LA SIGNORA DI CLASSE
Fui io a mettere in moto il procedimento giudiziario che rovinò per alcuni mesi la vita alla Signora Teresa.
Io, Giovanni Carboni, sono un maresciallo dei carabinieri in congedo, distintosi in trent'anni di leale e brillante servizio nell'arma: ero un "segugio" nella caccia ai ladri di preziosi e posso vantare moltissimi casi risolti.
Prima del termine della carriera venni allontanato dalla mia sezione per finire in uno studiolo polveroso con tante cartacce.
Il mio Capitano mi dette il ben servito, dicendomi: -Caro Carboni! Oggi abbiamo bisogno di giovani con una preparazione scientifica. Sono passati i tempi dei ladri di biciclette!-
Tutta la mia esperienza non valeva niente nell'epoca dei cervelli elettronici, ma non demordevo e speravo di dimostrare il contrario.
L'occasione di una rivincita mi venne fornita dal caso di Teresa.
Ella era la segretaria del "Centro Municipale per il Riciclo Materiale d'Ufficio": un Ente per la vendita all'asta di vecchi mobili e attrezzature in disuso di istituti pubblici e privati.
Teresa era la segretaria tutto fare del direttore: oltre alle sue incombenze specifiche aveva acquistato un notevole potere nel coordinare le attività degli altri impiegati.
Era Rispettata e temuta, ma anche derisa per la sua fretta e per i pasticci che combinava.
Ostentava atteggiamenti da "Signora di classe": si vestiva con eleganza e spendeva parecchio in gioielli e in pellicce, ma i commenti dei colleghi erano sarcastici: -Hai visto? Teresa ha comperato una nuova pelliccia!-
-Sono soldi sprecati per lei! Sembra un sacco di patate! E' troppo grassa e goffa per assomigliare a una vera Signora!-
-E' solo un'arricchita senza il minimo buon gusto!-
Teresa trattava i colleghi con aria di sufficienza e si era creata molti nemici.
In verità era una donna brava e di cuore, quando non si ostacolavano i suoi interessi.
A trent'anni era rimasta vedova e si era ritrovata senza un impiego con due figli piccoli da crescere: dovette umiliarsi per ottenere il posto nell'Ente e una volta assunta si impegnò parecchio nel lavoro, per migliorare la sua posizione sino a ottenere quella di segretaria.
Da sola era riuscita, con molti sacrifici, a indirizzare i due figli verso ottime carriere professionali, poi a quarant'anni si era risposata con un uomo ricco e anziano, ma i soldi non le bastavano mai: oltre al buono stipendio elle teneva la contabilità di alcune ditte private, facendosi pagare profumatamente.
Era in buoni rapporti con me: mi raccontava le sue questioni famigliari e mi mostrava i suoi gioielli migliori, chiedendo il mio giudizio da esperto.
In genere i suoi preziosi erano grossolani: pietre vistose e scadenti, tagliate da mani inesperte, male incastonate.
Io la complimentavo per cortesia: -Il suo buon gusto non sbaglia mai! Sceglie sempre ottimi preziosi.-
-Come sa, Maresciallo, non tutti sono sensibili agli oggetti belli: signori si nasce, non si diventa!-
Il giorno che scoprii il fattaccio Teresa era felice: aveva acquistato dal suo gioielliere di fiducia un grosso brillante a un prezzo di favore.
Appena mi vide me lo porse: -Maresciallo! Guardi che gemma! Ho fatto il miglior affare della mia vita!-
Non solo la pietra era di notevoli dimensioni, ma era di una lucentezza perfetta.
Le chiesi: -Quanto le è costata?-
Teresa mi rispose a bassa voce: -A lei lo posso dire! Solamente sei milioni!-
Era una cifra almeno cinque volte inferiori al valore del gioiello e la Signora esagerava sempre i prezzi dei suoi
acquisti.
In caserma mi informai dei preziosi rubati e là ebbi conferma ai miei dubbi: era un brillante frutto di una rapina, avvenuta alcuni mesi prima con una sparatoria e un ferimento.
Con rammarico, perché temevo di creare delle noie a Teresa, feci la comunicazione al reparto competente, che immediatamente le spedì un avviso di comparizione.
Ella venne interrogata e la vicenda prese subito una brutta piega: -Signora! Lei sostiene di aver comperato dal suo gioielliere questo prezioso, ma egli nega!-
-Io mi fido solo della gioielleria Belletti e il proprietario è un amico di famiglia.-
-Eppure Belletti l'accusa di aver indossato gioielli non venduti da lui e di non chiara provenienza!-
La poveretta si confuse e cadde in contraddizione, ma in realtà l'unica colpa era stata nella mancata richiesta di ricevuta fiscale, perché Belletti le aveva detto: -Le posso fare questo prezzo, perché una nobildonna in decadenza sta svendendo le sue gioie, ma non vuole complicazioni fiscali.-
Teresa venne accusata di ricettazione e fu aperta un'indagine nei suoi confronti.
Un giornalista di un quotidiano locale, in cerca di scandali, la intervistò: -Signora! Come spiega la sua incriminazione?-
-Io non ho nulla da spiegare, sono solo vittima di un errore giudiziario!-
Il personaggio Teresa era ideale per una notizia sensazionale: -Signora del ceto medio, madre di famiglia, è implicata nella banda dei ricettatori di gioielli!-
Il marito di lei pagò i migliori avvocati della città per la difesa dell'ingenua moglie: fu una scelta sbagliata, perché insospettì gli inquirenti: -Se fosse innocente non avrebbe bisogno di simili legali! Si potrebbe fidare del normale corso della Giustizia!-
In un interrogatorio ella ebbe una crisi di nervi: offese il Giudice Istruttore e fu arrestata.
Venne rinchiusa in cella di isolamento e ottenne un trattamento decente: il marito dette molte mance ai secondini e ai funzionari del carcere per rendere accettabile la reclusione della moglie.
Purtroppo non fu possibile evitare qualche contatto con ladre e prostitute.
Ella era considerata una prigioniera privilegiata e quindi le altre compagne di pena la invidiavano: approfittavano dell'ora d'aria per offenderla e per deriderla.
Furono mesi tremendi, ella si rintristiva e perdeva la speranza.
Tutto pareva che fosse contro di lei: le accuse del gioielliere erano comprovate da coincidenze e non c'era motivo apparente perché egli dovesse mentire.
I miei colleghi non avevano più incertezze, ma io non credevo verosimile la faccenda: c'erano troppi punti oscuri e non riuscivo a immaginare Teresa nei panni della criminale.
Feci delle indagini personali, all'insaputa del comando e i sospetti divennero convinzioni: il gioielliere, uomo dall'apparente condotta irreprensibile, era in contatto con malviventi incalliti.
Decisi di scomodare i miei informatori, che mi fornirono chiari indizi contro Belletti.
Non avevo delle prove certe da portare in tribunale, ma la fortuna mi venne in aiuto: incontrai Michele "Mano di Fata", un vecchio ladro ormai fuori servizio, che mi avvicinò per parlare: -Maresciallo! Che ne dice di schiarirsi la voce!-
Era un modo di dire di Michele, quando voleva darmi una buona "traccia".
Gli risposi: -Che cosa vuoi in cambio?-
-Nulla! Solo che arresti quel fetente di Belletti!-
-Non sono disposto a favorire le vostre vendette!-
-Questa non è una spiata per eliminare un concorrente! Voglio che quella "brava persona" paghi le sue vigliaccherie! Non si mandano in carcere gli innocenti!-
Michele era della vecchia guardia: aveva un suo codice d'onore e non accettava che un innocente fosse condannato.
Feci catturare una banda di rapinatori e ottenni dal Giudice il mandato di perquisizione per la villa di Belletti: ritrovammo la refurtiva di numerose rapine.
Avevo le prove per scagionare Teresa, ma dovetti affrettarmi per giungere in tempo in tribunale: i Giudici si stavano ritirando in camera di consiglio per emettere la sentenza e un mio ritardo sarebbe costata mesi di carcere a Teresa.
Riuscii a salvarla.
La Signora era visibilmente provata da quella brutta esperienza: si era ammalata e il suo matrimonio era in crisi.
I figli l'avevano rinnegata e le amiche l'avevano abbandonata.
La stampa ora la stava presentando come la vittima di Giudici superficiali e proprio il giornalista, che aveva iniziato la campagna di stampa contro di lei, fu il più acceso nel reclamare il riscatto della Giustizia calpestata.
Al momento della liberazione qualche fotografo la stava attendendo all'uscita del carcere.
Il marito la stava accompagnando e tradiva disappunto per una discussione con la moglie: ella era divenuta intrattabile, volgare, stava per riemergere la sua natura popolaresca.
Quando vide i giornalisti mutò espressione, si riaccomodò l'abito frettolosamente e sorrise.
Disse: -Signori! Non concedo dichiarazioni!-
Invece parlò, affettando la noncuranza: pareva una diva d'altri tempi.
Teresa ebbe il suo momento di gloria, soddisfacendo la sua vanità per un'ora.
RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli statali. Gioie e dolori per il posto fisso”
Scritto da Arduino Rossi
Morpheo editore – Narrativa
presente in IBS e altre librerie online
http://www.morpheoedizioni.it/Gli_Statali.htm