12 set 2012

nero racconto ...... IL PORTONE DEL DIAVOLO












IL PORTONE DEL DIAVOLO

L'anziano contadino, caricando la sua pipa, cominciò: -Ricordo il giorno dell'arrivo degli zingari: erano di un clan giunto da pochi anni dal levante, dalle terre degli infedeli.
Avevano volti color terra bruciata, gli occhi foschi e maligni.
Gli uomini andavano di casa in casa e vendevano i loro cavalli indomiti, o aggiustavano i piccoli attrezzi dei contadini per pochi soldi.
Le donne mercanteggiavano nei cortili dei cascinali le loro stravaganti stoffe e i loro talismani, che furono utilissimi contro il malocchio e ogni genere di malanno.
I loro ragazzini, mezzi nudi e scalmanati, si intrufolavano nelle abitazioni, o si disperdevano nei campi e rubavano tutto ciò che trovavano. Erano più dannosi di una nube di cavallette: non serviva catturarne uno, perché tutti uniti accorrevano in suo soccorso.
I girovaghi di questo gruppo erano più sfrontati degli altri loro simili e si comportavano come avessero il Maligno dalla loro parte: praticavano le loro abominevoli usanze moresche, non entravano mai nelle nostre chiese e disprezzavano la vera fede.
I colori dei carrozzoni e le decorazioni delle vesti delle donne erano cupi, deprimenti, mentre questo popolo nomade li preferisce fantasiosi e vivaci.
Gli zingari si sono abituati a non infastidire i Signori e non osano avvicinarsi ai palazzi e alle regge, ma questi gaglioffi si erano accampati nei pressi della villa Celadina, accanto alla strada che da Seriate conduce a Bergamo.
La famiglia che l'abitava era conosciuta per la sua nefandezza e per la sua prepotenza.
Di notte avvenivano festini: si udivano urla di dolore e risate feroci, mentre dei servi nerboruti vegliavano all'esterno, con le armi bene in vista.
Se la luna era piena, i cipressi attorno al muro di cinta, agitati dal vento, parevano anime in pena.
I viandanti notturni affrettavano il passo timorosi, davanti a quel tetro edificio di nuda pietra e dalle grosse inferriate alle finestre.
Tre nomadi pezzenti chiedevano la carità: uno era vecchio, dalla schiena curva e dal viso da topo; l'altro era un giovane dal fisico possente, orgoglioso, dal sorriso sardonico; la terza era una ragazza sinuosa dalla pelle d'avorio, il volto malizioso e le movenze provocanti.
Per i contadini questi falsi accattoni erano alleati del Diavolo: morte e disgrazie erano capitate a chi li aveva bistrattati.
Tutti soddisfacevano le loro esose richieste di denaro: al loro passaggio le donne richiamavano i figli, chiudevano le porte e gli scuri.
I tre giunsero alla villa Celadina e dissero al servo di guardia: -Avvisa i tuoi padroni che dovranno darci un'abbondante elemosina, se non vogliono la nostra maledizione!-
L'uomo corse nella sala, dove la famiglia era riunita per la cena, e riferì il ricatto.
La cattiva fama dei nomadi era giunta anche a loro e tutti rimasero silenziosi.
Il figlio maggiore, conosciuto per la sua temerarietà e la sua crudeltà, scoppiò in una risata: -Chi crederebbe che mio padre e i miei valorosi fratelli fossero così superstiziosi? Se questi miserabili sono servi del Diavolo, noi pure siamo amici di Satana!-

I tre entrarono nel salone silenzioso e la loro grinta spense l'allegria dei Signori.
Il figlio maggiore spavaldo si rivolse agli ospiti: -Benvenuti miei nobili amici, la mia casa sarà la vostra! Oh! Signori! Guardate la delicatezza dei loro pizzi e l'eleganza dei loro abiti!-
I tre rimasero impassibili alle burle e, cessate le risate dei presenti, ripeterono minacciosi la loro richiesta.
Il vecchio Signore, padre di quella famiglia e con la coscienza lorda di malefatte, si alzò furioso e ordinò a tutti i servi di legare gli intrusi.
Fu una lotta forsennata perché i tre resistettero disperatamente.
Furono sopraffatti, legati alle colonne del salone in attesa di essere frustati.
Il figlio maggiore aveva notato la rara bellezza della ragazza, guardandola con cupidigia, e la slegò: -Tu sei un fiore troppo delicato per essere sferzato!-
A quello sguardo ella rispose conficcando le sue forti unghie nelle guance dell'impertinente, con rabbia selvaggia.
A fatica i servi la strapparono dal giovane, che si allontanò maledicendola e ordinò una vendetta spietata.
Più i tre disgraziati urlavano sotto le frustate e più gli spettatori si sentivano vendicati.
Il vecchio Signore poi li rilasciò, compiaciuto di aver dato un esempio efficace a tutti i nomadi, che si aggiravano nei dintorni.
I tre si reggevano ancora bene sulle gambe e il loro viso esprimeva un odio feroce: furono sospinti dai servi con pugni e con calci fuori dalla villa.
Non si allontanarono subito, ma il più vecchio tolse di tasca un pezzo di carbone e tracciò alcuni segni incomprensibili su un pilastro del portone d'entrata: pronunciò in una lingua forestiera alcune frasi.
Dopo questa disavventura l'intera carovana se ne andò per non tornare mai più.
Fu una liberazione per noi contadini: la partenza venne salutata dal parroco col suono delle campane a festa e con una Messa di ringraziamento.
I servi della villa erano molto preoccupati e tentarono di cancellare la scritta.
Nessuno capì che cosa significassero quegli strani segni, ordinati in eleganti caratteri tondi: un astrologo credette di riconoscere l'alfabeto degli antichi negromanti d'oriente, ma non seppe decifrarlo.
Intanto ogni tentativo di cancellarli fu inutile e più nessuno li osservò.
Alcuni mesi dopo, durante un temporale violento, si udì un orrendo verso, né umano, né animale, provenire dal portone.
Accorsero i servi: un fumo giallastro dall'odore acre di zolfo offuscò la loro vista.
Videro la terribile presenza del Maligno: bestia immonda, dalla vaga fisionomia umana, con la potente muscolatura, che tendeva la pelle nera.
Si arrestarono al grugnito aggressivo del Demonio, che pose con
violenza la sua mano unghiata sopra i segni cabalisti degli zingari.
Dal giorno di quella visione tutti i responsabili e i testimoni della fustigazione subirono tremende punizioni, o morirono in pochi anni.
Ancora oggi l'impronta della mano del Diavolo rimane a provare la
verità di questa storia, che non è una leggenda.


racconto di Arduino Rossi