11 set 2012

storie di paura ....LA LUPA









LA LUPA

Era una creatura dei boschi, selvaggia e folle o così si narra di lei: era considerata la belva.
Era nata in una casupola al confine della foresta: i suoi genitori erano dei montanari induriti dal clima e dalla solitudine.
Chiacchieravano poco e badavano a racimolare a fatica quel tanto di polenta, di patate che bastava alla famiglia.
Erano persone senza religione né dignità umana: le bestie e le persone erano uguali per loro.
I figli crescevano arrangiandosi, senza battesimo, senza sapere che l'acqua serve per lavarsi.
Si rubavano il cibo che i genitori gettavano a loro e i più robusti sopravvivevano.
Lei era la più piccola, la più decisa, ma anche la più rabbiosa: sapeva mordere con ferocia, graffiava come una gatta selvatica.
Cresceva con quella salute incredibile che solo chi vive all'aperto ha.
Ben presto si distaccò dalla famiglia e si diresse sempre più nella boscaglia, a caccia di lucertole, uova, lepri catturate con le tagliole.
Era bravissima nel preparare e collocare i lacci, nel colpire gli uccelli in volo con la fionda.
Era una cacciatrice temuta, ammirata, ambita.
C'era chi non si sarebbe fatto scrupolo di prenderla, catturarla, farsene la proprio preda, ma la lupa sapeva come evitarli, poi non si sarebbe lasciata abusare.
Eppure c'era uno che non desisteva, voleva prenderla, farne la sua donna, la sua serva, addomesticarla, così affermava.
Cercò con tranelli, lacci, ma la Lupa li evitava sempre: aveva l'istinto delle belve che percepiscono il pericolo.
Lui tentò addirittura di inseguirla, ma si beccò una pietra lanciata dalla fionda sulla spalla: se l'avesse colpito in testa l'avrebbe ucciso.
Il cacciatore era più che convinto: riprese a mettere trappole e a pedinarla, a seguirla con i cani.
Di lei sapeva tutto, dove dormiva, dove beveva e si rinfrescava, dove accumulava scorte per l'inverno.
Finalmente la intravvide, prese la mira con l'arco e scoccò la freccia soporifera.
Non mirò per uccidere ma per ferire: le prese una coscia.
Lupa si tolse il dardo.
Era distante, ma lui corse con un forsennato per raggiungerla: lei era confusa, la mente si offuscava, ma resisteva.
Fuggiva senza sapere che non aveva scampo.
Il cacciatore la vide al suolo: era addormentata in quel sonno ansimante degli animaletti feriti.
Lui la legò e se la pose sulle spalle: non pesava, per il cacciatore era un piacere.
La portò sino alla sua baracca e lì la tenne in una gabbia: le gettò dell'acqua per svegliarla e iniziò il lavoro di addomesticamento.
Incominciò con il cibo, ma lei lo rifiutò.
La stuzzicò con un bastone, ma lei strillava, mugugnava, o non reagiva.
A quel punto il cacciatore doveva prendere una decisione: liberarla per lasciarla vivere o assistere alla sua agonia.
La bella belva boccheggiava, aveva tremiti improvvisi.
Il cacciatore era indeciso, poi spalancò la gabbia: Lupa stava spirando, la decisione giusta era giunta troppo tardi.
Lui si era accorto che quella creatura splendida anche in quelle pietose condizioni, non poteva essere tenuta in cattività.
I sudati capelli neri si erano incollati al viso candido, gli occhi tristi, scuri si stavano coprendo di un velo di lacrime.
Lui le accarezzo il capo come fosse un buon papà.
La seppellì nei pressi della sua casupola, piangendo per la sua sciocchezza: aveva preteso di imprigionare il vento, ma questo era morto.
Per anni udì il fruscio leggero dei passi di Lupa, il suo canto stridulo, il suo fischio da belva selvaggia.


racconto di Arduino Rossi