10 set 2012

horror ...IL GUERRIERO











IL GUERRIERO

Ci trovavamo all'aperto, per dialogare tra amici: nella piazza, accanto al cimitero, lontano dal borgo, nei prati.
Ogni luogo era valido e restavamo delle ore a chiacchierare, a scherzare, a borbottare.
Le ragazze erano l'argomento principale, poi c'era il lavoro: i campi da coltivare, le attività artigianali.
Invidia, stima, rancori e amicizia si confondevano, ma su tutto regnava le fedeltà al borgo di appartenenza e il cameratismo della giovinezza.
I raccolti erano buoni e nessuno soffriva la fame.
La serenità era diffusa e non c'erano timori, né pericoli: gli usci di casa erano socchiusi, i furti erano sconosciuti, le liti, le risse erano rare.
Si viveva in pace, ma un grande pericolo saliva dalla valle: un esercito invasore, di barbari feroci attaccava i villaggi.
Li saccheggiava, rapiva donne e ragazzi per farne dei servi.
Non osavo assediare i castelli, le rocche, o scontrarsi con le truppe ben armate, ma solo le milizie contadine, le fattorie isolate erano le loro prede.
Erano cavalieri abili, furbi, coraggiosi, decisi: arrivavano e compivano i loro crimini in pochissimo tempo, svanivano nei campi, nella boscaglia, quando giungevano i rinforzi degli altri villaggi.
Noi eravamo in alto e li avremmo visti salire, se avessero osato avanzare lungo la valle.
Invece si arrampicarono in piccoli gruppi dai monti, poi scesero tutti assieme, incendiando i casolari isolati, le baite sino alla prima abitazioni del villaggio.
Mi svegliarono le urla disperate della gente che fuggiva, delle donne seminude, inseguite da questi bruti, piccoli, scuri, dall'odore fetido.
Erano veri diavoli: agili e feroci, abili con le spade, precisi con le frecce.
Chi si opponeva non aveva scampo.
Il borgo bruciava, chi poteva si rifugiava nei boschi, io decisi di vendere cara la pelle.
Avevo una vecchia spada, forse appartenuta a mio nonno, mercenario, frecce per la caccia e una lancia.
Scoccai con precisione i primi dardi: caddero almeno sei assalitori, morti o moribondi.
Quelli non scherzavano e mi circondarono: volevano vendicarsi per le inaspettate perdite, mi ferirono per avermi in pugno ancora vivo.
Ero stato colpito agli arti dalle loro frecce, così non avrei potuto reagire, mi trascinarono sulla piazza legata e lì mi colpirono con le loro lance, le loro spade con cattiveria, ma mai nei punti vitali: dovevo vivere il più possibile.
Seppi ancora nuocere e ne lasciai a terra diversi, con le gole tagliate.
Il loro sadismo non servì: il sangue perso mi aveva reso fiacco,
spirai quasi subito.
Sul mio borgo crebbero gli sterpi, tutto fu coperto dalla vegetazione e pure le pietre scomparvero sotto le ortiche.
Non c'erano tracce del nostro passato, del mio eroismo vano.
Allora decisi di restare a vegliare, a difendere, sino alla fine dei tempi, la mia casa, le ossa dei miei cari, celate nella fossa comune, scavata da gente pietosa.
Tutte le notti soffia un vento freddo nel bosco del "Guerriero":
così fu chiamata quella selva tutta buche, crepacci, rocce, ruderi.
Io sono lì, con la mia spada, il mio arco e le frecce.
In molti mi hanno scorto, tanti sono fuggiti, altri hanno cercato di capire, sapere, ponendomi domande a cui non risposi.
La luce dell'alba mi scioglie e così posso tornare a riposare.
Io sono il guerriero triste, colui che vigila sui ricordi dei defunti: guai a coloro che cercano di commettere atti sacrileghi con i nostri resti mortali, vittime della brutalità di un tempo passato.

racconto di Arduino Rossi