IL CAVALLO
La mia casa era isolata, al limite del bosco ombroso, dove la gente difficilmente si inoltrava dopo il calar del sole: si diceva che lì ci fossero gli spettri.
Io non avevo mai avuto l'onore di incontrarli: mi sarebbe piaciuto avere a che fare con uno di essi, ma sapevo che non esistevano.
I miei superstiziosi compaesani avevano tanta fantasia: di anime in pena tra le fronde non ne avevo mai viste.
Mi avevano raccontato che c'era il senza testa, la donna con il bambino, il vecchio cieco e tante altre creature della notte, scaturite da vicende tragiche del passato.
Inoltre cercavano di intimorirmi con la paura del sovrannaturale, ma era tutto fiato sprecato con me: non credevo né al Cielo né all'inferno.
La vista del cavallo tra i cespugli mi sorprese: chi poteva lasciar libero un animale simile, dal manto nero, alto, potente, quasi spaventoso tanto era irruente.
Nitriva irascibile e dalle narici usciva il fumo, faceva molto freddo.
Era molto bello e mi venne una gran voglia di impossessarmi di quella bestia:sapevo bene che non poteva essere mia, non c'erano cavalli selvaggi nella regione.
Il primo incontro con "Nero del Diavolo", l'avevo battezzato in questo modo in onore di un racconto dei miei sciocchi vicini: sostenevano che il peggiore degli spettri fosse un cavallo dell'inferno.
Nero per me era in carne ed ossa, possente, selvaggio e libero, come ero io: era solitario, appariva solo dopo il tramonto, si avvicinava a casa mia, ma non si faceva sfiorare né da me né dal mio vecchio servitore.
Arturo era stato l'unico tra i miei servi che mi era rimasto fedele, l'unico che era resistito alle miei maniere brusche, alle mie sfuriate e anche ai miei gesti violenti e improvvisi, quasi senza motivo.
Gli ordinai di catturare il cavallo, ma Arturo era troppo vecchio per riuscire nell'impresa, era troppo codardo, troppo impacciato.
Non mi rimase che fare tutto da solo: Nero si lasciava avvicinare, scalpitava e fremeva, ma non fuggiva più.
Lo fissavo negli occhi brillanti e luminosi, pareva corrispondere al mio sguardo.
Non si lasciava toccare, provai a sfiorarlo, ma tutto fu inutile: si alzava sulle zampe posteriori e pareva minacciarli con gli zoccoli che agitava in aria.
Cercai timidamente di saperne di più: non risultavano cavalli fuggiti dagli allevamenti vicini.
Ipotizzai che quello fosse un animale liberatosi da maltrattamenti degli zingari, che erano abituati a impossessarsi di bestie stupende, ma non sapevano poi tenerle.
Invece in paese erano certi che quell'animale fosse uno spirito infernale.
Mi disse un vecchio contadino: -E' il cavallo del Diavolo, ne sono certo!-
Io ero invece troppo sicuro di me: -Che importanza ha? Basterà cavalcarlo un po' per domarlo:
Satanaccio o bestia selvaggia che sia.-
La sera mi attendeva nella penombra, così mi pareva.
Non fuggiva più ed era sempre più mansueto, lo sfiorai: aveva il manto liscio,morbido, ma sotto si percepivano i muscoli tesi ed elastici.
Era un capolavoro di forza e di elasticità, una creatura magnifica.
Lo avvicinai poco alla volta, ma temevo di salirgli in groppa, sapevo anche cavalcare senza sella: avevo imparato quest'arte quando ero un ragazzo e vivevo come un piccolo selvaggio.
Allora non ambivo a diventare ricco, potente, a tutti i costi, senza pietà né morale: ne avevo fatta di strada e non dovevo dire grazie a nessuno.
Nel mondo degli affari ero diventato un predatore: agivo sempre al limite della legalità.
Avevo portato sul lastrico molti concorrenti, ma anche qualche socio, sprovveduto, a cui avevo sottratto tutto.
Per colpa mia ci furono due o tre suicidi: le vedove e i figli vennero sotto le mie finestre ad urlare il loro odio.
Gli scacciai chiamando la polizia: ci furono scene patetiche, con pianti, urla, svenimenti.
Non mi lasciai commuovere, né il rimorso ebbe il sopravvento: erano sentimenti per deboli, per donnicciole.
Compravo e vendevo terreni, case, le merci più disparate.
Avevo un fiuto per le situazioni di crisi: i disperati diventavano le mie vittime.
Ebbi pure qualche guaio con la giustizia per dei prestiti ad usura, ma riuscii a cavarmela: ero per tutti il vecchio usuraio in pensione: il rancore contro di me si era attutito in semplice
antipatia, che si sfogava in battute scherzose ed amare contro di me, al mio passaggio.
Non me ne importava di accumulare altro denaro, ne avevo abbastanza e forse troppo: non avevo moglie e figli a cui lasciare le mie ricchezze, non avevo parenti a cui tenevo.
C'era solo un nipote, sempre in cerca di denaro, sempre nulla facente, sciocco e farfallone con le donne.
Non ero un moralista, ma non sopportavo la sua aria da futuro ricco, certo dell'eredità.
Sapeva bene che avevo in odio preti e beneficenza, non avrei mai lasciato i miei denari a canili o vecchie gattare.
Non sapevo sperperare, tutto sarebbe rimasto a lui, a quello sfaccendato che si godeva per di più la vita, cosa che non seppi mai fare.
Era il cavallo Nero invece a entusiasmarmi come nella mia prima giovinezza: finalmente mi parve docile, gli accarezzai il duro collo nerboruto, mi mossi lentamente e provai a saltagli in groppa.
La mia agilità era ancora buona e parve che l'animale neppure si accorgesse di me.
Iniziò a correre conducendomi verso prati e campi, poi si infilò nel bosco fosco.
Ebbi paura, ma mi piacque: i rami mi colpivano il viso, mi graffiavano.
Le tenebre erano fitte, la notte era senza lune né stelle.
L'esperienza era fantastica, ma mi stavo stancando, volevo tornare a casa: cercai di stringergli il collo, di tirare la criniera, ma non si arrestava, non si faceva comandare.
Mi stava portando in luoghi a me sconosciuti: oltre il crine del monte, tra alberi secolari e boscaglia fitta.
Il buio fu disturbato da bagliori rossi, sempre più luminosi e violenti, il paesaggio attorno mutava e diventava roccioso, senza vegetazione: pareva un deserto sterile e aspro.
Un fragore di risate mi accolsero in un anfiteatro: una folla di miserabili mi attendeva con bocche sdentate e quasi fameliche.
Ci fu un momento di gioia, di entusiasma maligno, feroce.
Nero si imbizzarrì e mi scrollò dal suo dorso: svanì tra quella folla, che si avvicinò impetuosa e minacciosa.
Urlai. -Che volete? Chi siete?-
Tentai la disperata fuga, ma riconobbi i più vicini: erano le miei vittime, i miei compari di tanti affari, i miei peggiori amici.
Mi lasciai cadere e desistetti alla lotta contro il mio destino finale.
-Ieri fu rinvenuto il corpo del vecchio Anselmo, noto pregiudicato per usura, vicino a casa sua.
Dai primi rilievi pare un decesso per infarto, ma il vecchio servitore dell'uomo, un certo Arturo, farneticò della presenza di un cavallo nero: il racconto sfociò in assurdità superstizione.
Quello doveva essere il cavallo del Diavolo che rapì l'anima dello strozzino.
Fummo costretti a far rinchiudere il servitore Arturo in un manicomio.-
Arduino Rossi