I
MINATORI DEL PARISAL
Stavo
mirando lo splendido panorama del lago artificiale di Altamora,
quando un mandriano mi si avvicinò e mi distolse dalla
contemplazione:
-Appare bello e tranquillo, ma non si lasci ingannare! In realtà è
più malinconico di una tomba!-
Io
rimasi allibito, perché mi parve impossibile che quella limpida
acqua azzurra potesse celare qualche tragedia.
L'uomo
mi sembrava molto vecchio, forse per i suoi abiti logori da montanaro
di altri tempi e per la pelle del suo volto, raggrinzita dal sole e
dalle intemperie.
I
suoi modi erano schietti e cordiali; gli ispirai fiducia ed egli mi
raccontò la triste vicenda dei minatori del Parisàl: -La diga ha
poche decine di anni e l'acqua ha coperto una casa situata in questa
valletta.
Era
in granito, ben costruita dai minatori che l'avevano abitata.
Intere
generazioni avevano scavato nelle viscere rocciose, seguendo i filoni
del minerale di ferro, nelle gallerie profonde e intricate, così che
gran parte di questi stretti cunicoli erano stati abbandonati, perché
pericolosi.
Il
lavoro di quei minatori era duro e difficile: i padri conducevano con
loro i figli per addestrarli al mestiere fin da fanciulli.
Era
povera gente, orgogliosa e rispettata.
Alla
fine di un'estate di molti anni fa, venti uomini stavano concludendo
la stagione mineraria, pregustando il ritorno al loro paese.
Quell'anno
era stato fruttuoso: una nuova vena mineraria, ricca, era stata
scoperta.
Era
però in una zona umida e instabile della montagna, il più vecchio
ed esperto dei minatori scongiurò i compagni a non avventurarsi,
perché prevedeva con sorprendente anticipo il cattivo esito dello
scavo.
La
facilità con cui si lavorava e l'abbondanza di ferro nelle rocce
convinse i più avidi a non ascoltare il vecchio cieco e i più
prudenti non seppero imporsi.
C'era
molta acqua in quella nuova galleria: due apprendisti la
raccoglievano ininterrottamente con grandi secchi e la gettavano in
un vecchio pozzo scuro.
Ogni
tanto giocherellavano, spruzzandosi addosso l'acqua e rincorrendosi
come due gatti nella notte.
Le
infiltrazioni d'acqua facevano marcire i rari puntelli di legno,
collocati provvisoriamente per dedicare più tempo all'estrazione.
Dopo
i temporali si formavano dei veri torrenti sotterranei, che
incrinavano i deboli sostegni e provocavano piccoli crolli.
Il
vecchio cieco ascoltava i lamenti impercettibili del monte e un
giorno intuì la catastrofe.
Scese
nella miniera, dove si muoveva meglio di qualsiasi altro, per salvare
i suoi compagni imprudenti: non aveva ancora finito di parlare che
una frana di sassi e di fango bloccò tutte le uscite.
Gli
uomini si guardarono terrorizzati: l'impeto di un fiume sotterraneo
aveva fatto crollare delle gallerie e aperto voragini.
Essi
trovarono scampo nel cunicolo più alto, dove l'acqua non poteva
arrivare a attesero che quel finimondo cessasse.
Ammucchiarono
gli attrezzi superstiti, che sarebbero stati utili per aprirsi la
strada della salvezza e si posero uno accanto all'altro, più per
sentirsi uniti che per proteggersi dal freddo e dall'umidità.
Il
vecchio cieco impose il silenzio e la calma; ordinò che una sola
lampada fosse lasciata accesa, per risparmiare l'olio.
Le
ore trascorsero e nulla avvenne; l'aria si era appesantita e si
respirava a fatica.
Nella
fioca luce tremolante si distingueva appena tra loro: c'era chi
tremava per il freddo e per la paura, chi pregava per farsi coraggio.
Più
nessuno bestemmiava e l'angoscia calava su di loro e segnava i volti.
Anche
l'olio dell'ultima lampada si consumò: nel silenzio si udiva solo il
singhiozzo dei due ragazzi.
Fuori
il frastuono dei crolli aveva richiamato mandriani e cavatori delle
cave vicine, ma la speranza di aiutare gli sventurati svanirono
presto.
Più
nessuno si fidò a riaprire la miniera e quei poveri resti non furono
mai estratti.
I
morti non hanno pace se non si dà loro una sepoltura cristiana:
questi avevano sperato sino all'ultimo ed erano morti maledicendo la
negligenza dei soccorritori.
La
loro solida casa fu utilizzata come ricovero dei pastori, nella
stagione estiva, e come roccolo dei cacciatori, in autunno.
Tutti
si sarebbero scordati della vecchia miniera e delle sue vittime, se
voci e pianti non si fossero uditi: colpi di piccone e richieste di
aiuto sembravano uscire dalla profondità della montagna.
Un
pittore girovago, che dipingeva Santi e Madonne sulle facciate
delle
cascine, salì alla miniera.
Nessuno
lo aveva chiamato, ma spinto da pietà cristiana rappresentò una
grande crocifissione e il martirio di alcuni rustici Santi, sulle
quattro pareti della casa.
Usò
tetri colori per rendere il macabro ricordo di quel luogo: a guardare
quegli affreschi si provava il terrore della morte.
Da
ragazzo io mi rifugiavo in quella casa durante le notti di tempesta.
Ricordo
che lasciavo accesa la lampada a petrolio sino all'alba,
perché
le immagini alle pareti mi sembravano dei fantasmi, pronti
ad
aggredire.
Nelle
notti più scure tenui singhiozzi e improvvisi colpi giungevano dal
sottosuolo: io allora pregavo per vincere il terrore!-
Il
mandriano terminò il racconto, andandosene come nulla fosse
capitato.
Rimasi
stupito per quel comportamenti strano, poi tornai ad a mirare quel
bel lago placido, limpido, con il cielo riflesso e al pensiero di
quei poveretti, sepolti sotto quella massa d'acqua e di rocce, provai
tanta pena.
racconto di Arduino Rossi
racconto di Arduino Rossi