L’ALBERGO
Ero disoccupato da un mese e per me le cose si mettevano male: se non trovavo subito un lavoro rischiavo di finire sulla strada.
Odiavo lavorare di notte, amavo troppo dormire tranquillo nel mio letto, ma non potei rifiutare quella proposta: serviva un portiere per la notte in un alberghetto di periferia.
Accettai prontamente e mi presentai di sera per la prova: mi dettero le chiavi dei clienti, che sarebbero giunti dopo la mezzanotte.
Lo strano che io non dovevo controllare cosa avvenisse, chi entrava e usciva: bastava che richiedessero il numero della stanza per dover consegnare a loro le chiavi.
Così fu: tutto andò liscio, io non feci domande.
Vennero in trenta o quaranta individui, diversi per ceto, aspetto ed età: c’era il buon borghese, l’impiegato di basso livello, il commerciante sudato, l’operaio, il giovanotto con l’abito della festa.
Era un mondo variegato e tutti avevano volti più o meno tristi: dicevano un numero e io li accontentavo.
L’atrio della sala d’attesa era alto, ampio, con ritratti e fotografie di fisionomie d’altri tempi.
Mi alzavo e li scrutavo incuriosito: un’epoca morta faceva capolino in polverosi quadri ad olio, in quelle fotografie ingiallite.
Nobili impettiti, bambine vestite come bambole di porcellana, in vestine candite, ricamate, lussureggianti mi fissavano dall'alto.
Ritratti realistici di personaggi di fine Ottocento nei loro abiti buoni guardavano il vuoto.
Le notti trascorrevano nella flemmatica noia del mio lavoro insulso: non vedevo mai nessuno, non parlavo con nessuno.
Ormai le fotografie le conoscevo in ogni particolare, mi ero letto diversi libri e mi stavo facendo una cultura.
I clienti non facevano caso alle mie domande curiose e in pratica non sapevo chi stava in quel albergo: forse era un locale per incontri, forse un covo di sbandati, di viziosi o chi sa che altro.
Ero stanco di tutta quel mistero che aleggiava attorno a me: decisi di capire, togliermi qualche perplessità.
Salii le scale di granito, larghe e con il parapetto tornito e decorato con marmo rosa.
C’erano dei lunghissimi corridoi, che parevano infiniti, guardai sopra di me nella tromba delle scale e mi accorsi quanto fosse alto il palazzo dove stavo: in pratica non si scorgeva l’ultimo piano.
Mi parve tutto impossibile: lo stabile, visto dall’esterno, non era così alto.
Me ne tornai al mio bancone, richiamato dallo scampanellio di un nuovo arrivato: scesi le scale prontamente e fui disponibile per il mio servizio.
Era un giovane con lunghe basette, un abito anni sessanta, con pizzo e colori sgargianti.
Cercai di dialogare: -E’ una buona serata! Ci si può divertire.-
Non mi degnò di una risposta, ma solo di un sorriso sarcastico e sprezzante.
Non mi posi problemi, deducendo che i clienti fossero tutti un po’ snob.
Ricevetti il primo stipendio sotto il bancone, in una busta chiusa.
Sembrava tutto in regola, con un piccolo premio e un biglietto: -Ci raccomandiamo per la massima riservatezza nello svolgimento delle sue mansioni! Grazie!-
Forse avevano intuito la mia curiosità e così rimasi al piano terreno per alcune settimane, ma dovevo saperne di più: tornai di sopra e percorsi un corridoio, che non finiva mai.
Oltre le porte delle stanze non si udiva nemmeno respirare, poi da una percepii un brusio basso e fastidioso, intenso.
Sbirciai dal buco della serratura, ma c’era solo buio, mi sentii uno squallido guardone e mi decisi di evitare altre intrusioni.
Stavo per tornare al mio posto, quando alle spalle un omone, con la mia stessa divisa di dipendente dell’albergo, mi bloccò in malo modo, urlandomi nelle orecchie: -Lei deve restare al suo posto e non gironzolare nelle stanze. La paghiamo perché faccia il suo dovere!-
-Mi scusi! Avevo udito un rumore sospetto!-
Me ne scesi di corsa, senza voltarmi e mi sedetti scosso al mio bancone.
Quella notte i clienti furono tanti: erano sempre nuovi, erano volti mai visti.
Iniziai a preoccuparmi di nuovo: c’era qualcosa d’insolito in tutto quello che vedevo, le fogge degli abiti erano di paesi differenti, ma si era in una cittadina di provincia con pochi forestieri in giro per le strade.
Il personaggio che mi aveva assunto non si era fatto più vivo: mi lasciava la busta paga dentro il mio cassetto personale con qualche breve indicazione di servizio.
Tranne quel burbero inserviente dei piani superiori, non avevo incontrato altri dipendenti dell’albergo: volevo saperne di più, al costo di rischiare il licenziamento.
La mattina successiva mi recai negli uffici contabili dove c’era solo una donna delle pulizie, che mi disse –Iniziano a lavorare solo di sera, non c’è nessuno!-
Ero preoccupato e io n’approfittai di una porta aperta per intrufolarmi nelle stanze: non era nessuno, tutto era vuoto e regnava su ogni cosa una gran desolazione.
I mobili delle camere erano coperti da lenzuola, la polvere era tanta e le dimensioni dell’albergo erano normali, con solo una quarantina di camere.
La sera mi recai sul posto di lavoro e mi avventurai al primo piano: c’era sempre quel brusio fastidioso.
Mi misi ad ascoltare dietro ad una porta, che era socchiusa, sbirciai dentro e nella penombra vidi delle forme umane immobili, statuarie.
M’investii della parte del portiere di notte: -Tutto bene, Signori?-
Non ricevetti risposta, entrai e non trovai nessuno: parevano svaniti nel nulla, eppure li avevo visti bene.
Bussai alle altre porte, ma non ricevetti risposta, entrai e in tutte mi parvero queste sembianze che scomparivano appena mi avvicinavo.
Ero più che mai perplesso, quando una processione d’esseri evanescenti, quasi lumino si spinti da una forza misteriosa, riempirono il corridoio, mi circondarono sorridendo con labbra sottili ed esangui.
Avevano la tristezza solita dei miei clienti, gli occhi erano di chi aveva sofferto molto.
Preso dal terrore mi precipitai al mio bancone, dove trovai il padrone, colui che mi aveva assunto: -Ti avevo detto di non disturbare gli ospiti!-
Si tolse gli occhiali scuri e mostrò la sua bocca bianca e cattiva in una smorfia di rabbia trattenuta.
Ora faccio i miei affari, sono il guardiano di questo luogo e attendo i clienti: un giorno sarò anch'io uno di loro, ma per ora rimango al mio posto, indifferente al dolore di chi ha perso la vita ed è entrato nel ricovero delle ombre.
Arduino Rossi