Oggi sono tornato nella mia villa in Toscana, tra i campi fioriti e il profumo di muschio della mia proprietà.
Partii tre anni fa per il Piemonte: ero stato assunto nell'Amministrazione Provinciale di Novara e avevo approfittato
dell'occasione per allontanarmi dalla moglie e dalla suocera.
Quel lavoro non mi era necessario, perché non avevo difficoltà economiche: avevo una vasta tenuta agricola, con campi, con boschi e con pascoli.
Tutti questi possedimenti erano di un grande patrimonio ereditato e da sempre appartenuto alla mia famiglia.
Io ero il tipico ultimo erede scapestrato di un solido casato di piccola nobiltà campagnola: avrei sperperato tutto in pochi anni.
Ebbi fortuna, o la sfortuna sotto un altro punto di vista, di ammogliarmi con un'onesta donna dalla mentalità pratica ed efficiente.
Purtroppo con lei c'era sua madre, donna arcigna e arrivista, che mi disprezzava e non mi avrebbe mai concesso di sposare sua figlia, se non avessi posseduto ciò che rimaneva del feudo dei miei avi.
Dalla morte di mio padre la tenuta stava andando in malora, ma mia moglie e mia suocera ne presero in pugno la gestione: trasformarono una mastodontica azienda agricola, gravata da imposte e da ipoteche, in una grande fattoria modello.
Tutto andava per il meglio, nacquero due splendide creature, Serena e Michelina, alle quali mi affezionai subito.
Esistevano le condizioni per una imperturbabile serenità.
Avrei dovuto essere grato a mia moglie per le regole che ella aveva imposto alla mia esistenza, però si era intestardita con il proposito di lasciare alle bambine una rendita sicura e sostanziosa: tutti i guadagni erano investiti in operazioni finanziarie a lungo termine.
Così ero passato dalla condizione di ricco rampollo spendaccione e libertino a schiavo di due donne moraliste e avare.
Le mie scappatelle extraconiugali divennero sempre più difficili e fui sul punto di divorziare, per colpa dei cattivi consigli di mia suocera, velenosa come un serpente.
Non ebbi altre alternative e dovetti emigrare, a trentasei anni , per riavere la mia libertà e prendere un po' di tempo per riportare la pace in famiglia.
Lo stipendio era un po' misero per me, che ero abituato ad altre condizioni di vita: le due taccagne mi avevano tagliato i viveri.
Avevo tutta la mia libertà: uscivo la sera con le ragazzine e con le signore sposate, senza preoccuparmi dei mariti e dei fidanzati.
I miei modi garbati avevano un buon effetto sulle donne e riuscivo ad avvicinarle facilmente: il primo approccio era sempre facile, ma quando arrivavo al dunque ero quasi sempre respinto.
Sono convinto che qualsiasi donna si possa sedurre: è solamente una questione di pazienza e di metodo, tutte hanno il loro lato debole.
Io non ho mai sprecato il tempo con le testarde e con le romantiche incurabili: l'importante è concludere al più presto, perché il piacere che si prova non cambia da donna a donna.
In ufficio all'inizio venni stimato per la prontezza nello sbrigare le pratiche e per le mie cordiali conversazioni.
Quella situazioni ottimali durò poche settimane: io non amo le ipocrisie ed esprimo apertamente le mie intenzioni e le mie opinioni.
I colleghi divennero ostili e le colleghe mi isolarono con disgusto: ero lo sporcaccione che attentava alla loro lealtà di mogli fedeli.
-Roberto Cardelli! E' una persona infida!-
-Diciamo che vuole arrivare ai suoi "scopi" e ci considera solo per il sesso!-
-Allunga le mani appena avvicina qualcuna; io provo ribrezzo quando mi sfiora!-
Il parere nei miei confronti era certamente duro, ma questo non significava che esse fossero realmente così avverse a me: c'era chi accettava le mie proposte, all'insaputa di tutti e non mi mancò mai "il pane per sfamarmi".
Ero quasi felice e il mio esilio era divenuto una vacanza piacevole.
Fu con Eleonora che la situazione divenne difficile.
Ella fu fin troppo docile nell'assecondare le mie richieste: non mi accorsi che ella stava invadendo la mia esistenza privata.
Si stabilì in casa mia e impose orari, abitudini: giunse al punto di leggere le mie lettere personali e conobbe i segreti più scabrosi delle mie relazioni.
Divenne gelosa e possessiva, mi faceva scenate quando incontravo una donna: -Tu sei il mio uomo e non voglio che tu incontri le altre!-
Non so spiegarmi come ella riuscì a mettermi in trappola, forse fu quell'aria da ingenua che mi ingannò.
Presto la gelosia la portò a minacciare vendette e in un caso le mise in pratica: ella avvisò un burbero marito del mio rapporto con la moglie.
Questo bestione mi attese fuori dal lavoro e mi ingiuriò: -Lascia stare mia moglie!-
-Io, la tua consorte, non l'ho mai toccata; ho altro nella testa!-
Questo bruto mi sbatté sotto il naso una mia lettera compromettente, datagli da Eleonora: -Questa cos'è?-
Non potevo più negare e con atteggiamento distaccato risposi: -E' tutta colpa tua! Tu tratti Gianna rozzamente ed ella si è trovata chi l'ha consolata!-
Egli mi colpì con un pugno tanto potente quanto improvviso: mi trovai a terra senza rendermene conto.
Prima di andarsene quell'animale mi disse: -Ti sia di lezione; questo è solo un avvertimento!-
Eleonora mi curò con amore: era affettuosissima quando ero totalmente dipendente da lei.
Io non la sopportavo, sin da ragazzino avevo in odio tutte le sdolcinature: ho una natura sensuale e pratica, i sentimentalismi mi fanno bollire il sangue.
-Eleonora! Ti prego, lasciami libero!-
Ella sorrise un po' ironica e un po' materna: -Che cosa faresti senza di me? Ti cacceresti negli impicci!-
E' il mio destino quello di avere sempre una donna che mi ponga sotto la sua protezione ossessiva: durante tutta la giovinezza
mia madre mi tiranneggiò con il suo amore esagerato, poi fu il tempo di mia moglie e ora è il turno di Eleonora.
Le donne con cui ho avuto delle relazioni mi hanno considerato un ragazzo scapestrato da educare e da proteggere.
Sicuramente è l'elemento più utile del mio fascino da seduttore, però è anche la mia maledizione: tutti i miei problemi sono nati da questa mia immagine adolescenziale.
Ero stanco di quella cattività: scrissi a mia moglie, chiedendo la rappacificazione e il permesso di tornare in famiglia.
Ella mi rispose: -Io ti potrei perdonare mille volte e tu commetteresti gli stessi errori subito dopo! In ogni caso non posso ostacolare il tuo ritorno, perché le tue figlie hanno bisogno di te!-
In ufficio ero sempre più solo: i miei colleghi mi disprezzavano, nonostante i miei tentativi di socializzare.
Il mio rendimento sul lavoro era scarso; mi avevano cambiato incombenze, ma con nessun risultato: ero troppo interessato a corteggiare le colleghe e mi impegnavo il minimo indispensabile solo per non avere seri impicci con il Direttore.
Un brutto giorno il Capoufficio venne sostituito e per mia sfortuna il nuovo responsabile era un moralista bigotto, che mi ebbe subito in antipatia: mi rese la vita impossibile e mi fece delle sfuriate in presenza degli impiegati.
La mia vacanza si stava concludendo in malo modo e mi conveniva rientrare a casa.
L'unico ostacolo era Eleonora, che giurò di suicidarsi se me ne fossi andato.
Io la pregai di ragionare: -Ho una famiglia e dei doveri! Vuoi forse che abbandoni le mie bambine?-
Fui un po' patetico, ma la parte del padre ravveduto non ebbe effetto.
Ella diventava sempre più possessiva e più isterica: ogni scusa era valida per scatenare violente crisi di gelosia e per minacciarmi insensatamente.
La mia vita era diventata insopportabile e preparai la fuga: assecondai Eleonora e le sue pretese, diventando sin troppo mansueto.
Ella sospettò qualcosa e mi controllò con discrezione.
Mi organizzai per il viaggio, ammucchiando i miei vestiti con frenesia dentro le valigie, che nascosi sotto il letto.
Telefonai in ufficio per annunciare le mie dimissioni: avrei spedito da casa la lettera regolare con i miei dati per il regolare licenziamento.
Mi presi le mie voluminose borse e le mie valigie, uscii di nascosto dall'appartamento di Eleonora: ero più carico di un asino e come un asino non avevo capito che ella si era accorta delle mie intenzioni.
Ero già in strada quando mi chiamò dalla finestra: -Roberto! Vai pure, torna da tua moglie, ma stai attento di non incontrare i mariti delle tue amanti!-
Rise nervosamente, facendomi allibire.
Compresi il suo tranello: ella aveva rinunciato a trattenermi, ma si era vendicata, avvisando i mariti traditi.
Sicuramente i cornuti più facinorosi mi avrebbero cercato per punirmi: dovevo evitarli e scelsi una via diversa per la stazione ferroviaria, dirigendomi in centro città.
Fu un'altra imprudenza: essi mi attendevano alla stazione delle automobili di piazza.
Riconobbi appena in tempo l'energumeno che mi aveva picchiato alcuni giorni prima, accompagnato da due burberi suoi compagni di "sventura".
Non volli discussioni e scappai: essi mi inseguirono e mi rifugiai in un unto retrobottega.
Ero quasi salvo quando una floscia serva grossa e prorompente mi vide e mi confuse per un ladro, o forse per un attentatore alla sua virtù.
Iniziò a strillare: la supplicai di tacere, ma quella insensata si scatenò con più vigore: -Aiuto! C'è un bruto che mi sta aggredendo!-
La presi per le spalle e la scossi bruscamente: -Fa silenzio! Vecchia gallina!-
La grassa "fanciulla" mi svenne tra le braccia: se non fossi fuggito subito mi sarei trovato in qualche brutto fastidio.
Scavalcai un muro con i miei ingombranti bagagli e caddi goffamente in un roseto spinoso.
Attraversai cortili e vicoli, ma i miei inseguitori conoscevano meglio di me quel quartiere e mi individuavano sempre.
Finalmente una signora compassionevole mi nascose dietro il banco del suo negozio sino a quando i tre infuriati non si allontanarono.
Presi un'automobile di piazza e arrivai alla stazione, appena in tempo per il treno.
Mi ritenevo in salvo quando vidi che stavano salendo pure loro per cercarmi su tutte le vetture.
Il treno stava partendo e sarei rimasto senza scampo, una volta in viaggio: mi mostrai per farmi riconoscere e scesi con loro ai calcagni.
Guadagnai un po' di vantaggio e risalii rapido sul treno in movimento.
I tre ingenui si accorsero troppo tardi dell'inganno: le porte erano chiuse ed essi tentarono di arrampicarsi sui finestrini, ma la velocità era già pericolosa.
Si arrestarono ansanti, strinsero minacciosi i pugni e urlarono: -Ci rivedremo, mascalzone! Sappiamo dove abiti e verremo a trovarti a casa tua, in Toscana!-
RACCONTO TRATTO DAL LIBRO "Gli statali. Gioie e dolori per il posto fisso”
Scritto da Arduino Rossi
Morpheo editore – Narrativa
presente in IBS e altre librerie online
http://www.morpheoedizioni.it/Gli_Statali.htm