10 set 2012

news fantasmi .... LA DIMORA








LA DIMORA

Il fuoco bruciava lentamente il tronco antico quasi con compiacimento, nel largo camino.
Il vecchio si scaldava e fissava le fiamme che lambivano la cappa fumaria, scura come il suo umore.
La vecchia poltrona aveva ormai la stoffa logorata dal continuo agitarsi di generazioni di signori del palazzo.
Il vecchio trascorreva le notti sempre accanto al fuoco e lasciava che tutto scorresse attorno a sé: le voci, i sussurri, gli ululati spezzavano il nero della notte.
Il morire era dolce per chi aveva conosciuto il dolore dell'esistenza, ma la grande consolatrice non si degnava di venire da lui, il Signore delle mille terre, padrone della vallata rossa, dei colli azzurri dell'orizzonte, delle paludi molli e fangose, delle montagne brune con le rocce nere, sino alle cime perse tra le nubi.
Tutto ciò che si vedeva attorno era suo: il castello di granito era alto sopra la pianura umida, era forte e circondato dagli umori umidi della foresta che lo cingeva.
Il vecchio era stato un feroce feudatario: i contadini lo temevano come un diavolo.
Non aveva rispetto né della religione né dell'Inferno: strappava il cuore ai ribelli e lo gettava nelle fiamme, bruciava gli occhi a chi non abbassava lo sguardo in sua presenza.
Il fuoco bruciava nel petto del Signore: l'odio era da sempre l'unico sentimento.
Era furioso, arcigno: urlava, bastonava i servi per un nonnulla.
Le sue terre fruttavano molte ricchezze, l'ordine severissimo regnava: nessuno osava disobbedire e i contadini portavano al Signore il dovuto, secondo le leggi non scritte del feudo.
Le forche e le ruote della tortura erano sempre occupate dai cadaveri dei condannati a morte.
Di briganti in tutti i territori del Conte non si trovava neppure il ricordo: l'ultimo fu impiccato decenni prima e la sua fine fu così terribile da essere di esempio a molti.
L'ospite entrò nella sala del grande camino, leggero come un'ombra, scivolò rapido sino alle spalle del Conte: -Ti attendevo! Ti seguirò dove vuoi tu.-
L'intruso non rispose e rimase in piedi, avvolto nel mantello,
indifferente al calore del fuoco.
Il Conte gli porse una coppa divino, ma quello la rifiutò.
Il Conte sorrise, ma l'amarezza piegarono le labbra in una smorfia: -Sei venuto a riscuotere ciò che ti devo? E' la fine per la mia stirpe, sono l'ultimo. Sei soddisfatto? Sei dispiaciuto?......
Taci sempre!..... Pure io odio le parole, il chiasso e chi parla troppo.
In questa sala, quando ero un ragazzo ci furono delle feste: le dame e i cavalieri danzavano al suono dei pifferi, dei tamburi, delle ghironde. Io ti scorgevo aggirarti tra i convitati: solo io ti vedevo e sapevo cosa volevi tra quei festaioli.
Quando ti ponevi accanto a qualche vittima, come un corvo appollaiato sopra una carogna, il disgraziato aveva poco tempo da vivere. La sua ombra si confondeva con te, ombra nera, spettro, belva da sempre affamata.
Ti invitai in camera mia e assieme facemmo un patto: sarei divenuto l'erede di tutto, ultimo Conte delle mille terre, tutto sarebbe stato mio, dai monti innevati alle paludi, sino al bagnasciuga.
Sarei stato l'ultimo ad andarmene con te oltre le colline delle tenebre, quando il sole tramonta per non più sorgere.
Sei stato il mio unico amico fedele, non fui mai ingannato da te.
Per questo ti lascio erede di tutto il mio patrimonio e così sarà sino alla fine dei tempi, quando tu morirai.-

Così l'angelo nero, l'angelo della morte divenne Signore di un possente castello di dura roccia.
Un luogo sulla terra per riposare, lasciando per qualche ora ancora le anime morte, prima di condurle alla loro eterna dimora.
E' un luogo dove i muri risuonavano di singhiozzi, di rimpianti e
di rimorsi, ormai tardivi.

racconto di Arduino Rossi