11 set 2012

fantastico racconto -.... LA CITTA'










LA CITTA'

Scivolavo sulle strade in cerca di nulla, vagabondavo di città senza nulla chiedere.
Quando non avevo più soldi, guadagnati con lavoretti nei bar, nei campi, andavo alla mensa dei poveri.
Dormivo all'aperto o sotto i portici: era un modo duro di esistere, ma a me piaceva.
Quella città tutta fumosa, rumorosa non più andava: l'avrei evitata se fosse stato per me.
Era una terribile realtà industriale, con i tonfi degli opifici, l'odore di zolfo, l'aria arsa, secca, polverosa.
C'era il vuoto delle strade spopolate, tra le rovine dei grandi edifici, calpestavo le schegge delle gigantesche vetrate in frantumi.
Le gru arrugginite pendevano minacciose, mosse dal vento: erano simili a vecchi operai ubriachi.
Del passato era rimasto la decadenza e le ultime fonderie, che proseguivano imperterrite a produrre travi d'acciaio, tubazioni per improbabili acquirenti.
Mi infilai in quella che pareva la stazione dei treni, ormai resa inutilizzabili dai detriti, dalla sporcizia e dagli arbusti cresciuti tra i binari.
Era un'abitudine di ciascuno di noi vagabondi andare alla stazione per incontrarvi, per non sentirvi stranieri in luoghi sconosciuti.
Mi guardai attorno, era gigantesco il luogo: travi d'acciaio vibravano a mezz'aria.
Tutto pareva pronto a crollarmi sopra, coprendomi con tonnellate di macerie.
Mi nascosi su un vagone abbandonato e mi strinsi attorno gli stracci: cercai di dormire.
Chiusi gli occhi e li spalancai più volte, sentendomi a disagio: c'era qualcosa di vivo, malsano attorno a me.
Sembrava che un immenso animale respirasse, traspirasse: i suoi umori erano diffusi nell'aria, me li sentivo dentro come un alito cattivo, come il fetore di un'enorme porcile.
Non ne potei più: decisi di muoversi e camminare.
Mi trovai nelle strade vuote, tra le ombre delle ciminiere, i gatti in amore, gli uccelli notturni urlanti che volano contro la luna.
Provai dei brividi lungo la schiena: non volevo ammetterlo, ma avevo paura.
Quella città quasi disabitata mi avvinghiava in una morsa letale: mi sentii perso dentro le strade tetre.
Nella fonderia si versava la colata ardente: brillavano di rosso i vetri delle finestre, si udivano le urla di richiamo degli operai.
Quello era il luogo più simile all'inferno che aveva immaginato.
Fui curioso e cercai di sbirciare le fatiche di quei fonditori: erano semi-nudi, con i muscoli a fil di pelle.
Avevano lunghe aste, che usavano come attizza fuoco, avevano
pale per sospingere, indirizzare il flusso del metallo fuso.
Me ne andai: non capivo tutta quella fatica per pochi denari.
Non comprendevo il bisogno di avere una moglie e dei figli.
Io ero senza lacci, né doveri, né regole.
Mi coricai nel prato umido: ero troppo stanco per cercare un luogo riparato.
Mi addormentai e all'alba fui sorpreso dalla pioggia.
Mi asciugai il viso, mi tolsi il fango dagli abiti.
Mi risedetti allibito. non ero più nella città, ma lungo una via trafficata da auto.
Cercai una spiegazione logica, mi ero allontanato senza accorgermi, ero stato trasportato lì nel sonno.
Chiesi a un contadino: -Dove si trova la vecchia zona industriale
di Infern?-
-Di che parli? Non esiste più da cinquantanni! Fu distrutta dai bombardamenti e poi le ruspe ripulirono tutto!-
Ora ho capito! So che luogo fosse quello, so chi fossero quegli operai: lì terminerà il mio migrare.


racconto di Arduino Rossi