I FLUTTI
Il mare è sempre
stupendo, ma quando è agitato lo è ancora di più: io mi piazzavo
in cima al mio scoglio e lì lasciavo che gli spruzzi delle onde mi
bagnassero.
I cavalloni talvolta
mi coprivano e a stento mi trattenevo su quella roccia aguzze.
Rischiavo la vita, ma
non era importante: solo lì scordavo i miei dolori, le mie angosce.
Sentivo il vento
stridere, i versi acuti degli uccelli lontani, dispersi nella
tempesta.
La potenza della
natura mi faceva sentire minuscolo, un elemento insignificante.
Forse mi sarei gettato
volentieri in quel mare verde, spumeggiante, tenebroso.
Non c'era più nulla
che mi potesse trattenere su questa terra, ma un residuo di
sentimento religioso mi preoccupava: temevo la dannazione eterna dei
suicidi.
Non avevo una grande
fede, ma un residuo timore di Dio restava.
Rischiavo la vita, ma
non osavo stroncarla volontariamente.
La stanchezza, la fame
mi spingevano alla mia casupola: una villetta malconcia, comprata con
la liquidazione del mio lavoro.
Io lasciavo che lo
sporco aumentasse ogni giorno, sino a diventare uno strato fitto:
allora lo spazzavo con quattro colpi di scopa in giardino.
Mangiavo sempre
peggio: pane, frutta e verdure.
Tutti cibi da
consumarsi rapidamente.
Ero un barbone
insoddisfatto della vita: avevo trascorso la mia esistenza da
operaio, da impiegatino, da commerciante e in fine da misero
pensionato evitando i rapporti umani, in particolare con le donne.
La mia diffidenza era
dovuta alla poca stima che avevo avuto nei
loro confronti: non
comprendevo la loro vanità, il loro narcisismo.
Le vedevo impegnate
alla caccia di idioti, di farabutti e incapaci damerini.
Amavano gli spavaldi,
i faciloni, i presuntuosi, ma non chi si dimostrava valido.
Odiavo Dio e me stesso
per il tormento che avevo dentro: per non essere riuscito nei miei
intenti.
Spesi il meglio dei
miei anni, delle mie energie per diventare uno scrittore.
Non avevo amato la
gloria, l'onore, la fama, ma avevo creduto di
avere qualcosa da
dire.
Scrisse decine di
migliaia di pagine, fitte: elaborai poesie, saggistica, ma in
particolare romanzi e racconti.
Mi consumai gli occhi
per le pagine di narrativa dell'orrore, di fantascienza, ironici,
realistici, magici.
Avevo concluso anche
romanzi, ma ero più portato verso i racconti.
Dopo aver ambito al
massimo: diventare soggettista.
Per mia sfortuna
ottenni la stima di un pezzo grosso del mondo cinematografico: mi
spronò a tentare l'impossibile.
Io gli credetti
proprio quando stavo rinunciando alla mia passione: ripresi a
scrivere e inviare il mio materiale.
Trascorsi la
giovinezza, la vita sperando, incapace di rinunciare a quella che fu
il mio unico grande vizio, il piacere di scrivere.
Continuai tra alti e
bassi, tra promesse mai mantenute: alla fine i capelli divennero
tutti bianchi, gli occhi erano stanchi, la mano era tremolante.
La speranza divenne
sempre più fioca: perdetti anche il rispetto di me stesso, il
decoro, la decenza.
Non cedetti
all'evidenza, proseguivo nella mia ossessionante attività da
scrittore, ma ormai ero un'abitudine senza scopo.
Non ritenevo
importante ciò che descrivevo: non ne potevo più fare a meno.
La mia dipendenza
svanì e non toccai più i tasti della macchina da scrivere:
rimanevamo i volumi dei miei lavori, fermi, inutilizzati.
Ammettere di avere
sbagliato mi costava tantissimo: ero terminato in un vicolo cieco.
I miei racconti erano
ottimi, tanti critici lo avevano affermato, ma mi mancava la "spinta"
giusta per arrivare: il mio orgoglio le rifiutò tutte.
Dovevo far tutto con
le mie mani, senza raccomandazioni.
Restava ore e ore
sullo scoglio aguzzo per dimenticare: non bevevo alcoolici, non
fumavo, non mi drogavo.
Attendevo l'onda
gigantesca che mi avrebbe portato con sé, trasformandomi in materia
inanimata.
Sarei tornato alla
madre natura, nei suoi vortici primordiali.
Non bestemmiavo più
il cielo: non lo provavo più.
Il mutismo di Dio mi
aveva raffreddato, facendomi perdere la fede.
Quella sera ero più
depresso del solito: neppure il fragore delle onde sul bagnasciuga
bastava a distrarmi.
Lei era là, bella
come una Madonna, ammagliante come una strega.
Mi sorrideva con
malignità e mi invitava a lei.
Sarei affogato se
l'avessi raggiunta, così me ne tornai a casa.
Il giorno dopo la
rividi: era sempre più seducente.
Le vesti erano sempre
più trasparenti, le mosse erano audaci, lente, sempre pensate per
farsi notare e far vedere.
Io da tempo non
conoscevo la passione erotica, ma quella era bella, troppo bella.
Si avvicinava sempre
più, ogni giorno che passava perdeva una
parte del suo abito:
rimase nuda davanti a me, con i capelli lunghi e corvini sciolti,
agitati.
Aveva un fascino
carnale, prorompente, due occhi verdi e un sorriso sarcastico.
La sua voce era
sottile, femminile, sussurrata con un soffio della bocca carnosa.
Le detti la mano e
cadetti tra i flutti furiosi: quella era la mia gloria, il nulla, la
morte.
-Il cadavere dello
scrittore Angelo Ruben è stato rinvenuto sulla spiaggia assolata di
un popolare stabilimento balneare.
Si teme che si sia
suicidato.
Il destino volle che
proprio in questi giorni fosse diffuso il suo libro edito, dopo il
grande successo del film tratto dallo stesso romanzo.
Tutto questo il povero
Ruben non lo poté assaporare: da tempo lo si cercava. Nessuno
conosceva il suo ultimo recapito, la fama e la gloria gli furono
sempre estranea.-
Racconto di Arduino Rossi
Racconto di Arduino Rossi