SOTTO IL SOLE DEL
MERIGGIO
Solo nel locale si
poteva resistere al caldo di quell'ora pomeridiana: si beveva
frullati a base di alcool e frutta, birra gelida in quantità. Da
anni non avevo un imbarco: l'ultimo era stato quando in porto c'era
ancora la banda dei contrabbandieri,
poi decimata dagli
arresti dell'ultimo decennio.
Mi consideravo ancora
un marinaio, nonostante il tempo trascorso a terra, nelle bettole,
nei bordelli. Non avevo più bisogno di farmi bruciare dalla
salsedine, farmi scavare il viso dal vento delle tempeste.
Non dovevo più
rischiare la pelle sulle vecchie caffettiere del mare: sugli scafi
zeppi di mercanzie di scarso valore, con il tanfo ripugnante delle
stive putride, dove tutto marcisce e si consuma, compreso l'anima. Di
soldi ne avevo parecchi, di amici pure, o almeno ne avrei avuti sino
a quando il mio denaro sarebbe durato e quello non terminava: in
molti mi avevano profetizzato che sarei rimasto senza un centesimo.
Invece non finivo mai di sperperare, di offrire a tutti, di
arricchire le prostitute del porto. In molti si chiedevano da dove
provenisse la mia ricchezza e quanto fosse grande.
Erano nate alcune
dicerie sul mio conto: si parlava di pirateria, di tesori nascosti,
sino alla classica superstizione dell'anima data al diavolo.
Comunque neppure il
mio denaro quel giorno poteva proteggermi dal sole eccezionale del
pomeriggio: i raggi solari picchiavano su tutto, sulla mia testa, sul
selciato, sui prati insecchiti, sulle reti e le barche all'asciutto.
L'odore di pesce fresco mi infastidiva di più del solito: l'aria era
immobile, i passanti pochi e assonnati.
Era là il mio amico:
mi stava attendendo, mi avrebbe dato la mia parte ancora una volta,
gli affari erano affari. Non parlò e mi fece
scivolare una manciata
di fogli da cento nella tasca dei pantaloni: mi sorrise con scherno e
si allontanò rapidamente. Per un mese me la sarei spassata, ma forse
sarebbe stato l'ultimo affare della mia vita: ero vecchio e mi sarei
ritirato.
La mia attività
segreta era quella di spia della polizia ed ero il migliore del mio
settore: andavo nei luoghi più malfamati e cercavo i malavitosi.
Pagavo da bere e dopo qualche bicchiere quelli iniziavano le
confidenze. Ero così abile a non farli sospettare che per anni ero
stato considerato una tomba, un compagnone innocuo, un balordo di cui
fidarsi, un bonaccione sincero. I tempi erano cambiati e i nuovi
delinquenti erano diventati più astuti, più attenti: da tempo ero
tenuto sotto controllo e rischiavo la pelle. Sapevo che la banda del
Portobasso si stava preparando a farmi pagare una soffiata alla
polizia, che era costata l'arresto di cinque loro componenti.
Infatti c'erano due
sicari che mi stavano attendendo: il primo era il capo e l'altro era
quello sciocco della sua guardia del corpo. Non avevo scampo.
Dove sarei fuggito? In
mare su una nave non era possibile: ero troppo vecchio e troppo
abituato alla vita di terra, placida e viziosa, per poter ancora
accettare la fatica del mare, Non avevo più gli anni per poter
godere gli spruzzi delle onde. Non sapevo più assaporare le albe, i
tramonti lunghi e piatti di giorni monotoni con solo il rullio dello
scafo di sottofondo.
Il capo banda si
accostò a me con calma, mi mise il braccio attorno alla vita, come
fossi una femmina. Mi sospinse verso le casupole degli scaricatori:
il luogo dove regnava lui con i suoi uomini, veri topi delle stive.
Il guarda spalla mi
fece sentire la punta del suo coltello nel fianco: -Vieni con noi,
schifoso!-
-Andiamo all'osteria?-
Il capo rise: -Sì!
Quella dell'inferno!-
Non avevo scampo, ma
dovevo tentare qualcosa, feci il finto tonto: -Ragazzi, siete
nervosi?-
-Non preoccuparti! Ci
calmeremo dopo averti sistemato una volta per tutte, lurida spia!-
-Che state
farneticando! Io ho sempre fatto gli affari mie!-
-Perché l'ispettore,
l'ultimo arrivato, il carogna, ti ha ficcato tutti questi soldi in
tasca?-
Mi avevano visto: quel
pivello di sbirro si era fatto pedinare e mi aveva rovinato.
Pensai: -E' giusto che
finisca così: sono sopravvissuto abbastanza e questi idioti mi
stanno togliendo la preoccupazione di una vecchiaia di stenti.-
Mi attendevo la
coltellata da un momento all'altro, poi mi avrebbero legato due
sacchi di cemento ai piedi e gettato in acqua: i pesci e il mare mi
avrebbero ben presto consumato. Più nessuno avrebbe sentito parlare
di Sandro il fortunato.
Il colpo finale
tardava ad arrivare e persi un po' la pazienza: -Decidetevi, lerci
individui! Finitela!-
Invece mi colpirono
con un pugno e allora fui io a reagire, rompendo i denti al capo con
un bastone che avevo trovato poco prima. Erano due idioti: invece di
concludere stavano ancora aspettando non si sa cosa e furono sorpresi
dalla mia reazione.
La guardia del corpo
tolse il coltello e mi ferì al ventre, ma non fu un colpo abile:
ebbi il tempo di estrarre il mio rasoio, che avevo sempre con me e me
ne servivo nelle risse. Gli tagliai la gola con un gesto deciso e me
ne andai stringendo le mani sulla mia ferita,
che sanguinava
abbondantemente. Sapevo che mi mancava poco a morire e nessuno mi
avrebbe soccorso. Mi spinsi sulla spiaggia, verso il bagnasciuga e lì
mi coricai, attendendo la mia morte.
Non sentivo più
l'afa, il sole era appena tiepido, poi provai freddo. Gli occhi si
stavano chiudendo, stavo perdendo i sensi.
Stavo crepando come un
cane randagio, senza la compassione delle comari, senza il soccorso
di un prete.
La mia anima era
sozza, era inutile chiedere perdono a Dio per il male fatto: avevo
colpe da poter essere schiacciato.
Ero della categoria
peggiore: anche per Lui ero un Giuda e si sa, noi rinnegati
venderemmo anche nostra madre per un po' di oro. Anche Gesù fu
tradito da uno di noi. Potevo solo provare schivo di ciò che ero
diventato e del mio mondo lurido, che stavo per lasciare. Il sole era
alto e mi accecava, il sudore colava sugli occhi e la vista era
confusa.
Lo vidi, era
terribile, ma non provai paura: era giunto apposta per portarmi con
sé.
Gli urlai: -Vattene!
Mi avrai solo quando il sole sarà calato oltre l'orizzonte! Lasciami
godere ancora la vista della mia baia, dove sono nato e cresciuto,
dove voglio morire, tra gli odori del porto vecchio.-
Quello sorrise e
scomparve. Avevo ancora qualche ora di vita, prima di dover
consegnare la mia animaccia al Diavolo. Finalmente un po' di brezza
dal mare mi portò il profumo delle onde, del vento al largo, dei
miei anni migliori, spesi in cerca di avventure e di belle donne. In
fondo la mia esistenza non era sempre stata il luridume degli ultimi
anni: ero stato bambino anch'io, giovane e onesto, che erano parole
strane e incomprensibili in un vecchio degenerato come me.
Stavo per pentirmi dei
miei peccati? Stavo per imbrogliare il Diavolo? Il pensiero mi
divertiva e provai a essere più scaltro del mio socio d'affari di
un'intera vita: pregai, faticando molto, ma alla fine fui addirittura
sincero.
Il timore della morte
stava causando una strana metamorfosi in me.
-All'alba la polizia
portuale ha rinvenuto il cadavere di Pauli Sandro: un fidato
informatore della gendarmeria. Sicuramente questa volta la vendetta
della malavita lo ha colpito. Il poveretto non è riuscito a sfuggire
al suo destino, tipico di tutti le spie del porto vecchio, da sempre
infestato dai peggiori criminali della città. In mano al morto è
stato ritrovato un fiore bianco, stupendo, di pura seta: si ritiene
che qualcuno abbia voluto fare un omaggio a questo vecchio
disprezzato da tutti, ma non si sa chi abbia voluto compiere un gesto
simile.
Si esclude totalmente
l'autenticità del racconto di alcuni ubriaconi: parlano di un
adolescente biondo, dal viso delicato e angelico, che è apparso,
secondo loro, dal nulla. Ha posto tra le mani del vecchio il fiore ed
è scomparso senza lasciare traccia.
Si tratta di una
leggenda del porto, rivissuta da qualche beone in vena di fantasie:
quando un grande peccatore si pente un angelo gli consegna, prima di
morire, un fiore candido, simbolo del perdono del Cielo.-
racconti di Arduino Rossi
racconti di Arduino Rossi