10 set 2012

horror ...... IL POZZO









IL POZZO

Era stato scavato in altri tempi, quando l'acqua era abbondante e bastava scendere pochi metri sotto terra per arrivare alla falda
acquifera: ora le lunghe siccità avevano insecchito il vecchio pozzo ed era necessario scendere molto per dare un po' di acqua fangosa, dal sapore forte, al paese.
Noi ragazzini ci calavamo attraverso una fessura del terreno, eravamo piccoli e magri, seguivamo dei gradini ai bordi sino al fondo duro e arido.
Pure io vi discesi varie volte senza mai rintracciare quella porta, che secondo la leggenda raccontata nel villaggio, fosse quella dell'inferno.
Era divertente avvicinarsi al pozzo, nonostante i rimproveri degli adulti, poi celarsi dove i grandi non sarebbero passati e aspettare la sera, risalire rapidamente, temendo la notte e le sculacciate delle mamme.
Era un gioco ardito, rischiavamo di cadere per alcuni metri dai gradini scivolosi.
Ero il più spavaldo dei bambini del gruppo che vivevamo come animaletti selvatici dalla mattina alla sera in cerca di uova di uccello, dispettosi, violenti, anche cattivelli.
Per dimostrare il mio coraggio ed essere riconosciuto senza ombra di dubbio come capo banda, decisi di entrare solo nel pozzo e di trascorrere la notte con due candele rubate in chiesa, un po' di pane, uno straccio come coperta.
Benché l'età dell'incoscienza e la spavalderia dell'epoca mi dava
la certezza che avrei potuto affrontare anche il diavolo, quando i miei amici mi lasciarono solo io tremai come un bambinetto spaurito.
Pensai: -Che sciocco che sono stato!-
Ero quasi deciso a tornare in superficie, ma la vergogna che avrei provato sarebbe stata troppo forte e rimasi, fissando con angoscia ogni ombra che si muoveva per il tremolio della fiammella della candela.
La notte avanzava, ma io non potevo sapere che ore fossero, non avevo orologio, né il cielo stellato sopra di me, con la luna che calava e sorgeva.
Iniziai a percepire fruscii, tonfi lontani e sotterranei, rumori che diventarono sempre più forti e distinguibili.
Le candele si consumavano rapidamente e non sarebbero bastate per tutta la notte, ma una luminosità lieve stava invadendo il fondo del pozzo: era una luce rossastra, che aveva piccoli bagliori ed era accompagnata da risolini striduli.
Era una maledetta situazione e capii che certamente qualcosa sarebbe avvenuto, ma non di buono o di bello: i rumori stavano diventando dei frastuoni, i sussurri in voci e lamenti, bestemmie e richieste di pietà.
Con sorpresa scoprii che si era aperta una porta nella roccia, ben illuminata e decisi di capire cosa stesse accadendo.
Camminai lungo una galleria per alcuni chilometri, poi scesi verso il centro di una sala vuota, attraverso stretti sentieri, inerpicata lungo le pareti immensi di una voragine profondissima.
Tutto era costellato da torri appuntite che sbucavano dal buio e su ogni punta c'era una figura oscena, ripugnante: pareva il tetto di una cattedrale gotica, ma dalla forma imprecisa, dal gusto rozzo, zeppo di immagini diaboliche.
Ero deciso, proseguii lungo la pericolosa via e la curiosità aveva il sopravvento sul buon senso, sul timore.
Ero certo di essere più furbo del Diavolo e forse lo ero.
Le urla di dolore crebbero, ma non riuscivo a vedere nessuno: le tenebre continuavano a celare una scena che si deduceva mostruosa.
Una voce mi sorpresa alle spalle: -Guarda questo moccioso che sta facendo! Si crede scaltro!-
Era un omone scuro e sporco, dalla pelle rugosa e bluastra: era una vera apparizione infernale, qualcosa che oggi mi farebbe svanire per lo spavento, ma allora ero così incosciente che gli sorrisi: -Che ne dici di mostrarmi il paesaggio!-
-Per chi mi hai preso! per una guida turistica! Lo sai cosa c'è là?-
Feci il falso ingenuo: -Non so! Dimmi?-
Quello si infuriò e mi afferrò la testa, spingendomi verso la voragine, trattenendomi a stento dal farmi precipitare: -Non fare lo spiritoso con noi! Hai capito?-
Fui d'accordo e lo assecondai, mi fece scendere ancora qualche
metro e poi mi pose in cima a una guglia: -Ecco resta lì! Se resisterai alla visione tornerai sulla terra, altrimenti sarai nostro ospite per sempre!-
Dopo un po' il buio si sciolse come nebbia al sole e fu facile per me intravvedere le ombre prendere forma in persone, in larve spettrali che si agitavano tra fiamme, sangue, escrementi, torture inimmaginabili.
I poveretti non morivano e rimanevano per sempre vivi, o quanto meno coscienti della loro condizione.
Certamente rimasi scioccato, ma persi il completo controllo di me, ebbi la forza di ridere, fortissimo, a tal punto qualche disgraziato si accorse di me: -Vieni qui, che le tue risate saranno fragorose!-
Erano furiosi perché si sentivano derisi da un moccioso.
La testa mi girava, il fetore di morte e di putrido era insopportabile, il caldo era incredibile, stavo per cedere: sarei precipitato nella bolgia infernale, tra orrori e tormenti, quando ebbi l'istintiva reazione della preda in trappola.
Feci un salto sino al bordo del sentiero.
Fui presto salvo, ma i diavoli, foschi come il buio mi inseguivano: erano decisi a non lasciarmi scappare, sarei stato un testimone indesiderato, scomodo del loro mondo.
Sapevo che l'alba non era lontana e continuai a salire, arrampicarmi senza mai sbucare nel pozzo.
Non so cosa capitò, ma alla fine mi trovai sul prato, accanto alla bocca del pozzo: i miei amici erano lì e tentavano di rinvenirmi da ore.
Erano curiosi, ma io non dissi nulla: rimasi in silenzio per giorni interi.
Mi ero piazzato in fondo alla chiesa e il sagrestano mi mandava via alla sera in malo modo: non capiva perché trascorressi le mie giornate in un angolo al buio di una cappelletta, borbottando come un mentecatto frasi sconnesse.
I miei compagni mi martellarono di domande per settimane poi si stancarono, convinti che qualcosa mi avesse fatto uscire di senno: tornarono ai loro giochi e non sceso più nel pozzo.
Io ricominciai la mia vita, ma non ero più lo stesso: ero spesso mogio, non reagivo alle provocazioni dei compagni.
Qualcosa in me si era spezzato, ma non ero diventato un folle.
Finalmente decisi di mostrare quello che il Diavolo mi aveva fatto.
I miei coetanei rimasero ammutoliti e fuggirono terrorizzati: un'enorme graffiata mi aveva segnato il petto e si era formato un tatuaggio, era il disegno di un diavolaccio sopra una guglia.
Fui lasciato solo da allora: per loro ero stato segnato da Satana e gli appartenevo per sempre.


racconto di Arduino Rossi