L'ISOLA TRA I CANNETI
I salici piangenti
riversavano le loro foglie nell'acqua paludosa. La barca scivolava
appena sulla superficie dello scuro lago: il luogo dove i due fiumi
terminavano e si perdevano nella pianura, tra serpenti, molli terreni
umidi, pantano, arbusti spinosi.
L'unico tratto solido,
che si ergeva sopra quel piatto panorama lacustre era l'isola dei
canneti: una montagnola coperta da alberi secolari che alzavano le
braccia contro un cielo sempre plumbeo. Il pescatore ormai era
rassegnato: c'erano costati molti sforzi per convincerlo a
traghettarci sino all'isola.
Non era una questione
di denaro, non volle neppure il dovuto:
-Non posso essere
pagato da chi sta per morire!-
Era un vecchio
superstizioso: era certo che quella fosse l'isola dei venti delle
tenebre, degli antichi sussurri dal fondo del lago, dove, si dice, un
tempo si gettassero i cadaveri dei nemici.
Le leggende
raccontavano che talvolta gli spettri uscissero e tagliassero l'aria
con sibili acutissimi. Narravano di battaglie feroci tra i montanari
e gli abitanti della pianura: i primi scendevano a saccheggiare, i
secondi cercavano di difendere i loro villaggi. I morti e i moribondi
finivano inghiottiti dalle sabbie mobili, dal fango denso di quella
palude, chiamata lago solo per l'orgoglio della gente: vedevano in
quella mota ripugnante la propria terra di cui andar fieri.
Sui libri e sui
documenti antichi non si riferiva di questi combattimenti feroci e
crudeli: di capi tanto sadici da far affogare i vinti nell'acqua
putrida, di guerrieri fatti a pezzi e gettati ai porci. Noi invece
eravamo certi che qualcosa di vero ci fosse stato: il ritrovamento di
qualche vaso di terra cotta, di monete d'oro sconosciute, di
iscrizioni sulle rare pietre, ci avevano fatto intestardire.
Le nostre convinzioni
si erano radicate benché i grandi esperti di archeologia ci avevano
deriso: non poteva esserci stata una battaglia campale in un luogo
così lontano dalle principali vie di comunicazioni, tra paludi da
sempre poco abitate. Non c'era motivo: gli eserciti più potenti del
passato difficilmente si sarebbero confrontati nel lercio di una
palude distante dalle grandi città, dai punti strategici.
L'isola tra i canneti
doveva contenere qualche grosso segreto: forse la tomba di un capo, o
i cumuli dei caduti tra i vincitori. Il pescatore ficcò il lungo
remo dentro il fango e legò la barca: ci aiutò a scendere sulla
stretta spiaggia.
Ci guardò scuotendo
il capo. Si allontanò verso il sole del tramonto, muovendo con
sicurezza il lungo remo, andandosene come in un sogno, come un
Caronte gigantesco che sfugge tra gli umori bassi dell'orizzonte
sfocato.
Eravamo finalmente
soli, con le nostre attrezzature, la tenda e i viveri per tre
settimane. Volevamo restare lì il più possibile, anche mesi: il
pescatore ci avrebbe portato viveri freschi ogni settimana e noi non
avremmo sospeso i nostri scavi.
Era una questione di
prestigio, d'onore: quella doveva essere la più importante scoperta
archeologica dell'anno.
Anna, mia moglie, fece
il primo giro di perlustrazione dell'isola, mentre io montai la
tenda. Lei tornò entusiasta: -Sono certa! Questa non è un cumulo
naturale di sedimenti, ma un ammasso di terriccio, o altro, creato
apposta dall'uomo!-
Non volli
contraddirla, benché dubitassi che centinaia di servi o di
prigionieri di guerra avessero potuto fare un lavoro simile: nella
regione non c'erano opere di tale dimensione. Sarebbe stato un'enorme
monumento funebre, troppo grande per le popolazioni dell'epoca.
Dormimmo
tranquillamente, avevamo tutto contro le zanzare.
Di spettri nemmeno un
flebile sussurro: quegli sciocchi degli abitanti della palude erano
sicuramente dei visionari, forse per le febbri malariche.
La ricerca partì da
una pietra con diverse iscrizioni incomprensibili. Cercammo di
interpretare la forma dell'isola e individuare dove fosse stata
collocata l'apertura dell'eventuale mausoleo, della cui esistenza
Anna era certa: -Non capisci nulla! Non vedi che non ci sono altri
depositi di sedimenti nella zona.-
Decidemmo di fare i
primi scavi: la terra era molle come il burro e fu facile scendere
per alcuni metri nel terreno.
Non trovammo niente e
il terzo giorno ero deciso a rinunciare a quel lavoro che si
dimostrava totalmente infruttuoso.
Fu la notte successiva
invece che la faccenda prese una strana svolta: fui svegliato dal
verso di un animale ferito, non compresi di che specie fosse.
Mi rigirai nella mia
brandina senza poter riprendere sonno, allora decisi di uscire e
respirare un po' di aria fresca: avevo caldo, mi mancava l'aria.
Udii diversi versi
nella notte, piccole bestie strisciavano, altre gracidavano: la
natura era nel pieno del suo vigore.
C'era un vento tiepido
e fetido, c'erano poche stelle in cielo.
Era tutto tranquillo,
ma io mi sentivo osservato: ero certo che mille occhi mi fissassero
ed erano sguardi cattivi di esseri feroci. Anna dormiva tranquilla e
non volli svegliarla, ma non ne potei più: avanzai nella macchia per
alcuni metri sino a quando notai una luce, c'era qualcuno.
Dedussi che fossero
dei cacciatori rifugiatisi tra i canneti per la notte, in attesa
della selvaggina.
Dopo un po' quel
bagliore iniziò a diventare più intenso: salii sino alla lapide
iscritta, da dove pare avesse origine. Quando arrivai non c'era più
nulla, ma mi accorsi per la prima volta, pur essendo buio, che la
pietra si poteva muovere facilmente: bastava una spinta decisa.
La spostai e vi trovai
una cunicolo scavato dall'uomo, che scendeva con gradini ancora
percorribili. Non attesi l'alba e mi avventurai dentro con la mia
torcia: quella era sicuramente una tomba e lì avevano deposto un
guerriero valoroso o un capo. Infatti scorsi il sarcofago
perfettamente sigillato, attrezzi di pietra e i resti di armi di
ferro, il cui segno arrugginito era ancora presente sulle pareti.
Avevamo vinto! Io e
Anna avevamo finalmente fatto una grande scoperta. Uscii ansimando e
corsi alla tenda. Lei dormiva ancora, la svegliai: -Cara! Ho trovato
una sepoltura!- -Claudio, sei impazzito? Avrai sognato!-La scossi e
la costrinsi a levarsi: le narrai come la fortuna mi avesse aiutato e
insieme ci inerpicammo
sino alla vetta del
cumulo. Con le nostre torce potemmo notare anche i resti di pitture
murali con guerrieri vincitori, prigionieri e fiamme. Anna era
confusa, non pareva soddisfatta: -Siamo certi che ci conviene
rimanere qua, per di più di notte?-
-Ti lasci influenzare?
Stai diventando superstiziosa come questi
rozzi abitanti dei
canneti?-
-Ascolta! C'è
qualcuno qui vicino. Senti questi fruscii!-
Anna era veramente
molto stanca: quelli erano i soliti rumori della notte che la
fantasia amplificava.
Io non persi tempo e
mi accanii sul sarcofago: avevo uno scalpello e un martello. Non
andai tanto per il sottile, cercai di far saltare il coperchio: non
era un metodo professionale, ma la fretta di scoprire il segreto di
quella magnifica, unica,
scoperta archeologica
mi aveva fatto perdere il buon senso. Anna strillò: -Fermati,
disgraziato! Ci stanno sentendo, stanno giungendo!-
Qualcosa non andava
nella mente di mia moglie: gli anni di studi e di scavi avevano
lasciato in lei il segno: forse era uscita di senno e io non me ne
ero accorto in tempo.
Comunque avevamo
bisogno di riposo tutte e due: eravamo esausti.
Lei mi si strinse alle
spalle, era disperata: -Caro! Andiamocene subito! Non dobbiamo
svelare questo segreto o sarà peggio per noi!-
-Calmati! Va tutto
bene! Hai bisogno di una lunga vacanza e basta.-
A quel punto mi
accorsi che attorno a noi c'era qualcosa di cattivo, di feroce: mille
occhi brillavano nella caverna e udii il sogghigno di molti esseri.
Erano loro! I guerrieri che erano stati posti a difesa della tomba
del capo, sacrificati perla gloria del più grande condottiero del
loro popolo.
Provai schifo e
terrore: erano entità ripugnanti e malsane, assetate di putridume e
sangue. Non le vedevo, non le sentivo, ma c'erano ed ero certo che
per me e Anna non esisteva più salvezza. Infatti il sarcofago iniziò
a scricchiolare. Lui, il magnifico Signore delle genti delle paludi,
il perfido torturatore, il maligno, il sanguinario, il vincitore di
mille battaglie, morto per un traditore, si stava alzando per darci
il suo particolare benvenuto.
-I cadaveri dei due
archeologi dilettanti, Claudio e Anna Fillì, sono stati ritrovati da
due cacciatori nel pantano della palude del morto, luogo dove altre
persone in passato anno perso la vita.
Si è convinti che un
maniaco colpisce chi si azzarda a sostare sull'isola del guerriero,
approfittandosene dei timori superstiziosi della popolazione locale.
La gente del posto è certa che le anime dannate degli antichi
guerrieri della palude aggrediscono i forestieri e li gettino nel
fango con un sigillo stretto tra le dita: è l'antico simbolo dei
guerrieri dei pantani, che un tempo infestavano le rive del lago.-
racconto di Arduino Rossi