SUL FIUME
C'erano profonde
valli, poi prati boschi, la palude avvolgeva le terre basse, le più
fertili se bonificate e coltivate.
La nebbia si alzava
dal fiume largo e terroso, maestoso.
Lungo le sue rive si
erano formati anfratti, grotte e proprio lì era facile nascondersi
ai cacciatori di schiavi.
Fuggii dal mio padrone
perché il mio istinto di uomo libero era più forte dell'educazione
da servo che avevo ricevuto.
Il vento della pianura
con le sue praterie, con i cavalli selvaggi, mi avevano convinto che
mi conveniva lottare per non avere catene.
Vivevo nelle grotte
degli spiriti, così le chiamava la gente della zona: pescatori,
cacciatori, traghettatori.
In quella cavità
c'erano le ossa di una popolazione ormai estinta, guerrieri
giganteschi con elmi, spade e corazze.
Nessuno osava
sottrarre ai legittimi proprietari le armi, il corredo funerario: si
narrava che la maledizione dei morti sarebbe caduta sul sacrilego.
Io ero indifferente,
incredulo: non temevo né spettri, né demoni, né gli dei.
Ero stanco di
obbedire, di sottostare a leggi, regole per timore.
Raccolsi le armi,
ormai arrugginite e le forgiai: ero un ottimo fabbro.
Ottenni nuove armi per
la mia difesa, per il mercato, per i viandanti.
Ben presto mi
arricchii e potei riscattare la mia condizione da schiavo.
Mi feci costruire una
casa sulla riva, dove transitavano i mercanti e feci ottimi affari:
acquistai degli schiavi e divenni un ricco liberto, uno dei più
potenti della regione.
Mi trovai una moglie
giovane e alcune serve molto belle.
Avevo tutto ciò che
un uomo possa desiderare: ero temuto, invidiato, rispettato.
Forse non avevo
ottenuto quella libertà da guerriero, che tanto avevo agognato da
ragazzino.
Ero solo un mercante,
un artigiano con molto oro nella mia cassa a doppio fondo.
La vecchiaia avanzava,
i figli erano cresciuti e se ne erano andati lontano, nella capitale.
Il metallo delle tombe
era terminato e la mia officina era silenziosa da tempo.
Mia moglie e i miei
schiavi abitavano in una nuova casa in collina, in un luogo più
salubre.
Da tempo i commerci
lungo le sponde del fiume languivano: prima le pestilenze, poi i
briganti, avevano reso la zona impura.
Possedevo ancora molto
oro e pietre preziose in abbondanza.
Sarebbero bastate per
tutta la vecchiaia, se non fossero giunti loro.
Li notai la prima
volta all'alba, quando la nebbia taglia l'aria con tanti nastri di
seta evanescente.
I guerrieri erano là,
lungo la sponda ed erano appena riconoscibili.
Io non vi feci caso,
ma sapevo chi fossero e cosa volessero da me.
Così tutte le mattine
loro apparivano e la loro presenza era sempre più corporea e
restavano sempre più tempo.
Poi iniziarono ad
avvicinarsi, infine sentii i loro pesanti passi e il tintinnio delle
armi.
Sapevo che non mi
avrebbero dato pace: gli ultimi vecchi servi mi avevano tradito, se
ne erano andati.
Rimaneva il cieco, che
non smetteva di brontolare per i suoi acciacchi.
Fu lui che li fece
entrare in casa e fu lui che li presentò a me: -Padrone! Ci sono dei
forestieri! Dicono che devono riscuotere!-
Mi infuriai: -Idiota!
Io non ho debiti...-
Li vidi dentro la mia
camera da ammalato: da alcuni giorni non avevo più energie e
languivo sul mio giaciglio, nello sporco.
Ebbi appena le forze
per ordinare a loro di uscire.
Non si mossero, si
sedettero attorno a me e attesero, attesero che io diventassi come
loro, per avere il risarcimento eterno.
-I secoli sgretolarono
la casa sul fiume e nessuna traccia è rimasta dell'officina del
fabbro.
Solo io, vecchio
archeologo dilettante, ho scovato un vaso di terracotta con il papiro
ben protetto da un tappo di creta e cera.
Sarà l'effetto della
mia vista non più valida, sarà dovuto alla mia immaginazione, ma
proprio nel luogo del ritrovamento del manoscritto ho intravvisto,
questa mattina all'alba, un uomo con
una tunica che
forgiava armi, corazze, scudi, circondato da guerrieri feroci, simili
a diavoli tanto erano sporchi di fuliggine.
racconto di Arduino Rossi
racconto di Arduino Rossi