10 set 2012

storie di paura ....I FLUTTI










I FLUTTI

Il mare è sempre stupendo, ma quando è agitato lo è ancora di più: io mi piazzavo in cima al mio scoglio e lì lasciavo che gli spruzzi delle onde mi bagnassero.
I cavalloni talvolta mi coprivano e a stento mi trattenevo su quella roccia aguzze.
Rischiavo la vita, ma non era importante: solo lì scordavo i miei dolori, le mie angosce.
Sentivo il vento stridere, i versi acuti degli uccelli lontani, dispersi nella tempesta.
La potenza della natura mi faceva sentire minuscolo, un elemento insignificante.
Forse mi sarei gettato volentieri in quel mare verde, spumeggiante, tenebroso.
Non c'era più nulla che mi potesse trattenere su questa terra, ma un residuo di sentimento religioso mi preoccupava: temevo la dannazione eterna dei suicidi.
Non avevo una grande fede, ma un residuo timore di Dio restava.
Rischiavo la vita, ma non osavo stroncarla volontariamente.
La stanchezza, la fame mi spingevano alla mia casupola: una villetta malconcia, comprata con la liquidazione del mio lavoro.
Io lasciavo che lo sporco aumentasse ogni giorno, sino a diventare uno strato fitto: allora lo spazzavo con quattro colpi di scopa in giardino.
Mangiavo sempre peggio: pane, frutta e verdure.
Tutti cibi da consumarsi rapidamente.
Ero un barbone insoddisfatto della vita: avevo trascorso la mia esistenza da operaio, da impiegatino, da commerciante e in fine da misero pensionato evitando i rapporti umani, in particolare con le donne.
La mia diffidenza era dovuta alla poca stima che avevo avuto nei
loro confronti: non comprendevo la loro vanità, il loro narcisismo.
Le vedevo impegnate alla caccia di idioti, di farabutti e incapaci damerini.
Amavano gli spavaldi, i faciloni, i presuntuosi, ma non chi si dimostrava valido.
Odiavo Dio e me stesso per il tormento che avevo dentro: per non essere riuscito nei miei intenti.
Spesi il meglio dei miei anni, delle mie energie per diventare uno scrittore.
Non avevo amato la gloria, l'onore, la fama, ma avevo creduto di
avere qualcosa da dire.
Scrisse decine di migliaia di pagine, fitte: elaborai poesie, saggistica, ma in particolare romanzi e racconti.
Mi consumai gli occhi per le pagine di narrativa dell'orrore, di fantascienza, ironici, realistici, magici.
Avevo concluso anche romanzi, ma ero più portato verso i racconti.
Dopo aver ambito al massimo: diventare soggettista.
Per mia sfortuna ottenni la stima di un pezzo grosso del mondo cinematografico: mi spronò a tentare l'impossibile.
Io gli credetti proprio quando stavo rinunciando alla mia passione: ripresi a scrivere e inviare il mio materiale.
Trascorsi la giovinezza, la vita sperando, incapace di rinunciare a quella che fu il mio unico grande vizio, il piacere di scrivere.
Continuai tra alti e bassi, tra promesse mai mantenute: alla fine i capelli divennero tutti bianchi, gli occhi erano stanchi, la mano era tremolante.
La speranza divenne sempre più fioca: perdetti anche il rispetto di me stesso, il decoro, la decenza.
Non cedetti all'evidenza, proseguivo nella mia ossessionante attività da scrittore, ma ormai ero un'abitudine senza scopo.
Non ritenevo importante ciò che descrivevo: non ne potevo più fare a meno.
La mia dipendenza svanì e non toccai più i tasti della macchina da scrivere: rimanevamo i volumi dei miei lavori, fermi, inutilizzati.
Ammettere di avere sbagliato mi costava tantissimo: ero terminato in un vicolo cieco.
I miei racconti erano ottimi, tanti critici lo avevano affermato, ma mi mancava la "spinta" giusta per arrivare: il mio orgoglio le rifiutò tutte.
Dovevo far tutto con le mie mani, senza raccomandazioni.
Restava ore e ore sullo scoglio aguzzo per dimenticare: non bevevo alcoolici, non fumavo, non mi drogavo.
Attendevo l'onda gigantesca che mi avrebbe portato con sé, trasformandomi in materia inanimata.
Sarei tornato alla madre natura, nei suoi vortici primordiali.
Non bestemmiavo più il cielo: non lo provavo più.
Il mutismo di Dio mi aveva raffreddato, facendomi perdere la fede.
Quella sera ero più depresso del solito: neppure il fragore delle onde sul bagnasciuga bastava a distrarmi.
Lei era là, bella come una Madonna, ammagliante come una strega.
Mi sorrideva con malignità e mi invitava a lei.
Sarei affogato se l'avessi raggiunta, così me ne tornai a casa.
Il giorno dopo la rividi: era sempre più seducente.
Le vesti erano sempre più trasparenti, le mosse erano audaci, lente, sempre pensate per farsi notare e far vedere.
Io da tempo non conoscevo la passione erotica, ma quella era bella, troppo bella.
Si avvicinava sempre più, ogni giorno che passava perdeva una
parte del suo abito: rimase nuda davanti a me, con i capelli lunghi e corvini sciolti, agitati.
Aveva un fascino carnale, prorompente, due occhi verdi e un sorriso sarcastico.
La sua voce era sottile, femminile, sussurrata con un soffio della bocca carnosa.
Le detti la mano e cadetti tra i flutti furiosi: quella era la mia gloria, il nulla, la morte.

-Il cadavere dello scrittore Angelo Ruben è stato rinvenuto sulla spiaggia assolata di un popolare stabilimento balneare.
Si teme che si sia suicidato.
Il destino volle che proprio in questi giorni fosse diffuso il suo libro edito, dopo il grande successo del film tratto dallo stesso romanzo.
Tutto questo il povero Ruben non lo poté assaporare: da tempo lo si cercava. Nessuno conosceva il suo ultimo recapito, la fama e la gloria gli furono sempre estranea.-

Racconto di Arduino Rossi