TUTTO PER GIOCO
Era un sabato
pomeriggio e noi ragazzi non sapevamo cosa fare: ci stavamo annoiando
come al solito. Non avevamo voglia di studiare, non avevamo
intenzione di restare al bar con i nostri coetanei, né di
passeggiare nelle vie del centro cittadino. La nostra città era il
solito capoluogo di provincia, di una provincia abbastanza attiva e
ricca, ma priva di fantasia e di iniziative per i
giovani.
Da sempre c'era
un'aria bigotta. Oltre al calcio nei campetti parrocchiali, al ballo
in una sala semi- clandestina della periferia, non c'era nulla, se
non sane passeggiate sui colli, magari con la propria ragazza. Noi
non eravamo fidanzati, era ancora presto per impegnarsi: avevamo
tempo per stancarci con le donne.
Così fui io a
proporre il nuovo gioco di gruppo e quel pomeriggio uggioso, piovoso,
era quello giusto. Ci trovammo nella cantina di Andrea, il luogo
delle nostre riunioni segrete, nascosto a tutti: era grande, con
vaste volte e zeppo di mobili in disuso, che sarebbero stati la gioia
di un rigattiere.
La polvere era tanta e
ci sedavamo su alcune sedie con braccioli,
puliti alla meglio da
noi. Restavamo a chiacchierare attorno al tavolo di ragazze, di
scuola, di voti brutti e belli, del futuro con i nostri progetti di
fuga da quella monotona cittadina, dove c'era solo un avvenire di
lavoro, da bravi padri di famiglia.
Eravamo giovani con le
teste zeppe di sogni: saremmo stati diversi dai nostri genitori.
Avevo letto su una rivista un articolo sullo spiritismo e ne ero
rimasto affascinato: cercai quindi di saperne di più sino a scoprire
la tecnica del bicchierino.
Avevo segnato io le
lettere in cerchio sul foglio bianco: lo avevo incollato al vecchio
tavolino della cantina di Andrea, che brontolò un po', ma alla fine
mi lasciò fare.
Eravamo in sei quel
sabato, avevamo spento le luci e lasciato una flebile candela su un
vecchio candelabro di bronzo. Avevo faticato non poco, sgolandomi,
per ottenere un po' di silenzio e di atmosfera: qualcuno tra noi non
voleva considerare il nostro esperimento come una faccenda seria.
Comunque il nostro scherzare nascondeva la paura per l'ignoto.
Certamente qualcuno tentava di spingere il bicchierino sul tavolo per
far risultare ciò che interessava a lui: le prime parole erano
incomprensibili.
Finalmente l'atmosfera
tenebrosa del locale ebbe la meglio sui burloni più cocciuti: si
calmarono quando le prime parole sensate uscirono.
Chiedemmo. -Chi sei?-
-Sono un vostro
amico!-
-Sei morto?-
Il bicchierino
scivolava rapido con le risposte: -Sì!-
-Vuoi fare il nostro
spirito guida?-
-Certamente!-
Tutto andava bene ed
eravamo in quella condizione psicologica che dal dubbio, o
dall'incredulità, si passa alla constatazione che qualcosa di
misterioso sta avvenendo. Gli chiedemmo: -Come ti chiami?-
-Per voi sarò, Sem!-
-Sem! Quando sei
deceduto?-
-Questo non vi deve
interessare! Dovete solo sapere che io abitavo questa casa molti anni
prima che voi nasceste! Era lo spirito della casa e questo fece
preoccupare Andrea, che si lamentò: -Mi volete rovinare! State
risvegliando i morti nella mia cantina!-
Ridemmo tutti: -Non
temere, Sem è un buon fantasma! Non ti farà del male!-
Così, ogni sabato
pomeriggio ci ritrovavamo nella cantina, sperando di sapere qualcosa
di più sulla vita dopo la morte. Sem invece evitava di dare
particolari: sembrava ostacolato da un'autorità superiore e non
svelava i segreti dell'Oltretomba.
-Sem! Perché non ci
dici come si sta da te?-
-C'è chi sta bene e
chi sta male! Dipende da come uno ha vissuto!-
Era una risposta
ovvia, che anche il curato della parrocchia ci avrebbe dato. Noi
volevamo sapere di più, non ci bastavano i soliti chiarimenti.
Comunque Sem ci fece ritrovare parenti e amici defunti, anche
personaggi sconosciuti.
Potemmo verificare con
precisione: ciò che diceva era esatto. Ci rivelava date di morte di
gente deceduta, luoghi delle sepolture e molti altri particolari che
poi risultarono veri. Non c'era nulla di macabro, né di spaventoso;
alla fine la faccenda ci stava stancando.
Noi volevamo di più:
avere notizie sul nostro futuro, cosa avremmo fatto e quali
avvenimenti ci attendevano. Anche su queste questioni il nostro
spirito guida non voleva essere precise, restava nel vago. Una volta,
dopo molte insistenze, rispose: -Morirete tutti!-
-Questo è certo, ma
quando?-
-Presto!-
Era una risposta
agghiacciante, ma riuscii a tener unita la catena: -Come finiremo?-
-Sarete assassinati da
qualcuno che temerà ciò che vi svelo ora!
Sino a quando
manterrete il segreto non sarete in pericolo, ma quando uno solo
parlerà per tutti voi sarà la fine!-
Avrei dovuto rompere
subito la catena, ma la curiosità era troppa: -Che segreto è?-
-In questa cantina
sono stati nascosti i corpi di due uomini, uccisi da un notabile
della vostra città. Ci sono le prove di quanto dico, ma se troverete
i cadaveri sarete tutti assassinati!-
Era qualcosa di
assurdo e terribile. Avremmo dovuto tacere e vivere, o parlare e
morire. Decidemmo di non tornare nella cantina, né di fare altre
sedute spiritiche: sicuramente avevamo superato il confine del lecito
e un'entità superiore ci stava punendo.
Ci separammo e non ci
incontrammo più per anni: io decisi di andarmene dalla città e così
feci carriera come avvocato. Gli altri rimasero in città e furono
bravi padri di famiglia: impiegati, artigiani, commercianti, come i
loro genitori e i loro nonni. Ormai non mi preoccupavo della
predizione di Sem, poi aveva detto che saremmo morti presto e invece
erano trascorsi quindici anni: nulla era capitato.
Fu per una causa di
omicidio che fui costretto a rientrare nella mia città natale: presi
una camera in affitto per tutto il periodo del processo, per non
farmi notare dai parenti, dai vecchi amici.
Dovevo difendere il
personaggio più ricco e potente della città: un losco individuo
sospettato di diversi crimini, che proseguiva
nelle sue abili
attività delinquenziali.
Mi aveva incastrato
con una promessa fatta alla moglie, una donna molto bella ed
affascinante. Il mio cliente era un vero farabutto, ma con le mie
loquaci capacità forensi e con le sue protezioni riuscii a farlo
assolvere: mi ripagò con regali lussuosi oltre alla mia parcella.
Io non ero soddisfatto
e avrei preferito che quel delinquente fosse finito in carcere per
scontare i suoi gravi delitti: avevo ancora un po' di coscienza. La
notte sognai di Sem che mi disse: -Va' nella cantina e scava!-
Il giorno successivo
rividi Andrea. Non fu tanto felice della mia proposta, ma la mia
cocciutaggine vinse ancora le sue titubanze: dovevo sapere se Sem ci
avesse spaventato e ingannato o avesse detto ancora la verità. Il
pavimento era coperto da un lastricato di pietra, ma fu facile per me
trovare l'unico tratto di terriccio.
Faticammo parecchio,
ma alla fine, sotto solo mezzo metro di materiale, trovammo due
scheletri. C'era pure quella che probabilmente era stata l'arma del
delitto: un piccone. Quelli erano i resti di due complici del mio
cliente, scomparsi diversi anni prima, mentre per la giustizia erano
due ricercati per appropriazione indebita.
Si era detto che
vivessero in qualche isola tropicale, dove sperperassero i soldi
rubati, invece erano lì, nella cantina del mio amico, morti da anni.
Si sarebbe riaperto il
caso e le dichiarazioni del potente della città sarebbero state
facilmente contraddette dai fatti: non avevano potuto portare con sé
il denaro, né spenderlo in paesi stranieri, come risultava dalle
indagini. L'unico che avrebbe potuto appropriarsi impunemente del
capitale era lui, il grasso e ormai vecchio, temuto, prepotente
magnate della città.
Era necessario
trovarci tutti noi, gli amici di un tempo, e decidere assieme cosa
fare: l' assassino ci avrebbe facilmente tappato la bocca per sempre,
se avesse saputo che noi conoscevamo i suoi crimini.
I miei amici mi
maledissero e mi consigliarono di andarmene per
sempre dalle loro
vite: ero un pericolo per tutti loro con la mia rischiosa sete di
giustizia. Certamente nessuno di noi avrebbe svelato il segreto, così
fui contento: quella volta Sem avesse sbagliato, non ci avrebbero
ammazzato.
Mi ero scordato dalla
mia abitudine a scrivere dei resoconti nel periodo delle sedute
spiritiche e del desiderio di fama: quegli scritti li inviavo a
riviste che trattavano di misteri.
Ma avevo evitato di
spedire l'ultimo mio scritto, riguardante la seduta della predizione.
Sì!
Scioccamente, per la
mia mania di scrivere a sera ogni cosa di interessante che mi
capitava, esisteva ancora una pagina ingiallita con la cronaca
precisa di ciò che Sem ci aveva predetto e detto. Quel foglio
sciolto era rimasto con le copie dei miei vecchi articoli, mai
pubblicati, in un quaderno nella cantina. Nessuno si era ricordato di
quegli manoscritti. Per far pulizia Andrea regalò il tavolino delle
sedute a un povero studente, con qualche difficoltà economica.
Quel idiota rinvenne i
miei pezzi giornalistici e li firmò, spedendoli a un giornale poco
serio, che trattava di spiritismo. Per anni i miei lavori erano
rimasti inediti, nonostante i miei sforzi. La sorte volle che proprio
lo scritto, che non avrei mai desiderato diffondere, fosse stampato.
I sicari del potente nostro nemico ci trovarono alla stazione, mentre
stavamo partendo e fu facile eliminarci: fu una strage inspiegabile e
incomprensibile per anni. Solo con il gioco del bicchierino, cari
giovani amici miei avete scoperto questa tragica verità, ma non
rivelatela mai a nessuno se non desiderate conoscere in anticipo i
segreti dell'Aldilà.
racconto di Arduino Rossi
racconto di Arduino Rossi