Barack Obama parla della fine delle operazioni militari in Iraq: "C'è ancora molto lavoro da fare. Ma il fatto è che, per lo straordinario servizio che tutti voi avete reso e che tanta gente qui ha reso, l'Iraq ha la possibilità di dotarsi di un futuro migliore, e l'America è più sicura".
Quindi la guerra continua, ma come verrà combattuta?
Il presidente statunitense spiega: "Il compito non è ancora completo ......... abbiamo lavorato troppo duramente per trascurare l'impegno continuo che dovrà essere assunto dai nostri civili e dalle forze di transizione".
Cosa faranno i nostri cari alleati laggiù in Iraq?
Appoggeranno le truppe e le forze filo occidentali, ma tutto è da capire.
Perché l'esercito Usa ha invaso l'Iraq?
Perché si è distrutto questo regime dittatoriale, ma laico ed unico nel mondo islamico?
Di armi di distruzione di massa non se ne sono trovate, neppure di rapporti tra il regime di Saddam Hussein e al-Qaeda non si sa nulla: non se ne parla più eppure il conflitto iniziò proprio per combattere il terrorismo e rendere il mondo più sicuro.
Oggi gli statunitensi, con l'appoggio pure dei nostri soldati, proseguono nello scontro in Afghanistan, con molte perdite, sempre in cerca di Ben Laden, che più nessuno sa dove sia finito.
Forse è morto, forse è malridotto, dopo anni chiuso in qualche luogo malsano.
Il terrorismo non pare coordinato da una direzione centrale, ma ha parecchie armi e moltissimi mezzi economici, la cui origine non può essere solo frutto delle questue nelle moschee radicali del mondo, spesso poverissime.
Di disperati pronti al martirio se ne troveranno sempre, ma qui la questione è complessa e per nulla chiara: alcune inchieste giornalistiche hanno mostrato la scarsa fedeltà di forze pachistane e degli alleati afgani.
Il doppio gioco fa parte della cultura di quel mondo?
Forse essere degli infedeli da quelle parti è pericoloso, ma è pure vero che le guerre si possono combattere su commissione, armando gli "amici", che vanno a caccia dei "cattivi".
Questa scelta, di conflitti combattuti da altri con armi importate e con interessi lontani dai combattenti, fa parte della storia mondiale degli ultimi secoli: con questo stratagemma i colonialisti presero immensi territori e sfruttarono le popolazioni locali per imporre il loro volere.
Dominare certe nazioni sarebbe costato troppo in vite umane e in capitali senza l'appoggio di mercenari tra la popolazione locale.
Il quadro così è chiaro: i contendenti cercano i combattenti da foraggiare e li mandano a fare il lavoro che dovrebbero svolgere le loro truppe.
Il costo di vite umane è sempre alto, ma l'opinione pubblica, statunitense in questo caso, non vedrà il ritorno a casa dei loro soldati dentro bare avvolte in bandiere a stelle e strisce.
A morire saranno altri, che appartengono a popoli fatalisti, che considerano la morte, anche di giovani soldati, come normale.
Le vite degli occidentali valgono di più?
Pare proprio di sì, per un certa cultura dominante, che io definisco razzista: quando muoiono 10 dei "nostri" è una tragedia, mentre quando cadono mille o diecimila di loro non "importa", paiono diecimila formiche per certa stampa.
Quando i soldati occidentali si ritirano la guerra è terminata?
Assolutamente no, i combattimenti proseguiranno e cadranno in tanti per equilibri strategici che paiono misteriosi, ma hanno sempre uno scopo economico, come il controllo delle vie commerciali.
La pace si avrà quando si riusciranno a risolvere i conflitti, che sono per il predominio delle fonti petrolifere, dell'acqua, dei commerci e dei mercati.