12 set 2012

di paura storie .....I MINATORI DEL PARISAL











I MINATORI DEL PARISAL

Stavo mirando lo splendido panorama del lago artificiale di Altamora, quando un mandriano mi si avvicinò e mi distolse dalla
contemplazione: -Appare bello e tranquillo, ma non si lasci ingannare! In realtà è più malinconico di una tomba!-
Io rimasi allibito, perché mi parve impossibile che quella limpida acqua azzurra potesse celare qualche tragedia.
L'uomo mi sembrava molto vecchio, forse per i suoi abiti logori da montanaro di altri tempi e per la pelle del suo volto, raggrinzita dal sole e dalle intemperie.
I suoi modi erano schietti e cordiali; gli ispirai fiducia ed egli mi raccontò la triste vicenda dei minatori del Parisàl: -La diga ha poche decine di anni e l'acqua ha coperto una casa situata in questa valletta.
Era in granito, ben costruita dai minatori che l'avevano abitata.
Intere generazioni avevano scavato nelle viscere rocciose, seguendo i filoni del minerale di ferro, nelle gallerie profonde e intricate, così che gran parte di questi stretti cunicoli erano stati abbandonati, perché pericolosi.
Il lavoro di quei minatori era duro e difficile: i padri conducevano con loro i figli per addestrarli al mestiere fin da fanciulli.
Era povera gente, orgogliosa e rispettata.
Alla fine di un'estate di molti anni fa, venti uomini stavano concludendo la stagione mineraria, pregustando il ritorno al loro paese.
Quell'anno era stato fruttuoso: una nuova vena mineraria, ricca, era stata scoperta.
Era però in una zona umida e instabile della montagna, il più vecchio ed esperto dei minatori scongiurò i compagni a non avventurarsi, perché prevedeva con sorprendente anticipo il cattivo esito dello scavo.
La facilità con cui si lavorava e l'abbondanza di ferro nelle rocce convinse i più avidi a non ascoltare il vecchio cieco e i più prudenti non seppero imporsi.
C'era molta acqua in quella nuova galleria: due apprendisti la raccoglievano ininterrottamente con grandi secchi e la gettavano in un vecchio pozzo scuro.
Ogni tanto giocherellavano, spruzzandosi addosso l'acqua e rincorrendosi come due gatti nella notte.
Le infiltrazioni d'acqua facevano marcire i rari puntelli di legno, collocati provvisoriamente per dedicare più tempo all'estrazione.
Dopo i temporali si formavano dei veri torrenti sotterranei, che incrinavano i deboli sostegni e provocavano piccoli crolli.
Il vecchio cieco ascoltava i lamenti impercettibili del monte e un giorno intuì la catastrofe.
Scese nella miniera, dove si muoveva meglio di qualsiasi altro, per salvare i suoi compagni imprudenti: non aveva ancora finito di parlare che una frana di sassi e di fango bloccò tutte le uscite.
Gli uomini si guardarono terrorizzati: l'impeto di un fiume sotterraneo aveva fatto crollare delle gallerie e aperto voragini.
Essi trovarono scampo nel cunicolo più alto, dove l'acqua non poteva arrivare a attesero che quel finimondo cessasse.
Ammucchiarono gli attrezzi superstiti, che sarebbero stati utili per aprirsi la strada della salvezza e si posero uno accanto all'altro, più per sentirsi uniti che per proteggersi dal freddo e dall'umidità.
Il vecchio cieco impose il silenzio e la calma; ordinò che una sola lampada fosse lasciata accesa, per risparmiare l'olio.
Le ore trascorsero e nulla avvenne; l'aria si era appesantita e si respirava a fatica.
Nella fioca luce tremolante si distingueva appena tra loro: c'era chi tremava per il freddo e per la paura, chi pregava per farsi coraggio.
Più nessuno bestemmiava e l'angoscia calava su di loro e segnava i volti.
Anche l'olio dell'ultima lampada si consumò: nel silenzio si udiva solo il singhiozzo dei due ragazzi.
Fuori il frastuono dei crolli aveva richiamato mandriani e cavatori delle cave vicine, ma la speranza di aiutare gli sventurati svanirono presto.
Più nessuno si fidò a riaprire la miniera e quei poveri resti non furono mai estratti.
I morti non hanno pace se non si dà loro una sepoltura cristiana: questi avevano sperato sino all'ultimo ed erano morti maledicendo la negligenza dei soccorritori.
La loro solida casa fu utilizzata come ricovero dei pastori, nella stagione estiva, e come roccolo dei cacciatori, in autunno.
Tutti si sarebbero scordati della vecchia miniera e delle sue vittime, se voci e pianti non si fossero uditi: colpi di piccone e richieste di aiuto sembravano uscire dalla profondità della montagna.
Un pittore girovago, che dipingeva Santi e Madonne sulle facciate
delle cascine, salì alla miniera.
Nessuno lo aveva chiamato, ma spinto da pietà cristiana rappresentò una grande crocifissione e il martirio di alcuni rustici Santi, sulle quattro pareti della casa.
Usò tetri colori per rendere il macabro ricordo di quel luogo: a guardare quegli affreschi si provava il terrore della morte.
Da ragazzo io mi rifugiavo in quella casa durante le notti di tempesta.
Ricordo che lasciavo accesa la lampada a petrolio sino all'alba,
perché le immagini alle pareti mi sembravano dei fantasmi, pronti
ad aggredire.
Nelle notti più scure tenui singhiozzi e improvvisi colpi giungevano dal sottosuolo: io allora pregavo per vincere il terrore!-

Il mandriano terminò il racconto, andandosene come nulla fosse capitato.
Rimasi stupito per quel comportamenti strano, poi tornai ad a mirare quel bel lago placido, limpido, con il cielo riflesso e al pensiero di quei poveretti, sepolti sotto quella massa d'acqua e di rocce, provai tanta pena.

racconto di Arduino Rossi