8 set 2012

fantasmi .... L’ULTIMA CORSA ... racconto di Arduino Rossi


L’ULTIMA CORSA

Eravamo usciti dalla birreria cantando, felici e un po’ brilli: la nostra Polo Volkswagen era lì, con il motore ancora bollente e la notte era ancora molto lunga.
Faceva ancora caldo, anche se l’estate era al termine, ma noi non volevamo smettere di divertirci: ci piaceva correre con la nostra forte, potente Volkswagen per i viottoli di campagna, sui colli, tra stradine a malapena asfaltate.
Bevevamo nelle bettole e nelle birrerie, non proprio sino ad ubriacarci, ma sino a  essere molto allegri.
Era bello scherzare, farci dispetti come monelli, suonare i campanelli e scappare  lontano.
I vigili urbani ci fermavano qualche volta, ma eravamo sempre nei limiti della legge quando ci controllavano: non prendemmo mai una multa.
Andrea era il più matto tra noi: -Via! Li abbiamo evitati anche in questa occasione!-
Michele era l’anima saggia e prudente: -Non dobbiamo esagerare!-
Tutti insieme rispondevamo: -Basta! Non romperci con le tue storie!-
Michele ricominciava: -Dovremmo evitare certi eccessi.-
Andrea rideva: -Resta a casa con la mamma, fesso! Se vuoi uscire con noi devi accettare le nostre regole.-
La legge che conoscevamo era quella dei vent’anni: giocare, fare i pazzi, non fermarci mai, convinti che a noi tutto sarebbe andato per il meglio.
Sembrava che la fortuna ci avesse messo sotto la sua protezione: eravamo sempre più audaci e mettevamo a rischio sempre più le nostre vite.
Le ruote della Polo cigolavano sull’asfalto e stridevano nelle curve delle polverose viuzze di terra battuta, tra il silenzio rotto dall'abbaiare rabbioso dei cani e le imprecazioni di qualche contadino svegliato improvvisamente, che accorreva per vedere chi osasse rompere la pace della sua fattoria, ma non riusciva mai a leggere la targa: eravamo già lontani.
Più volte i baristi ci avevano scacciato in malo modo, per poter chiudere le serrande, più volte eravamo andati a pugni con gli ubriachi.
Avevamo anche il vizio di infastidire le puttane che facevano il loro mestiere ai bordi delle strade principali.
Ci maledivano e ci lanciavano mille imprecazioni: -Andate a rompere… alle vostre mogli, alle vostre sorelle!-
Qualche pappone ci inseguiva con la sua macchina, ma gli facevamo sempre mangiare la polvere.
Uno finì in una scarpata: ci arrestammo per soccorrerlo. Non si era fatto nulla, ma continuò ad urlare: -Schifosi! Piccoli idioti!…-
Lo lasciammo con la sua macchina cappottata a sbraitare, mentre noi ci scompisciavamo dalle risate.
Eravamo proprio una banda di buontemponi, buoni a nulla, studenti universitari fuori corso, sempre con una laurea a portata di mano, sempre rinviata per allungare la giovinezza chiassosa.
Di ragazze ne avevamo tante, forse troppe, di progetti pure, ma non ci decidevamo mai a metterli in pratica: uno voleva fare l’avvocato, l’altro il medico, l’altro l’architetto, l’ultimo l’ingegnere meccanico.
I nostri genitori avevano investito denaro e speranze sul nostro avvenire, ma non sapevano che a noi il presente ci interessava di più: forse quella sarebbe stata l’ultima estate di bagordi e non avremmo rinunciato a nulla, a nessuna esperienza .
Ci attendevano lunghi e monotoni anni come seri e tristi liberi professionisti: non sarebbe stato più possibile fare le sciocchezze dei vent’anni, le nostre reputazioni sarebbero state rovinate.
Decidemmo di fare una gara a cronometro: percorrere un circuito da noi prestabilito, il più veloce avrebbe vinto una serata con la ragazza più bella e ambita da noi tutti, Chiara.
Andrea si dimostrò un buon pilota, ma sbagliò la curva principale e uscì in un prato: perse troppo tempo e fu squalificato.
Urlò furioso: -Al Inferno quella curva! Mi perderò per sempre i baci di Chiara!-
Tutti fummo prudenti e fu proprio Michele, il saggio e occhialuto, il più tranquillo, che si dimostrò il più spericolato: ottenne il miglior tempo, percorrendo a una media di 80 Km l’ora le vie buie e deserte , tra grilli e lucciole.
Non sapemmo come fece, ma ci accorgemmo che questo miracolo fu frutto di una cotta terrificante che il buon Michele si era preso per Chiara: -Non avrei permesso a nessuno di uscire con Lei! Sarà solo mia!-
Andrea lo canzonò: -Sei il solito melodrammatico, amichetto mio.-
Michele non stette allo scherzo e forse perché aveva bevuto un po’ troppo, gli saltò addosso e lo coprì di ingiurie, calci e pugni.
Facemmo molta fatica a dividerli, anche perché Andrea, dopo il primo momento di sorpresa, si stava veramente infuriando, diventando molto pericoloso.
Se la cavarono con qualche occhio pesto e le mandibole doloranti, ma senza gravi conseguenze.
Per tutto il resto della sera non si parlarono e fummo costretti a tenerli distanti.
Decisi di guidare io, sentendomi il più assennato, pur avendo ingollato sei birre e un paio di grappini.
Tutto andava per il meglio in quel momento: i due litiganti si erano addormentati, io non badavo alla stanchezza e allo stordimento dei fumi dell’alcool.
Decisi di andare verso il lago e percorrere a tutta velocità la strada panoramica.
C’erano poche luci che si riflettevano sul nero dell’acqua.
Era bello proseguire e sentire il forte ruggito dei pistoni, le gomme fischiare nelle curve, il fresco del vento dai finestrini.
Mi parve un bel gioco, certo che quello sarebbe stato l’ultimo della mia giovinezza, quanto meno della nostra banda di giovani scapestrati, tutti uniti.
Pensavo alla discussione della tesi in Diritto, che avrei sostenuto il giorno dopo: avrei chiuso definitivamente con le notti brave e con le estati scapestrate.
Non avevo detto nulla ai miei amici: l’avei fatto quando ci saremmo lasciati, all’alba come al solito.
Non so cosa mi capitò, ma non vidi proprio l’ultima deviazione a sinistra: andai diritto e per un istante mi convinsi che la mia vita, le nostre vite sarebbero terminate in quella notte, nel lago.
Percepii il vuoto sotto l’auto, il girare delle ruote nell’aria e il tonfo in acqua.
Chiusi gli occhi in attesa dell’ultimo istante, ma un potente accidente di Andrea mi riportò nel mondo dei viventi: -Imbecille! Siamo terminati in una secca! Per tua fortuna qui ci sono solo pochi centimetri d’acqua. Chi mi paga adesso la macchina?-
La nostra fortuna, o un Santo in Paradiso ci aveva protetti ancora una volta: eravamo tutti salvi, anche se bagnati fragili e con qualche livido.
La resistente Volkswagen era un po’ malconcia, ma si sarebbe ripresa anche lei, da un buon carrozziere.
Fu l’ultima mia notte da studente goliardico: il giorno dopo ero già un Avvocato in prova, serio e ligio al dovere, senza più grilli nella testa.

Arduino Rossi