Ora si vuole limitare la libertà di transito a chi non può mantenersi, ma ci si scorda che la povertà non è una colpa, ma e una malattia da curare: sì, è una patologia spesso legata a modi di vivere antiquati, a una scarsa programmazione dell'esistenza, a una scarsa specializzazione lavorativa, a una bassa cultura.
Il lavoro per l'integrazione deve essere affiancato all'educazione dei principi democratici, alla libertà individuale, al rispetto e alla libertà delle donne: senza tutto questo si torna al passato.
In apparenza scacciare chi vive ai margini della società, che non hanno un lavoro, un qualsiasi reddito è giusto: non possiamo certamente ospitare tutti i miseri della terra, che sono almeno 3, o 4 miliardi di persone.
Certamente la politica che ha permesso a molti di costoro di entrare in Europa aveva dei fini non sempre positivi e onesti, benché qualcuno con grande ipocrisia vede nell'ospitalità, verso tutti questi disperati, un obbligo morale, un atto caritatevole: in realtà loro erano e sono qui per semplici motivi economici, di mercato del lavoro.
Da noi alcune forze economiche e imprenditoriali hanno preso al volo l'occasione di pagare di meno la manodopera, anche se scarsamente preparata, anche se sempre con difficoltà di comprensione linguistica.
I nuovi venuti accettano qualsiasi paga, a ribasso, qualsiasi condizione e quasi mai sono sindacalizzati: quando poi rischiano di chiedere i loro diritti perdono il posto di lavoro, spesso, subendo quella strana legge che nel mondo del lavoro esiste, ma nessuno l'ha scritta: se crei problemi da un datore di lavoro non troverai altro lavoro dagli altri imprenditori, se non quello più brutto e malsano.