8 set 2012

Racconto ....LA VOLPE... di Arduino Rossi










LA VOLPE

Ero un esperto cacciatore: mi dilettavo nell'inseguire le prede sin dentro le grotte.
Cacciavo volpi, tassi, lepri.
C'erano ancora rari orsi, lupi, cerbiatti, cervi, nella mia zona, tra le mie colline.
Io avevo con me un bracco dalle lunghe orecchie, furbo e fedele: mi precedeva e si infilava in ogni anfratto per scovare la selvaggina.
Ogni tanto tardava in qualche tana: lo sentivo abbaiare da dentro qualche cavità, poi tornava sempre con qualcosa in bocca: un ramo, un sasso.
Io attendevo che il cane scovasse qualche animale e sparavo, con buona mira, colpendo quasi
sempre al primo colpo la preda.
Un giorno autunnale, con il cielo color del piombo, si intrufolò in una fessura stretta e fangosa: lì rimase parecchio tempo.
Io lo chiamai con la voce e con il fischietto, ma non dava più segno di vita, solo dopo un po' udii abbaiare lontano: mi sembrava sin dentro il cuore della montagna.
Non riusciva più a uscire: dovevo salvarlo e mi arrapicai sin alla bocca del diavolo, una larga apertura posta nella parete liscia e umida.
Ero ancora agile, ma soprattutto ero determinato: il mio cane era l'unico amico che mi era rimasto.
Avevo litigato con tutti in paese: ero un vero attacca brighe, avevo un carattere impossibile.
La mia natura irascibile era peggiorata quando avevo capito che tutti mi erano nemici, da quando mi ero rifiutato di assecondare il Conte, un uomo arrogante, ricco e senza avversari.
Era il vero padrone di quel maledetto mucchio di case di sassi e malta.
Io non mi inchinavo davanti a nulla e a nessuno: fui minacciato, aggredito dagli scagnozzi del Conte, fui denuncito e costretto a difendermi in un tribunale.
Me la cavai con un occhio pesto e un taglio di striscio al braccio.
Ebbi una piccola ammenda per un insulto.
Impararono a rispettarmi a loro spese: arrivai a porre il mio coltello alla gola del Conte e gli urlai nelle orecchie: -La prossima volta che cercherai di farmi assassinare ti consiglio di farlo bene. Se i tuoi scagnozzi sbagliassero, mi ferissero solo, ti giuro che questa lama entrerà nella tua gola.-
Mi lasciarono in pace e io non provocai l'ira del Signore di tutte le terre fertili della vallata.
Sapevo che prima o poi me l'avrebbero fatto pagare: ero un condannato a morte con la possibilità dell'ultima passeggiata.
Il mio cane mi aveva salvato da trappole, mi aveva avvisato dell'avvicinarsi degli scagnozzi del
conte:aveva abbaiato come un forsennato e io avevo preso a scoppiettatequei bulli da osteria.
Quell'animale era troppo importante per me, non ne potevo farne a meno: era l'unico essere vivente di cui mi fidavo.
I miei parenti mi avevano rinnegato, maledetto: avevo un caratteraccio, non sopportavo di essere contraddetto, non accettavo regolamenti di una vita civile.
L'entrata della grotta era stretta e alta: per fortuna ero magro e mi infilai, scivolando come una biscia tra le viscere della montagna.
Avevo con me una torcia, che accesi, appena mi trovai in un'ampia cavità, conosciuta come il buco della volpe.
Si raccontano tante sciocchezze sulla volpe: è una bestia infernale, tutta rossa come il fuoco, furba come il diavolo, anzi il diavolo in persona.
I superstiziosi miei compatrioti restavano alla larga da quel luogo: tutti sapevano che c'erano profonde gallerie, ampie grotte, vasti spazi sotterranei: si narrava di tesori nascosti da briganti, da ricchi che temevano gli eserciti di passaggio.
Io mi ero intruffolato da ragazo, ma non avevo scoato né la volpe, né l'oro.
Mi stavo avvicinando al mio cane, che latrava sempre più debolmente.
Lo raggiunsi finalmente: era immobilizzato da una frana.
Fu facile liberarlo dai sassi: non era ferito, ma molto spaventato, capii che un terrore terribile lo aveva preso.
Era stato fin all'ollora un cane coraggioso, non lo avevo mai visto così: era stato spaventato da qualcosa di terribile, eppure aveva affrontato orsi e lupi.
Gli parlai con tenerezza: -Non preoccuparti. Sono qua, ti farò uscire da questo luogo fetido e gelido.-
Mi sentivo spiato da qualcuno o qualcosa: percepivo degli occhi invisibili che mi spiavano: erano
occhi malvagi, feroci, da belva che osserva la sua preda.
Mi affrettai a uscire, ma il timore mi prese e persi l'orientamento: mi ficcai in diverse vie a fondo chiuso, poi scivolai dentro un tunnel viscido.
Io e il mio povero cane finimmo in un luogo avvolto a un silenzio minaccioso: non si sentiva neppure il solito giocciolio.
Appoggiai la mia cara bestia al suolo, la accarezzai e gli sussurrai: - Non avere paura.-
Il mio cane non osava neppure latrire, sentivo solo un mugugno lieve e timido.
Riaccesi la torcia e la luce mi mostrò una vasta cavità, vuota e dalle pareti lisce come quelle di una sala di marmo.
Era perfettamente vuota, senza sbocchi, né entrate, né uscite tranne quella da cui provenivo, praticamente impraticabile per un'eventuale ritorno sui miei passi.
Non sapevo cosa fosse, ma la vidi: era un essere simile a una volpe,ma tutto fuoco vivo, che velocissimo si avvicinava e si allontanava.
Era la volpe?
L'ambiente e la solitudine favoriva le allucinazioni.
Non badai a quella visione e mi misi in cerca di un'uscita: toccai le pareti fino a quando mi accorsi che c'era una pietra che si muoveva, la spinsi e finalmente fui libero: c'era un lungo corridoio e in fondo una luce.
Mi sentii salvo,ma tra i miei piedi c'era la volpe, che miostacolava il cammino: cercai di liberarmi, ma era decisa a non farmi arrivare verso l'uscita.
Feci un salto e raggiunsi lo spazio libero, o così credetti: fuori non c'era il sole, ma una grande luna che illuminava la boscaglia ed era di una terra a me sconosciuta: forse era la patria del vento e della notte.
Tutto era assurdo e non volevo entrare in quella che per la mia gente era la patria delle ombre, della morte, dei morti.
Io mi sentivo vivo, ero certamente vivo.
Il mio cane si riprese rapidamente eimprovvisamente, iniziò ad abbaiare contro l'invisibile.
Oltre c'era qualcosa o qualcuno che mi attendeva, il mio cane non era uno sciocco e non abbaiava per nulla: aveva visto, percepiva qualcosa.
sapevo che, se avessi oltrepassato la soglia di quella valle, non sarei più tornato tra i vivi.
La volpe infuocata iniziò a mostrare i suoi denti, il suo ghigno feroce e percepii delle risate: erano di là che mi attendevano, ma non mi avevano ancora: io non mi sarei arreso senza combattere.
Presi il mio fucile e sparai contro il nulla che mi minacciava, contro la volpe: i colpi rimbombarono e si persero nell'eco, sino a sfumare distanti.
Colpii la volpe con il calcio del fucile, lottai come un forsennato, ma la bestia di fuoco non aveva forma, né consistenza: era solo un'allucinazione, maledetta e assurda.
Presi il guinzaglio del mio cane, determinato ad andarmene dal mio incubo: li mio fidato animale era scomparso e una possente mano mi afferrò la spalla destra.
Mi girai immediatamente, ma non scorsi nulla: era una forza invisibile, che mi trascinava nella valle delle ombre.
Alla fine li vidi: erano loro, tutti i miei compari di avventura, gli amici più cari, che preso da improvvisa codardia, avevo venduto ai gendarmi per l'impunità.
Erano stati tutti impiccati, ma prima di morire avevano giurato che si sarebbero vendicati: lascia cadere il fucile e sospinto dalle loro braccia, dal fuoco della volpe alle spalle, scivolai tra le ombre, nel dolore profondo ed eterno.

Arduino Rossi