendere omaggio e tributare onore alla memoria del grande pontefice Paolo VI, riprendendo i suoi insegnamenti sullo sviluppo umano integrale e collocandomi nel percorso da essi tracciato, per attualizzarli nell'ora presente. Questo processo di attualizzazione iniziò con l'enciclica Sollieitudo rei socialis, con cui il Servo di Dio Giovanni Paolo II volle commemorare la pubblicazione della Populorum progressio in occasione del suo ventennale. Fino ad allora, una simile commemorazione era stata riservata solo alla Rerum novarum. Passati altri vent'anni, esprimo la mia convinzione che la Populorum progressio merita di essere considerata come «la Rerum novarum dell'epoca contemporanea», che illumina il cammino dell'umanità in via di unificazione.

Dunque, la Caritas in veritate è uscita con due anni di ritardo rispetto alla commemorazione enunciata. Come mai?

Il Santo Padre, anche   ritengo   su suggerimento del Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, sembra aver percepito che la crisi economica incombente avrebbe modificato il contesto stesso cui si riferiva l'enciclica. Sia nelle considerazioni, sia nelle raccomandazioni. È vero, un'enciclica sulla Dottrina Sociale non può essere una lezione di economia, essa è un richiamo pastorale e dottrinale a vescovi, sacerdoti e fedeli riferito al comportamento dell'uomo a fronte di specifici problemi. Come tale un'enciclica è «senza tempo», anche se, dovendo riferirsi a problemi ben precisi e attuali, è «nel tempo». Questa enciclica è una specie di lezione sulla volontà di Dio, che nel caso specifico è stata costretta a occuparsi di economia. Meglio: è stata costretta a occuparsi dell'uso dello strumento economico secondo i fini per cui è stato adottato, il senso che gli è stato dato nel momento specifico considerato dall'enciclica. Nel 2007 le prospettive dell'economia e del ruolo delle grandi nazioni non erano chiare, si era alla vigilia di un grande cambiamento sospettato, sì, ma ancora non chiaramente definibile. Così, appare comprensibile la volontà di rinvio dell'uscita dell'enciclica per coglierlo meglio. Questa volontà di attendere fu provvidenziale perché permise di chiarire una serie di fatti che, spiegando meglio l'origine vera della crisi economica e le sue conseguenze, divennero illuminanti nella diagnosi e nelle raccomandazioni.

È stata giustamente definita «la Rerum Novarum dell'epoca contemporanea». Secondo me lo è anche per il suo profondo realismo e la relazione assoluta tra fede e ragione, tanto affermata dal questo Papa che sa prendere gli uomini «per la testa» e non solo per il cuore. La Rerum Novarum fu promulgata nel 1891 (anche se preparata l'anno precedente), in un periodo molto influenzato da fenomeni economici nuovi e complessi. In quell'enciclica Leone XIII indicò nella concentrazione del potere economico un pericolo per l'uomo. Qualcuno si affrettò subito a leggere in tale considera­zione una volontà anticapitalista di quel Papa. Invece, proprio nello stesso anno della preparazione dell'enciclica (1890), era stato approvato negli Stati Uniti lo Sherman Act, legge anti-monopoli o trust che regolava appunto la concentrazione di potere economico, riconosciuta dannosa al mercato e agli operatori economici. Ecco, dunque, la razionalità della fede (e, naturalmente, della morale). Vedremo oltre come anche per la Caritas in veritate risalta la razionalità dell'indicare le vere ragioni, morali e economiche, dell'attuale crisi, già anticipate dalle due encicliche richiamate da Benedetto XVI: Humanae vitae (1968) e Populorum progressio (1967) di Paolo VI, scritte più di quarant'anni prima.

Pesco ancora nel testo e cito:

Con la Lettera apostolica Octogesima adveniens del 1971, Paolo VI trattò poi il tema del senso della politica e del pericolo costituito da visioni utopistiche e ideologiche che ne pregiudicavano la qualità etica e umana. Sono argomenti strettamente collegati con lo sviluppo. Purtroppo le ideologie negative fioriscono in continuazione. Dall'ideologia tecnocratica, particolarmente radicata oggi, Paolo VI aveva già messo in guardia, consapevole del grande pericolo di affidare l'intero processo dello sviluppo alla sola tecnica, perché in tal modo rimarrebbe senza orientamento. La tecnica, presa in se stessa, è ambivalente. Se da un lato, oggi, vi è chi propende ad affidarle interamente detto processo di sviluppo, dall'altro si assiste all'insorgenza di ideologie che negano in toto l'utilità stessa dello sviluppo, ritenuto radicalmente anti-umano e portatore solo di degradazione. Così, si finisce per condannare non solo il modo distorto e ingiusto con cui gli uomini talvolta orientano il progresso, ma le stesse scoperte scientifiche, che, se ben usate, costituiscono invece un'opportunità di crescita per tutti. L'idea di un mondo senza sviluppo esprime sfiducia nell'uomo e in Dio. È, quindi, un grave errore disprezzare le capacità umane di controllare le distorsioni dello sviluppo o addirittura ignorare che l'uomo è costitutivamente proteso verso l'«essere di più». Assolutizzare ideologicamente il progresso tecnico oppure vagheggiare l'utopia di un'umanità tornata all'originario stato di natura sono due modi opposti per separare il progresso dalla sua valutazione morale e, quindi, dalla nostra responsabilità.

Ancora:

«I diritti individuali, svincolati da un quadro di doveri che conferisca loro un senso compiuto, impazziscono e alimentano una spirale di richieste praticamente illimitata (…). Se, invece, i diritti dell'uomo trovano il proprio fondamento solo nelle deliberazioni di un'assemblea di cittadini, essi possono essere cambiati in ogni momento».

Ora, la domanda è: quali problemi reali influenzano l'enciclica nelle sue considerazioni e raccomandazioni?

Vorrei distinguere tre categorie di problemi reali: quelli che hanno originato la crisi economica contemplata dall'enciclica, quelli che hanno concorso ad ampliarla e quelli che dovrebbero risolverla ma vengono ritenuti pericolosi. Nel primo gruppo ha particolare rilevanza il crollo della natalità verificatosi negli anni 1975-80 nel mondo occidentale: troviamo le necessarie considerazioni su questo problema nei capitoli primo e secondo dell'enciclica. Nel secondo gruppo, tra le cause che concorrono ad ampliare la crisi (tramite il cattivo uso di strumenti di carattere politico, economico e finanziario), va segnalato il pensiero nichilistico dominante; questo, separando idee e comportamenti da qualsiasi verità o valore assoluto, porta a considerare l'uomo un animale, pur intelligente, da soddisfare solo in via materiale e costi quel che costi. In verità tutta l'enciclica è riferita a questo problema; per intenderlo specificamente è necessario leggerne bene l'«Introduzione» e la «Conclusione». Soprattutto l'«Introduzione», che, in questa prospettiva, equivale al primo comandamento del Decalogo. Quest'ultimo è necessario capirlo e condividerlo per accettare compiutamente i successivi. Nel terzo gruppo, infine, abbiamo le possibili soluzioni della crisi, che si dovrebbe ottenere tramite l'uso dei soliti strumenti tecnici attualmente idolatrati. Troviamo le considerazioni riferite a questa categoria di problemi nel capitolo sesto dell'enciclica.

Citazione:

«È importante inoltre evidenziare come la via solidaristica allo sviluppo dei Paesi poveri possa costituire un progetto di soluzione della crisi globale in atto». Il Papa, poi, passa a insistere sul «rispetto per la vita, che non può in alcun modo essere disgiunto dalle questioni relative allo sviluppo dei popoli». Indi, stigmatizza il diffondersi di «una mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale».

È questa la strategia di fondo dell'enciclica? Il messaggio che vuole comunicare agli uomini?

Forse questa non è la vera strategia dell'enciclica ma certamente ne è il messaggio di partenza. Se non c'è rispetto per la vita che cosa merita rispetto? Richiamando le aspirazioni dell'Humanae vitae di Paolo VI, implicitamente Benedetto XVI impone il richiamo principale dell'intera enciclica e, conseguentemente, prevede il crollo di ogni altro valore e/ o surrogato. Io credo che il messaggio di fondo dell'enciclica sia questo: uno strumento   come lo sono l'economia, la scienza e la tecnica   non può e non deve rivendicare autonomia morale; ciò produrrebbe danni irreparabili per l'uomo, come è infatti successo. E questo accade quando l'uomo perde il significato del vero e sottomette la verità alla propria libertà (che, nella visuale cattolica, è disordinata). L'autonomia morale di uno strumento è sintomo di confusione e di perdita della verità. Ne consegue che la stessa vita umana perde di significato, la dignità umana perde il suo valore e l'uomo diventa mezzo di produzione, di consumo, di risparmio.

Ma merita soffermarsi un attimo su questo punto del rispetto della vita, perché, se non è il messaggio di fondo, è senz'altro il fondamento del messaggio dell'enciclica. Infatti, negando la vita o subordinandola ad altri (presunti) valori, si producono realmente danni irreparabili. Perciò affermo chiaramente che l'origine della crisi attuale è soprattutto morale ed è dovuta proprio alla negazione della vita. Ricordiamoci che alla fine degli anni '60 i «profeti» neomalthusiani (prima quelli dell'università di Stanford, poi quelli del MIT-Massachussetts Institute of Technology) annunciarono che, se il tasso di crescita della popolazione avesse proseguito come negli anni precedenti (intorno al 4/4,5%), prima del 2000 centinaia di milioni (cifra poi ridimensionata in decine di milioni) di persone sarebbero morte per fame soprattutto in Asia e India. Questo la dice lunga sulle capacità predittive di sociologi ed economisti; infatti, ciò che poi è avvenuto contraddice in pieno i loro assunti. Nel mondo occidentale, che interruppe la natalità portandola, anzi, al di sotto dello zero, si sono create condizioni per la crisi, mentre nel mondo ex emergente, che ha continuato a far figli, si sono invece avuti sviluppo e creazione di ricchezza; e oggi quasi sostengono addirittura il mondo (ex) ricco (ed egoista). Noi occidentali abbiamo creduto di diventare più ricchi negando la vita e invece siamo diventati più poveri.

Ed ecco quel che è successo. Se la popolazione di un Paese ricco (e costoso) cessa di crescere, diminuisce   conseguentemente e progressivamente   l'accesso alla fase di produttività di giovani; per contro, aumenta il numero delle persone che escono dalle attività produttive e diventano un costo per la collettività. Questa, dunque, decresce sia in numero che in risorse. In pratica, nel sistema socio-economico aumentano i costi fissi; e, non potendosi ridurre le tasse, diminuiscono i risparmi e, dunque, le attività finanziarie. La reazione più naturale è a quel punto aumentare la produttività (il che equivale in pratica a fare gli straordinari) ma ciò ha un limite fisico. Certo, si può tentare con sistemi che cerchino di aumentare il potere di acquisto riducendo i costi (per esempio, la delocalizzazione in Asia di molte produzioni). Ma quando ciò non basta non rimane che un mezzo: il debito. O meglio, il consumismo a debito, che arriva agli eccessi che conosciamo. Il fatto è che l'abnorme espansione creditizia, il cattivo uso degli strumenti finanziari e quant'altro, sono stati effetti, non cause. Altrove va cercata l'origine degli attuali squilibri economici: nel non rispetto della vita umana.

Sempre partendo da citazioni:

«L'enciclica Humanae vitae sottolinea il significato insieme unitivo e procreativo della sessualità, ponendo così a fondamento della società la coppia degli sposi, uomo e donna (...I. Nella Populorum progressio, Paolo VI ha voluto dirci, prima di tutto, che il progresso è, nella sua scaturigine e nella sua essenza, una vocazione».

Con la Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II, sono le tre encicliche che la Caritas in veritate riprende. Perché proprio queste?

Come ho anticipato commentando l'Humanae vitae, quando non si hanno idee chiare sulla vita si equivoca sul ruolo dell'uomo, il quale da fine diventa mezzo e non è altro che un animale che basta soddisfare materialmente. Così, lo sviluppo   come avvertiva la Populorum progressio   non è più «integrale», cioè non tiene più conto dei veri bisogni dell'uomo. L'uomo non è il risultato dell'evoluzione di un bacillo frutto del caos. La Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II viene ricordata nella Caritas in veritate in vari punti, soprattutto nel capitolo sesto in cui si parla del rischio di idolatria delle tecniche. Nella Sollicitudo il Papa polacco fu profeta. Egli vide un uomo sempre più concentrato su filosofie positiviste, relativiste e nichiliste, un uomo che crede solo e sempre più nelle scienze e nelle tecniche, che crea strumenti sempre più sofisticati ma non matura in comprensione, sapienza, conoscenza e saggezza. Come potrà questo tipo d'uomo   si domandava Giovanni Paolo II   gestire siffatti strumenti? Rischierà che gli sfuggano di mano. Come infatti è successo e   si teme nel sesto capitolo della Caritas in veritate   succederà ancora se l'uomo non matura e ritrova, con la Verità, la vera saggezza.

Cominciamo, anche qui, con un paio di citazioni:

«La sapienza della Chiesa ha sempre proposto di tenere presente il peccato originale anche nell'interpretazione dei fatti sociali e nella costruzione della società». E la convinzione poi della esigenza di autonomia dell'economia, che non deve accettare "influenze" di carattere morale, ha spinto l'uomo ad abusare dello strumento economico in modo persino distruttivo».

Teologia, economia. Sembra che i sei capitoli nei quali la Caritas in veritate è divisa, volendo abbracciare tutta la realtà odierna,finiscano con l'essere in qualche misura scollegati tra loro. Ma noi sappiamo che c'è una «storia» che intendono raccontare, un filo che li unisce e conduce a conclusione, vero?

C'è fin dall'«Introduzione», in cui si spiega quale deve essere il principio di riferimento nell'uso di uno strumento come quello economico: il progetto di Dio, la verità della fede, la carità in questa verità.

Il primo capitolo ricorda le prospettive della Populorum progressio e della Humanae vitae sul valore della vita e sullo sviluppo integrale dell'uomo, si domanda se tali prospettive siano state realizzate e si risponde di no. Il secondo capitolo spiega i motivi del fallimento: chiusura alla vita, fraintendimento dell'uso dello strumento economico, sviluppo falsato, tecniche male usate, distribuzione della ricchezza non realizzata. Nel capitolo terzo si scava ulteriormente: ciò è avve­nuto perché l'economia e la tecnica hanno preteso autonomia morale. Ma non devono averne perché sono solo strumenti cui imporre, al contrario, un senso, in quanto ogni decisione economica e tecnica ha impatto morale. Il capitolo quarto propone di riprendere la responsabilità personale nelle azioni e nell'uso degli strumenti, giacché l'etica può essere solo personale. Lo strumento economico va usato per il bene comune secondo una gerarchia di fini; la Chiesa ha il diritto di riaffermare ciò perché ha la responsabilità della tenuta morale della società. La conseguenza di questo agire è trattata nel successivo capitolo quinto, che è riferito al bene comune. La responsabilità personale fa sì che occuparsi di economia voglia dire pensare agli altri, pensare ai popoli come a una sola famiglia con cui condividere sviluppo e benessere. Altrimenti   spiega il sesto capitolo   si cade in una nuova forma di pericoloso regresso, cagionato questa volta dall'autosufficienza delle tecniche. Sviluppando queste ultime e non conoscenza l'uomo si perde. Per questo è necessaria la Verità. Solo così si avrà un vero sviluppo.

Continuiamo col sistema delle citazioni dall'enciclica:

«Il mercato, lasciato al solo principio dell'equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare [...]. E oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave».

È un velato rimprovero al mondo dell'imprenditoria e della finanza?

Non lo credo affatto. Tutt'al più potrebbe essere un velato rimprovero a quegli uomini che si occupano di impresa e finanza dimenticando che si tratta di mezzi e che, dunque, necessitano di un fine per essere buoni e efficaci. È certamente vero che è venuto a mancare uno strumento essenziale in economia: la fiducia. La mancanza di fiducia provoca alti sovra costi e produce l'inceppamento di molti meccanismi nel sistema economico.

Parto, anche qui, da una citazione:

Opportunamente Paolo VI nella Populorum progressio sottolineava il fatto che lo stesso sistema economico avrebbe tratto vantaggio da pratiche generalizzate di giustizia, in quanto i primi a trarre beneficio dallo sviluppo dei Paesi poveri sarebbero stati quelli ricchi. Non si trattava solo di correggere delle disfunzioni mediante l'assistenza. I poveri non sono da considerarsi un «fardello», bensì una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico. È tuttavia da ritenersi errata la visione di quanti pensano che l'economia di mercato abbia strutturalmente bisogno di una quota di povertà e di sottosviluppo per poter funzionare al meglio.

Qualcuno ha detto che questa enciclica invita a rinnovare il capitalismo. Se non sbaglio su «Il Sole 24 ORE», hai ribattuto che è la mancanza di buoni preti ad aver prodotto l'attuale crisi. Cosa intendevi dire?

Il futuro del capitalismo nel mondo intero non sarà legato a nuove formule o nuove vie. Il capitalismo e il mercato sono strumenti in continuo adattamento all'evoluzione delle strutture economiche. Il futuro del capitalismo è funzione di ciò che sarà l'uomo nel mondo, e il mondo stesso sarà ciò che gli uomini ne faranno. Dunque, tutto dipenderà dal senso che gli uomini daranno alla vita e alle proprie azioni. È infatti inutile biasimare gli uomini che non sanno dare senso all'economia e al capitalismo. Se la vita stessa non ha senso come si potrà darne uno all'uso di uno strumento? E questo insegnamento non si apprende nelle università, dove si insegna economia o finanza o scienze. Il senso soprannaturale della vita e il dovere della ricerca della Verità li insegnano   o dovrebbero farlo   solo i buoni preti. Una buona confessione o un buon ritiro spirituale in cui venga insegnato solo a cercare Dio e perciò la Verità, dà molto più «valore aggiunto» a un manager di tanti training professionali. I quali sono, certo, utili, ma restano mero mezzo per un fine. Se manca questo manca tutto.


«L'attività economica non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile. Questa va finalizzata al perseguimento del bene comune, di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità politica. Pertanto, va tenuto presente che è causa di gravi scompensi separare l'agire economico, a cui spetterebbe solo produrre ricchezza, da quello politico, a cui spetterebbe di perseguire la giustizia mediante la ridistribuzione.»

Ora, tutti ritengono che la responsabilità dell'attuale crisi economica globale sia da attribuirsi prevalentemente alla finanza. Qui, però, si tira in ballo anche la politica. Dunque?

La responsabilità dell'attuale crisi non può essere della finanza. Questa, semmai, ha un'altra responsabilità, quella di averla aggravata. La politica ne ha di maggiori. Lo ammise lo stesso presidente Bush nell'ultima riunione del G20 cui partecipò: disse esplicitamente che il suo governo aveva sostenuto una crescita economica esageratamente a debito. Si ricordi che detto governo aveva persino previsto e strutturato ben due agenzie (Freddy & Fanny) per ovviare agli errori eventuali commessi nella concessione di credito e mutui. Anche Obama nel suo primo G20 confessò che gli americani avevano vissuto ben al di sopra delle proprie possibilità e per troppo tempo.

Ma in che senso si parla di responsabilità della politica? Per poter valutarla bisogna tenere presenti tante circostanze complesse e non semplificabili. Per un governo, la diminuzione della crescita del Pil (Prodotto Interno Lordo) è un fatto grave. Implica scarsa capacità governativa, il rafforzamento dell'opposizione e crollo di consensi alle elezioni. Significa minor budget per spese sociali e investimenti, significa sostenere la crescita a debito. Nel caso degli USA vuol dire dover ridurre le spese militari, e magari in un momento cruciale di pericoli bellici o terrorismo (si pensi all'11 settembre 2001) Vuol dire dover prevedere modifiche negli assetti di potere geopolitico nel futuro prossimo e nel compararsi a nazioni a maggiore crescita (per esempio, se gli USA, con 450 milioni di abitanti, crescono del 3% all'anno e la Cina, con 1,5 bilioni di abitanti, del 15%, è evidente che in breve il potere si sposterà in Cina). In pratica, la politica dovrà inventarsi qualcosa per sostenere il suo potere. Negli USA, negli ultimi dodici anni, hanno escogitato per le famiglie la crescita a debito, facendo lievitare, affinché aumentassero i consumi, il peso del loro debito sul Pil dal 68% del 1998 al 96% del 2008. Più 28% in dieci anni, equivalente a un tasso di crescita medio del 2,8% annuo. Oggi dette famiglie hanno perso gran parte del valore dei propri risparmi, del valore della casa (comprata a debito), del valore del fondo pensione; hanno alcune annate di debiti da pagare e un maggior rischio di disoccupazione. In pratica, le famiglie sono diventate sussidiarie ai bisogni dello stato (in fondo, quel che J.F. Kennedy auspicava già negli arali '60).

Nell'enciclica si parla del «danno che il "supersviluppo" procura allo sviluppo autentico, quando è accompagnato dal "sottosviluppo morale"

«(...). Non va dimenticato che il mercato non esiste allo stato puro. Esso trae forma dalle configurazioni culturali che lo specificano e lo orientano».

Dunque, per il Papa la causa della crisi è «morale». Cosa significa? Mi si passi l'espressione: il peccato cagiona anche crisi economiche?

Certamente il peccato, comportando sovvertimento dell'ordine naturale, provoca crisi: dell'uomo stesso, che perde riferimenti e valori, e da ciò, delle sue azioni, anche in quelle economiche, con conseguenze coerenti. Abbiamo già dimostrato che l'attuale crisi è originata dal peccato di negazione della vita. A differenza di quello che, istintivamente, qualsiasi buon cristiano risponderebbe all'opportuna domanda, cioè che l'uomo fu creato «ut operaretur», perché lavorasse, vorrei lanciare una provocazione dicendo che non è vero. L'uomo è stato creato affinché, anzitutto, pensasse. Se non lo facesse, lavorerebbe senza pensare che senso dare al proprio lavoro. Altrimenti potrebbe arrivare persino a maledire il proprio lavoro. Il punto è che la dignità dell'uomo non sta nel lavoro ma nel pensiero. Perciò l'uomo deve prima di tutto pensare bene per poter agire meglio. Il peccato confonde e corrompe sia il pensiero che azione dell'uomo. Ecco perché auspico che accorrano a supporto dei destini dell'umanità eserciti di buoni confessori, tanti santi Curati d'Ars capaci di renderci consapevoli della gravità del peccato e di farcelo odiare. Riscuotendo, con ciò, la gratitudine del mondo intero, psicanalisti inclusi.

Cito alcuni passi in cui si adombrano alcune soluzioni:

«Senza la guida della carità nella verità, questa spinta planetaria può concorrere a creare rischi di danni sconosciuti finora e di nuove divisioni nella famiglia umana».

Parla della globalizzazione, com'è evidente.

«L'economia integrata dei giorni nostri non elimina il ruolo degli Stati, piuttosto ne impegna i governi a una più forte collaborazione reciproca. Ragioni di saggezza e di prudenza suggeriscono di non proclamare troppo affrettatamente la fine dello Stato. In relazione alla soluzione della crisi attuale, il suo ruolo sembra destinato a crescere, riacquistando molte delle sue competenze».

«Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico, il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario».

«Lo sviluppo integrale dei popoli e la collaborazione interna­zionale esigono che venga istituito un grado superiore di ordinamento internazionale di tipo sussidiario per il governo della globalizzazione».

Sembra che il Pontefice sia preoccupato anche dalle «soluzioni» dell'attuale crisi.

E come potrebbe non esserlo? Nel sesto capitolo dell'enciclica spiega con chiarezza quale sia la sua preoccupazione. Sì, perché, come alcuni governi sono stati origine della crisi, quegli stessi governi possono benissimo porre in essere soluzioni sbagliate. Come tali governi hanno reso sussidiari alle loro ansie di potere famiglie e individui, trasformandoli in mezzi di consumo a debito e rendendoli perciò vulnerabili e dipendenti, così può succedere che le soluzioni escogitate per uscire dalla crisi aggravino ancor più la situazione, sempre ai danni di famiglie e individui (passibili di venire sottoposti a nuove sperimentazioni). Il Pontefice ci ricorda che, al contrario, devono essere loro, i governi (anche quello della globalizzazione), sussidiari alla persona.

Per finire: l'enciclica al paragrafo 44 dice in sostanza che considerare l'aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo è scorretto, anche dal punto di vista economico. Cosa intende dire esattamente?

L'aumento della popolazione nei Paesi che vent'anni fa erano considerati «in via di sviluppo» ha loro portato oggi, grazie anche alla delocalizzazione produttiva, benessere e ricchezza, in misura tale da potere persino tenere in piedi i nostri Paesi (ex ricchi e senza figli). Questi Paesi oggi stanno investendo in zone che noi occidentali abbiamo sempre considerato in povertà cronica e abbiamo «aiutato» mandando profilattici per interrompere la crescita della loro popolazione. Si stima che in Africa, in via di colonizzazione da parte dei cinesi, fra una decina d'anni potranno esserci un paio di miliardi di abitanti. Su questo i cinesi stanno investendo, creando lavoro e promovendo benessere. Il problema, semmai, sarà di quale cultura e quale visione della dignità dell'uomo questi nuovi colonizzatori saranno portatori fra quelle popolazioni. Certo, non quelle cattoliche.

2 mar 2015

islam, Guerra santa, Isis, Stato islamico, terrorismo, la globalizzazione fa male

La globalizzazione non è solo di merci, ma anche di idee, ideologie, religioni, quindi il mondo chiuso di soli pochi anni fa rischia di essere travolto, poteri locali si trovano circondati da nuove idee, sconosciute nei loro ambienti sino a ieri, che li minacciano.
Così gli integralismi sono la loro risposta, dove la … confusione nata dal fermento culturale porta inevitabilmente a una reazione uguale e contraria, da questo ecco a voi la guerra totale contro gli infedeli, da distruggere in tutto il mondo, in pratica il mondo intero escludendo il proprio villaggio.

10 set 2010

globalizzazione culturale e islam

 

I conflitti cresceranno in tutto il mondo e le repressioni dei movimenti minoritari interni aumenteranno: in Cina e in Russia le minoranze islamiche soffriranno, ma pure in India e in tanti altri Paesi.

Le ripercussioni si vedranno pure anche da noi, sui posti di lavoro con persone di fedi differenti: è inevitabile che questo possa capitare, è il frutto della globalizzazione culturale.



è il frutto della globalizzazione culturale

 

I conflitti cresceranno in tutto il mondo e le repressioni dei movimenti minoritari interni aumenteranno: in Cina e in Russia le minoranze islamiche soffriranno, ma pure in India e in tanti altri Paesi.

Le ripercussioni si vedranno pure anche da noi, sui posti di lavoro con persone di fedi differenti: è inevitabile che questo possa capitare, è il frutto della globalizzazione culturale.



2 dic 2010

Globalizzazione pro e contro

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La globalizzazione sta portando strani virus alieni in Italia: sono i virus della cultura economica statunitense, che però sono già dilagati in Cina, in America Latina: è la cultura dei numeri, dei dati oggettivi.

Come metro di misura però si utilizzano i dollari, da noi si applicherà con l'Euro, ma non cambia molto: ciò che conta non sono i rapporti personali, familiari, le raccomandazioni, i favori.

Serve capacità e intelligenza, con un forte senso pratico: non importa che colore è il gatto, ma che sappia accappiare i topi.

Non importa se uno è cristiano, ebreo, islamico, uomo, donna o gay, esprima omofobia sfacciata, sia tollerante o razzista, ciò che conta è quello che sa fare e quanti soldi guadagna, facendo guadagnare.

Sta per finire il mondo dei favori e dei trafficanti viscidi, che si sanno mettere a servizio di questo o quel signorotto?

Forse questa cultura durerà ancora da noi, anni o generazioni: è duro a morire il servilismo meschino.

Però sta per finire l'era delle grandi famiglie di imprenditori: verranno sostituite da grandi imprese anonime, con sì dei ricchi azionisti, ma che se ne infischieranno del destino della società.

A loro basterà cambiar cavallo, o meglio tipo di investimento in tempo e se altri finiranno sotto acqua a loro non importa.

E' il mondo del futuro e Silvio Berlusconi invece pare lontano anni e anni da tutto questo: lui è legato a un Paese, l'Italia, alla politica di questo Paese e non si può spostare: perdere il potere potrebbe significare perdere privilegi televisivi, il mandare su satellite Rete 4, per esempio.

Chi verrà dopo il Cavaliere?

Chi sarà il nuovo signore delle nostre esistenze?

Temo una fase di confusione, poi l'arrivo di questi virus alieni: il Paese muterà o morirà, anzi i singoli italiani impareranno a campare nella nuova era o faranno una brutta fine.

Nicchie ecologiche per impiegati pubblici e privati, imprenditori privilegiati, stirpi di liberi professionisti da generazioni con lo studio assicurato spariranno: è solo questione di tempo.

Ci sarà una nuova pandemia ….. economica.

18 gen 2018

Nazionalismo di ritorno, globalizzazione e islamizzazione - ARDUINO ROSSI

Sono questi i grandi mali del Terzo Millennio, che si sostengono gli uni con gli altri, in un gioco di risposte sociali tragiche: il nazionalismo e  l’islamismo nascono da chiusure mentali, in reazione alla globalizzazione, che generano poi odi e guerre, pulizie etniche e terrorismo.
Questa situazione ha dei registi, la grande finanza internazionale, che ha dei servi, ovvero le ONG e le chiese vendute agli interessi economici, i giornalisti, i fanfaroni vari, che ci preparano un futuro nefasto, con orrori, pulizie etniche, mortalità  globali, stragi, cacciata di interi popoli dalle loro terre di origine.
E’ tutta schifezza già vista nel passato, ma oggi è molto più rapido e grande, immenso.

31 lug 2022

Perché i buonisti temono i cambiamenti sociali?

Siamo in un'epoca difficile, un tempo per campare bastava lavorare, se non studiavi, non parlo dei titoli di studio in sé stessi, ma nella capacità di capire e agire in questo mondo.
In alternativa potevi lavorare duramente, potevi fare il muratore, il cotimista, lo spacca pietre, come si diceva un tempo, anche lo spazzino.
Non era un disonore lavorare, come oggi per molti sfaticati, comunque tutto è più complicato e la competizione colpisce il mondo del lavoro, abbiamo sempre meno lavori non specializzati e invece una massa di imbecilli vuole continuare a importare manovalanza dal Sud del mondo, di gente culturalmente non integrabile.
Perché avviene questo?
Il fine è evidente, è eversivo, ovvero vogliono disturbare, anzi provocare disordini sociali, rivolte e confusione, violenza e criminalità per riuscire a mantenere le loro posizioni sociali.
Sì va dal grande imprenditore, che perde posizioni economiche nella logica della globalizzazione finanziaria, al raccomandato della municipalizzata che non sa utilizzare il computer e teme di perdere posizione sociale e prestigio, guadagnato, per esempio, come...... volontario nelle feste dell'Unità.
Un mondo di incapaci e di fancazzisti professionisti sente cedere la terra sotto i piedi e torna a cantare Bella Ciao, immaginando il ritorno dei fascisti, ma per loro il pericolo è un altro.
Sì chiama liberismo e globalizzazione, così si comportano come tanti ragazzini caratteriali e disturbano, spaccano e infastidiscono.
Importare disperati dall'Africa porta solo a due cose, il crollo dei salari per i lavori di bassa specializzazione e l'aumento dei manovali del crimine, con il crescere del numero dei senza futuro, degli emarginati violenti.
Chiunque può vedere  questo, ma loro insistono e fanno le smorfie da buoni, con gli occhi al cielo, mettendosi le mani al petto, come pessimi attori di qualche gruppo teatrale di dilettanti, improvvisati attori.
Gli accoglienti sono di due gruppi, i tesserati di partito e i bacia pile, con qualche presidente di cooperativa bianca al seguito.
Tutti questi buoni temono i cambiamenti e preferiscono il caos sociale, le violenze delle periferie, le rivolte sociali.
La loro idiozia è terribile, non capiscono che le loro risposte favoriscono proprio il sorgere di movimenti repressivi, di voglia di giustizia e di soffocamento violenta della criminalità, dei gruppi marginali delle periferie.
Quindi proprio la logica spietata del liberismo, con le nuove tecnologie, porteranno a soluzione disumane.
Una certamente sarà quella di mandare a lavorare i fancazzisti oppure moriranno di fame.
Che triste destino per tutti questi lecca culi professionisti.

9 set 2010

reazioni a catena, contro l'Islam, questa si chiama globalizzazione.

 Un gruppo evangelico Usa per ricordare l'11 settembre brucerà il Corano in pubblico

Pare che il gruppo "Dove World Outreach Center" (Centro colomba per aiutare il mondo) vuole compiere questo atto che pare criminale per i mussulmani di tutto il mondo.

Il gesto è chiaramente cretino, ma meno pericoloso di quanto si pensi: siamo in un mondo dove tutti possono dire e fare ciò che vogliono, nel bene e nel male, prima se ne accorgeranno gli amici islamici meglio sarà per loro: le reazioni violente per ogni libro pubblicato, anche blasfemo, ne genererà altri mille e così un Corano bruciato, se provocherà gesti violenti, favorirà milioni di altre reazioni a catena, contro l'Islam, questa si chiama globalizzazione.

A proposito i libri non si devono bruciare mai, è un vero crimine, quindi noi di Notizie News condanniamo senza indugi gli insulti e i danneggiamenti contro il Corano.

23 dic 2011

nell'era della globalizzazione Politica economia - i diritti dei lavoratori svaniti nel nulla


Ora i diritti svaniscono nel nulla della crisi e le lotte dei padri vanno nell'oblio, mentre pare normale che si vada in pensione anche a 70anni, così sarà per avere un reddito decente anche da anziani.
Oggi si riesce ad entrare nel mondo del lavoro solo tardi, anche dopo i trentanni.
Il lavoro è mal pagato e precario: solo chi si può permettere un'alta specializzazione o capacità professionali particolari è salvo da tali rischi.
Così ingegneri elettronici, tecnici informatici, saldatori particolari, falegnami, idraulici e panettieri, non temono il futuro.
Sì, è il mercato che stabilisce chi ha e avrà un lavoro, chi avrà un futuro e chi no, ma poi abbiamo le caste delle categorie …. protette, ovvero quelle che non accettano la logica del mercato.
Sono tante e non tutte rientrano nelle ipotesi di riforma, anzi alcune sono fuori pericolo perché hanno le radici nella storia nazionale, addirittura affondano la loro origine nel Medioevo: la provincia italiana è piena di famiglie potenti, borghesi di antica data, che svolgono da sempre, da padre in figlio, professioni liberali, ma non vogliono mettersi in discussione con la logica del liberismo trionfante oggi.
Eppure la globalizzazione avanza e colonizza tutto il Mondo: pure l'Italia, con le sue resistenze antiche, dovrà rinnovarsi.
Non credo che il liberismo sia una cura contro tutti i mali, non credo che sia l'unico sistema economico funzionante, specialmente nella sua versione di moda oggi, quella dura e pura, selvaggia e senza pietà nei confronti dei vinti.
Un fatto però è certo: la crisi economica italiana deriva in parte dal suo sistema clientelare, ingessato, tradizionale, anacronistico, con troppi privilegi e nicchie protette locali in particolare.
Se si vuole il libero mercato lo si deve imporre a tutti e non solo ai lavoratori dipendenti, altrimenti si affonda tutti assieme.


7 mar 2019

Globalizzazione e neoliberismo, il male può essere un bene - Arduino Rossi


Io considero il liberismo l’ideologia peggiore della storia umana, perché ha al suo interno situazioni disumane, senza pietà.
Però so anche che è una forza che può modificare il corso della storia e quindi spazzare via parassiti e le caste nobiliari, che oggi si trovano soprattutto nelle pubbliche amministrazioni, nelle municipalizzate e nella logica perversa di un sistema che impone la durezza del mercato per i sottomessi, ma non per loro, dove le nicchie protette nessuno, per ora, può toccare.

2 dic 2010

La globalizzazione sta portando strani virus alieni in Italia: sono i virus della cultura economica statunitense, che però sono già dilagati in Cina, in America Latina: è la cultura dei numeri, dei dati oggettivi.

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La globalizzazione sta portando strani virus alieni in Italia: sono i virus della cultura economica statunitense, che però sono già dilagati in Cina, in America Latina: è la cultura dei numeri, dei dati oggettivi.

Come metro di misura però si utilizzano i dollari, da noi si applicherà con l'Euro, ma non cambia molto: ciò che conta non sono i rapporti personali, familiari, le raccomandazioni, i favori.

Serve capacità e intelligenza, con un forte senso pratico: non importa che colore è il gatto, ma che sappia accappiare i topi.

Non importa se uno è cristiano, ebreo, islamico, uomo, donna o gay, esprima omofobia sfacciata, sia tollerante o razzista, ciò che conta è quello che sa fare e quanti soldi guadagna, facendo guadagnare.

Sta per finire il mondo dei favori e dei trafficanti viscidi, che si sanno mettere a servizio di questo o quel signorotto?

Forse questa cultura durerà ancora da noi, anni o generazioni: è duro a morire il servilismo meschino.

Però sta per finire l'era delle grandi famiglie di imprenditori: verranno sostituite da grandi imprese anonime, con sì dei ricchi azionisti, ma che se ne infischieranno del destino della società.

A loro basterà cambiar cavallo, o meglio tipo di investimento in tempo e se altri finiranno sotto acqua a loro non importa.

E' il mondo del futuro e Silvio Berlusconi invece pare lontano anni e anni da tutto questo: lui è legato a un Paese, l'Italia, alla politica di questo Paese e non si può spostare: perdere il potere potrebbe significare perdere privilegi televisivi, il mandare su satellite Rete 4, per esempio.

Chi verrà dopo il Cavaliere?

Chi sarà il nuovo signore delle nostre esistenze?

Temo una fase di confusione, poi l'arrivo di questi virus alieni: il Paese muterà o morirà, anzi i singoli italiani impareranno a campare nella nuova era o faranno una brutta fine.

Nicchie ecologiche per impiegati pubblici e privati, imprenditori privilegiati, stirpi di liberi professionisti da generazioni con lo studio assicurato spariranno: è solo questione di tempo.

Ci sarà una nuova pandemia ….. economica.

2 mar 2014

Islam, terrorismo e globalizzazione

Islam terroristico colpisce il mondo, dalla Cina, passando dalle Filippine, arriva nel Caucaso, passa dalla Russia, arriva in Europa, f massacri in Africa e in Medi oriente.
Perché avviene questo?
Perché una parte  dell'Islam non si sa adattare alla globalizzazione e desidera un mondo chiuso, dove loro possono vivere  con le loro leggi, o imporle al mondo intero, con la forza. 

17 ott 2018

Il vecchio che deve scomparire, la globalizzazione farà tanto bene all’Italia - ARDUINO ROSSI

Il Bel Paese sta per essere investito da una rivoluzione, non partita dal suo cuore…da sempre molto conservatore, ma dall'esterno.
La globalizzazione non perdona e farà tabula rasa di tantissime realtà secolari, talvolta anche millenarie: l'Italia dovrà cambiare per non affogare e il mutamento lo vedremo nella scoperta del merito, ovvero nel dover riconoscere chi vale e non chi è amico degli amici soliti.
Non solo dall'estero verranno riconosciuti i nostri elementi validi, ma anche da noi, in Patria, oppure sarà la fine sociale ed economica.

30 set 2015

Terrorismo islamico e globalizzazione, i rapporti sono stretti

Pochi si sono accorti della relazione strettissima tra terrorismo islamico, fondamentalismo, fanatismo intollerante dell’Islam di oggi e la globalizzazione.
Un tempo l’Islam sigillava le società che inglobava, che conquistava con le armi, con le sue leggi intransigenti e si poteva permettere di concedere delle… riserve per i non islamici, specialmente se ebrei e cristiani, detti la gente del libro, tollerati per alcune norme e regole comuni.
Oggi tutto questo non esiste più perché la diffusione, sempre più capillare di idee e notizie, attraverso i classici mass media, e in particolare di Internet, che sta raggiungendo, con Facebook, sino ai 6 miliardi di utenti.
Questa religione ha bisogno di verità assolute, ha scarsa capacità di dialogo e di contrasto, nel ragionamento, delle altrui opinioni, prima ancora delle religioni differenti.
Da qui il senso di attacco e di invasione da parte dell’Occidente corrotto, con la reazione militare, terroristica successiva: loro si sentono attaccati da costumi e da idee eretiche, da infedeli, che potrebbero distruggere il loro mondo chiuso, poco elastico.

5 lug 2010

029 Globalizzazione e denaro sporco

Non è così solo da oggi, non è colpa della globalizzazione: è la logica del guadagno senza scrupoli, della cecità davanti all'evidenza, dell'immoralità interiore profonda e nell'ipocrisia sfacciata, da attori dilettanti.Il denaro sporco e riciclato gronda di sangue di ragazzi morti per overdose, delle vittime del terrorismo, dei caduti in guerra.

5 set 2017

Nazionalismi e integralismi, la globalizzazione risveglia i mostri - ARDUINO ROSSI

Mentre il mondo parla, dialoga e anche si insulta sui  social, il localismo, le tradizioni si scontrano e in tanti corrono a difesa del proprio spazio vitale, psicologico, sociale, culturale: ecco a voi i nazionalismi alzare la testa, i fanatismi religiosi essere ancora virulenti ed aggressivi.
Pare che sia un assurdo, ma prima che la globalizzazione culturale, su Internet, ci riduca a degli sciocchi, su tutto il pianeta, il passato, positivo o negativo che sia, pretende di avere il suo spazio, o meglio vuole vendere cara la sua fine, con terrore ed orrore.

7 set 2017

Raccomandati a rischio, per colpa della globalizzazione - ARDUINO ROSSI

Loro hanno i posti…..tranquilli, non fanno fatica e non lottano e servono chi conta.
Oggi i lacchè, sempre fedeli ai loro signori e padroni, rischiano di terminare nel grande crogiolo della globalizzazione, ovvero dovranno subire il libero mercato, spietato e senza remore.
Loro sono i meno adatti a subire questo, ma ormai i tempi cambiano e il mercato di servi fedeli ne trova quanti ne voi, a buon prezzo, sotto costo.
Loro parlavano sempre di mercato, che doveva colpire gli altri, i sottoposti, ma ora le cose cambiano e il loro costo è alto, quindi sono fuori dal mercato: non ci sono più posti per rendite gratuite e parassiti.

27 gen 2017

oggi comunicato, In occasione di #Arte #Fiera #Bologna - ARDUINO ROSSI

COMUNICATO STAMPA


Di Felice Edizioni

Collana d’arte Fili d’erba presenta FRANCESCA #ALINOVI



Venerdì 27 gennaio, alle ore 17.30, in occasione della Mostra EXPO Bologna 2017 nella Galleria WIKIARTE (Via San Felice 18 - Bologna), verrà presentato il libro Francesca Alinovi. In suo ricordo a cura di  Antonella Colaninno e Gian Ruggero Manzoni.
Si tratta del quinto volume della collana d’arte Fili d’erba diretta dal critico Alessandra Angelucci per la Di Felice Edizioni. Una collana che pone particolare attenzione a quell’aspetto che spesso, nel mondo dell’arte, passa in secondo piano rispetto all’opera d’arte stessa: la voce di chi crea, di chi in un gesto ha immortalato un’esistenza.
Non fanno eccezione la vita e l’opera di Francesca Alinovi che verrà ricordata attraverso questo interessante libro, durante il discorso introduttivo del professor Manzoni nella mostra Expo 2017 che accoglie 55 artisti in una collettiva curata da Debora Petroni.

Scrive il direttore di collana Alessandra Angelucci: «Pubblicare un libro che omaggia la donna e critica d’arte Francesca Alinovi, figura di spicco del panorama internazionale degli anni Settanta/Ottanta, significa essere coraggiosi e allo stesso tempo consapevoli. Coraggiosi perché, quando si parla di Alinovi, si abbraccia l’oscillazione che suona tra l’attrazione e il mistero, tra la lucida e viva intelligenza di una professionista e le contraddizioni di un tempo – quello della Bologna e della New York di allora – in cui la giovane e famosa critica d’arte si muoveva con invidiabile acume e “una ingenuità – come afferma Mariuccia Casadio – che sapeva tradurre in qualche cosa di scientifico”. Bella, di una fascinazione rara che lo sguardo e il suo modo di muoversi traducevano in un particolare e sensuale “stare presso”: le persone, i luoghi, le gallerie, i quartieri di periferia, il Bronx di New York, il DAMS di Bologna, dove insegnava evidenziando le sue doti di abile talent scout. Coraggiosi, perché di lei si è già detto molto ma forse non abbastanza. Coraggiosi, vista anche la sua prematura scomparsa per mano violenta, una morte per la quale fu condannato il pittore Francesco Ciancabilla, originario di Pescara, con cui la Alinovi aveva una relazione. Era il 15 giugno del 1983 quando fu ritrovata senza vita nella sua abitazione bolognese in via del Riccio. Quarantasette coltellate posero fine al suo temperamento deciso e al coraggio “senza tempo”; quarantasette coltellate interruppero brutalmente una carriera che si definiva già brillante in ogni sua declinazione.»

Durante il periodo dell’ArteFiera sarà ulteriormente presente la collana Fili d’erba (Di Felice Edizioni) attraverso un doppio appuntamento: la presentazione del libro Nei cieli della mente dell’artista Alberto Di Fabio e curato da Mattia Andrès Lombardo, in occasione dell’ART CITY White Night 2017, in un dialogo con Alessandra Angelucci, Alessandra Caporale (vicepresidente AICIS) e Raffaele Quattrone (sociologo e curatore di arte contemporanea). Inoltre, sempre durante ArteFiera, sarà presente l’artista Simone Pellegrini (autore del libro Guadi. Conversazioni sull’arte, l’uomo e la parola) con la mostra “Dishonesti corpi” al Teatro S. Leonardo (via San Vitale).


FRANCESCA ALINOVI

“Neri come la pece, o caffè latte, ma sempre scuri, felini carichi di sex-appeal, i neri di New York, dopo aver conquistato il mondo della musica e della danza, stanno diventando le nuove stars dell’industria artistica. Prima i graffiti sui treni, poi i graffiti sulle strade: ora i loro graffiti su tela riverniciano a nuovo i muri delle gallerie d’arte e le copertine delle riviste più eleganti di New York.” Così scriveva Francesca Alinovi, e ancora: “Analfabeti, ma spontaneamente acculturati sul mitico linguaggio delle immagini e delle notizie teletrasmesse per impulsi elettronici, volevano semplicemente provare l’ebbrezza della fama e della gloria promessa dalla mitologia dei mass media. Così, non potendo far scorrere i loro messaggi lungo i tubi catodici, decisero di farli scorrere sui treni. […] Loro aspiravano alla bella vita consacrata dalla celebrità, invece diventarono celebri perché furono scambiati con i criminali della malavita.” Gli stralci riportati sono presenti in Black Graffiti, uno dei suoi ultimi articoli, pubblicato nel 1983 su Panorama Mese, solo pochi giorni prima della sua scomparsa.
Il 12 giugno 1983 Francesca Alinovi veniva uccisa con 47 coltellate nella sua abitazione di via del Riccio 7 a Bologna. L’efferato delitto oscurava, di colpo, la brillante carriera della giovane studiosa, destinata a diventare una stella nel panorama internazionale della critica d’arte.
Col suo “entusiasmo da pioniera dell’arte”, l’Alinovi è stata protagonista della storia delle avanguardie fine anni Settanta e anni Ottanta; è stata un ponte tra la New York dei graffiti e la New Wave europea, una vera promoter della cultura underground di quegli anni.
In molti avevano fatto una scommessa sul futuro radioso di questa avvenente e intelligente donna che si affacciava, con successo, sulla scena artistica mondiale. La sua ricerca, sempre libera e spinta alla liberalizzazione del pensiero oltre il pregiudizio e la discriminazione, in un mondo appena votatosi alla globalizzazione, cercava di rilevare quanto la creatività fosse un campo mentale aperto, luogo di incontro di etnie, tradizioni e status sociali, connesso e disconnesso, al tempo stesso, con la cultura bassa e con la comunicazione massmediatica.
La creatività, per lei, era uno spazio fluido che scorreva oltre ogni limite. È questa la sensazione che si avverte quando si sfogliano le pagine che conservano l’attività intellettuale della giovane critica d’arte emiliana, una dimensione liquida, sospesa, che corre sui fili del tempo, che coglie l’attimo di una rivelazione estetica inesauribile che si fa perennemente viva.
Nata a Parma nel 1948, Francesca Alinovi si era laureata in Lettere all’Università di Bologna, quale allieva di Francesco Arcangeli, con una tesi su Carlo Corsi, e si era quindi specializzata con Renato Barilli, approfondendo lo studio di Piero Manzoni, Lucio Fontana e dello Spazialismo, diventando poi ricercatrice di ruolo presso il DAMS di quella città e insegnante di Fenomenologia degli Stili. I suoi interessi erano indirizzati alla storia delle avanguardie e alle contaminazioni tra le varie arti: pittura, scultura, letteratura, musica, video e teatro. Era una sorta di talent scout nel panorama artistico contemporaneo italiano. Dal mondo accademico bolognese il suo essere era poi evaso, alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, per muoversi “nel sottobosco dei talenti” sia nostrani che newyorkesi, conferendo al Graffitismo, corrente nato da poco, lo statuto di arte, oltre a riconoscere il valore sociale di quella pratica alternativa, svincolata dai circuiti ufficiali e dalle logiche di mercato.
La nuova tendenza americana di usare bombolette spray era un mezzo di “disperata sopravvivenza culturale”, “un fenomeno selvaggio di vandalismo urbano” che dalle strade, dai muri, dai mezzi di trasporto e dai tunnel sotterranei era approdato al grande circuito dell’arte internazionale.
Nei Graffitisti (o Writer), infatti, c’era il desiderio di rivendicare una mancata affermazione nel sociale. Loro rappresentavano, e ancora rappresentano, una vera e propria “gara di emancipazione del nuovo orgoglio razziale”. I neri (si ricordi Jean-Michel Basquiat), fino ad allora quasi del tutto esclusi dal sistema espressivo visivo e plastico, lanciarono, in questo modo, il loro guanto di sfida al fine di emergere e distinguersi. La “crudele selezione nera” aveva incominciato la sua lotta per affermarsi anche a quel livello.
Il mondo dell’underground newyorkese era, per Francesca, una dimensione libera, nonché rappresentava per lei una sorta di regressione allo stato primitivo, originario, puro. Gli artisti non erano colti e provenivano da situazioni di emarginazione; erano inoltre tutti molto giovani (avevano un’età compresa tra i sedici e i venticinque anni). L’arte dei graffiti era un ulteriore gesto performativo collegato all’Hip Hop e alla Street Dance (B-boying - Breakdance) che usava la gestualità e il disegno per liberare un inconscio collettivo, per proiettarsi nel futuro, sfruttando un’espressività antica e di frontiera. Come si è detto, la mancata affermazione nel sociale dell’etnia afro-americana emerse in quella maniera di fare immagine e, dalle strade e dai muri, conquistò il pianeta come un’onda inarrestabile.
In Francesca Alinovi fu frequente anche l’interesse per il mondo del fumetto e, anticipando i tempi, dell’elettronico e del tecnologico avanzato, quest’ultimo (il futuro Web) già considerato da lei quale ponte di comunicazione e mezzo alternativo all’alfabetizzazione tradizionale, così da poter rivendicare un nuovo potere della conoscenza, seppure i possibili pericoli che in esso potevano annidarsi.
Per tornate al Graffitismo, esso offriva un’occasione di competizione, sia in chi lo praticava e in chi lo sosteneva, per imporsi attraverso il coraggio e la possibile celebrità conquistata, e si presentava quale occasione di confronto forte in una società che da sempre aveva “escluso dai propri canali di informazione e comunicazione intere comunità nazionali, pur numerose e piene di voglia di esprimersi”.
Gli unici artisti bianchi considerati degni di stima, in quel mondo ai margini e sub urbano, furono Kenny Scharf e Keith Haring, i soli ad avere conosciuto il “periferico esistenziale” e ad avere condiviso coi neri l’avventura dell’underground  nei tunnel delle metropolitane, dove le avanguardie si incontravano per poi prendere, emerse in superficie, ognuna la propria strada. Perché, allora, era nel cavalcare l’onda della New Wave che si superavano i confini dell’arte, si faceva ancora “pionerismo”, quindi si veniva inghiottiti nel vortice di quella contemporaneità compulsiva che sprigionava pura energia creativa in ogni sua formulazione.


I CURATORI
Antonella Colaninno è nata a Napoli nel 1969. Critica d’arte, ha curato mostre, cataloghi e scritto saggi sull’arte contemporanea. Da alcuni anni si dedica allo studio del pensiero critico di Francesca Alinovi, con un attento lavoro di ricerca. Di recente ha curato, presso il Museo Vittoria Colonna di Pescara, la mostra “STELLE COSTELLAZIONI GALASSIE SEMI MUTAZIONI” di Gian Ruggero Manzoni.


Gian Ruggero Manzoni è nato a San Lorenzo di Lugo (RA) nel 1957. Artista, poeta, narratore, critico d’arte ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Urbino e ha partecipato ai lavori della Biennale di Venezia nel 1984 e nel 1986. Al suo attivo ha molte esposizioni pittoriche tenutesi in Italia e all’estero. Oltre quaranta sono le pubblicazioni a cui ha dato vita. Ha diretto la rivista di arte e letteratura «Origini» e la rivista di arte, letteratura e idee «ALI».

FILI D’ERBA_COLLANA D’ARTE
La collana Fili d’erba della Di Felice Edizioni, diretta dal critico Alessandra Angelucci, si propone al lettore con l’intento di avvicinarlo alle molteplici forme dell’arte che - come fili di un’immensa tela - disegnano infinite possibilità, poiché infiniti sono i moti dell’animo che guidano la mano di chi dipinge, scolpisce o affida alla parola le verità più intime. Una collana che pone particolare attenzione a quell’aspetto che, spesso, nel mondo dell’arte, passa in secondo piano rispetto all’opera d’arte stessa: la voce di chi crea, di chi in un gesto ha immortalato un’esistenza. Come afferma E.H. Gombrich, «Non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti»: è a partire da questo assunto che la collana Fili d’erba vuole privilegiare la pubblicazione di testi che diano al lettore la profondità di un’analisi critica, ma allo stesso tempo una possibilità in più: la conoscenza dell’artista e del suo linguaggio espressivo, attraverso la parola quale strumento più diretto per cercare di avvicinarsi all’idea di un’arte che, nel tempo e nei luoghi, cambia pelle e dunque funzione. La voce dell’artista, dunque, per ripercorrere la nascita di un filo d’erba, la trama sottile di quel germe insito nell’atto creativo che alla natura ha sempre guardato come fonte primaria.
In un viaggio come quello nel mondo della creatività, più interessante della meta è il percorso: indagare i respiri, le pause, le assonanze e le dissonanze, le crepe che regalano luce e che hanno portato ciascun protagonista a intraprendere un viaggio, qualunque sia stato poi il punto d’arrivo.
Fili d’erba per cogliere le diverse stratificazioni dei codici della contemporaneità, attraverso un’estetica della parola che trova nel saggio, nella raccolta di testi autobiografici e nel libro-intervista le principali forme compositive.

e-mail Editore:  info@edizionidifelice.it


e-mail Direttore di Collana: alessandraangelucci@tiscali.it

5 mar 2010

23/2 Fastweb e Telecom Sparkle nella bufera (Arduino Rossi)

Sono due miliardi di euro riciclati e c'è stata un'evasione dell'Iva per 400 milioni di euro da parte di alcune società, tra cui Telecom e Fastweb: l'operazione Phunchards-Broker dei Carabinieri del Ros e del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza ha portato all'emissione di 56 misure cautelari, emesse dal Gip del Tribunale di Roma.

Tra i nomi ci sono anche Aldo Morgigni, abbiamo il fondatore di Fastweb, Silvio Scaglia e il senatore del Pdl, Nicola Di Girolamo.

E' una “bomba” finanziaria che ha coinvolto il mondo, bello e splendente della finanza: ovviamente anche in questo caso non rimane che attendere il processo e nessuno è colpevole sino alla sentenza finale, definitiva.

Un fatto però bisogna dirlo: il denaro sporco, quello che proviene dal narcotraffico, dallo sfruttamento della prostituzione, dal commercio clandestino delle armi, dei rifiuti tossici deve tornare in ciclo.

Prima o poi tutto diventa investimento, per poter essere utilizzato, altrimenti si rischia il sequestro: i soldi sporchi diventano aziende, fondi, beni immobili, oggetti artistici e di lusso.

Così una parte del mondo altolocato, snob, anche sprezzante verso gli ultimi e i poveri, si macchia di uno dei crimini peggiori: celare il denaro dei delinquenti.

Il riciclaggio dà sempre grandi guadagni: si vocifera che imperi economici sono nati grazie a questi traffici.

Queste attività non solo aiutano i mafiosi, ma consentono commerci che minano la nostra società: droga in cambio di armi per esempio.

Così i talebani, o altri signori della guerra in Asia e in America Latina, commerciano con oppio e con cocaina: si comprano le munizioni per le loro guerre e il terrorismo.

I soldi ottenuti poi tornano a finanziare tante attività legali, che alla fine sono, purtroppo, un grande stimolo per l'economia reale, che genera lavoro e benessere, ma pure morte e dolore con le sostanze stupefacenti.

Le armi servono anche per i guerriglieri e i terroristi, che arrivano a destinazione tramite associazioni mafiose internazionali.

Altre armi poi vengono fabbricate per interventi militari internazionali: il consumismo bellico è una situazione antica quanto la storia, che fa arricchire gli speculatori senza scrupoli.

Il cerchio si chiude e proprio il mondo dorato della finanza che dirige, permette, favorisce e se ne approfitta di tutto questo.

Non è così solo da oggi, non è colpa della globalizzazione: è la logica del guadagno senza scrupoli, della cecità davanti all'evidenza, dell'immoralità interiore profonda e nell'ipocrisia sfacciata, da attori dilettanti.

Il denaro sporco e riciclato gronda di sangue di ragazzi morti per overdose, delle vittime del terrorismo, dei caduti in guerra.

Non credo che sia possibile sconfiggere i signori ben vestiti, sempre eleganti e arroganti, con legami con la politica e spesso dietro alle quinte della vita pubblica come burattinai.

Sono uomini grigi che sono certi di poter comprare tutti e tutto: molte volte hanno ragione, ma......

Io resto sempre sull'argine del fiume e attendo che passi qualche cadavere: prima o poi toccherà pure a loro e un giudizio lo subiranno.

Sono un ingenuo credulone?

Lasciamo che il tempo faccia il suo corso, sino alla fine.