10 set 2012

Fantasmi - IL VENTO








IL VENTO

Gli alberi erano scossi da quel soffio potente che in autunno calava dalle selve.
Le foglie erano spazzate e gli alberi denudati dal rosso, dall'ocra, dai colori tristi.
Si sapeva che dalle vetta innevata soffiava la tramontana, dove riposavano i morti, secondo i sacerdoti della nostra religione arcaica.
Loro non avevano più fame, né freddo e rimanevano a contemplare il cielo cristallino, le stelle e la notte gelida, illuminata dalla luna che si rifletteva sulle nevi perenni.
Noi portavamo i nostri defunti nelle grotte ai piedi del monte, lì aprivamo i sepolcri e calavamo i corpi dei nostri cari nelle voragini.
Sotto scorreva l'acqua perpetua e tutto era travolto, solo lo spirito saliva ai monti puri.
Nessuno aveva osato infrangere il mistero dei monti dei defunti:
nessuno aveva avuto il coraggio di rischiare la maledizione degli dei.
Io invece ero troppo curioso e incredulo: i morti erano per me partiti lontano e non c'era luogo dove potessero essere contenuti.
Così partii in quell'autunno gelido e andai contro il vento delle cime fino a oltrepassare le selve, salii lungo gli immensi prati fioriti, rossi, gialli, oltre gli arbusti spinosi e profumati.
Raggiunsi le rocce sterili, avvolte dal muschio e dalle macchie vegetali, simili a disegni di bambini.
Infine calpestai la neve ghiacciata che precede le cime.
Non vidi nessuno: gli spiriti non c'erano, nessun dio aveva fermato i demoni guardiani, che avevano per tanto tempo popolato i miei incubi non c'erano.
C'era solo il vento, forte e gelido, l'aria limpida e un immenso paesaggio dove si individuavano le capanne dei villaggi, i templi
di pietra sulle alture e sui passi, alti e sostenuti da molte colonne.
Oltre la nostra valle c'erano i nemici che ci minacciavano con le loro incursioni: bruciavano, uccidevano, rapivano fanciulli per renderli schiavi.
Io avevo proposto di attaccarli attraversando i monti innevati, ma i vecchi temevano l'ira delle divinità per un simile sacrilegio.
Sarei tornato e avrei infranto le pietre sacre, avrei raccolto i giovani e assieme saremmo calati sui nemici, annientandoli.
Avevo fame, avevo gli arti congelati, la febbre mi stava bruciando dentro, ma ero troppo felice: avevo sconfitto il tabù del vento e sarei diventato il nuovo capo.
Avrei fatto scacciare i sacerdoti, potente casta che defraudava la mia gente, avrei innalzato una nuova divinità, quella della bora soffiante, perché gli spiriti sicuramente erano sospinti dall'aria in tutto il mondo.
Non c'era luogo che potesse contenere le anime dei morti: loro aleggiavano sopra le nostre teste.
Io li sognavo e spesso mi avevano detto dove incontrarmi con loro: la selva era il luogo preferito da loro, proprio vicino alle grotte della sepoltura.
Scesi tra la mia gente, ma non fui creduto: i sacerdoti mi scacciarono fino alla selva e lì dovetti restare.
Così vissi di caccia, con le bacche selvatiche le radici a poco alla volta mi abituai al vento, alle processioni funebri che assistevo nascosto tra gli alberi.
I defunti ben presto si abituarono alla mia presenza da vivo e con loro rimanevo a chiacchierare nelle notti di luna piena.
Si parlava delle tribù, del mio isolamento, da sacrilego maledetto, del soffio che portava con sé le nubi o conduceva la tempesta oltre l'orizzonte.
Restando con loro potei vedere il passato e il futuro chiaramente: la mia tribù sarebbe stata sconfitta e tutti sarebbero divenuti servi.
Il nome della mia stirpe sarebbe svanito nel tempo e le nostre donne avrebbero partorito solo schiavi o i figli dei loro padroni.
Anche i nostri conquistatori sarebbero stati sconfitti, avrebbero subito la stessa sorte.
I vincitori sarebbero diventati schiavi e altre etnie avrebbero imposto il loro linguaggio, i loro idoli, per poi tutti cadere nella polvere.
Solo il vento avrebbe soffiato e avrebbe sparso il dolore dei defunti, i loro ricordi, i loro rimpianti, ma nessuno li avrebbe ascoltati, sino a quando anche la brezza si sarebbe stancata: tutto si sarebbe arrestato e un immenso silenzio sarebbe regnato.
Solo i pensieri dei defunti avrebbe continuato a esistere nelle spazio immenso, oltre il tempo, per un'eternità dolorosa quanto inutile.
Io possedevo la sapienza, o credevo di conoscere ogni cosa, e volli illuminare con la verità i miei stolti fratelli di sangue.
Mi presentai alla tribù e mi confusero con un fantasma: provocai
il terrore, ma quando si accorsero che ero in carne e ossa, non mi risparmiarono.
Ero il sacrilego, colui che aveva violato la terra degli spettri.
Ero un maledetto dannato: non riuscii a parlare, mi colpirono con asce, con bastoni, con pietre e mi mandarono nel vento con la mia verità, con la mia cura per i loro dolori perpetui, ma ormai era tutto vano, la tempesta con le sue voci sussurrati non è mai compresa.

racconto di Arduino Rossi