11 set 2012

storie di paura storie ...L'AMANTE










L'AMANTE

Mi ero seduto tranquillamente in cima al colle che domina la valle.
Guardavo il panorama: c'erano i prati rigati dalle falci dei contadini, gli scuri boschi assomigliavano alle macchie verdi della tavolozza di un pittore.
Ero solito andare fin lassù per rammentarmi di lei, la mia amica e compagna di vita: avevo trascorso assieme cinquanta lunghissimi anni.
Non avevo avuto figli e fu una fortuna: il nostro non fu una convivenza per amore.
Lei si era unita a me per soldi.
Io invece la volevo perché era la più bella del villaggio: era alta, allora i capelli erano biondo ramati, gli occhi erano verdi.
Questo era ancora nulla: il suo sorriso sapeva estasiare, ammiccare, far bollire il sangue dentro.
Non l'amavo, ma l'avevo desiderata per il suo passo sinuoso, per il suo corpo elastico e provocante, specialmente quando camminava e si sentiva osservata.
Era una sgualdrina: io lo sapevo e non me ne importò quando la
volli con me.
Non mi sposai: avrei dovuto cederle metà del mio patrimonio in caso di separazione, ma rimasi con lei per tutti questi anni, restandole fedele.
Invece Elisa mi odiava, mi voleva solo come suo padrone, un amante con cui scambiare favori con doni.
La viziai facendola vivere nel lusso, nell'abbondanza.
Per me lei era una mia proprietà, un bellissimo oggetto di cui andar fiero.
Fui tradito, ingannato, deriso alle spalle.
Persi la mia reputazione: ero lo zimbello della valle.
A poco alla volta tutte le mie tenute furono vendute per accontentare i capricci di Elisa: io dicevo per vedere la luce
dei suoi occhi belli.
Mi stavo rovinando per una donna che ormai non era più lo splendore di un tempo.
Gli spasimanti e i suoi amori erano svaniti nei decenni: quel nostro legame, privato di tutti i fronzoli e le ipocrisie della giovinezza, divenne un inferno.
Cominciai a picchiarla: lei si ribellava come una cavalla furiosa, mi graffiava le guance.
Ci insultavamo, ci maledivamo, ma non riuscivamo a rimanere distanti: lei aveva bisogno di ciò che rimaneva delle mie ricchezze, io non mi sapevo liberare di quella passione feroce.
Elisa era mia, solo mia: più nessuno me l'avrebbe rubata.
Eravamo vecchi, lei era quasi cieca, io ero zeppo di acciacchi: ci sostenevamo come due superstiti di un mondo perduto.
Gli abiti sfarzosi di Elisa erano pezzi da museo.
Il mio modo di agire, serioso e accigliato da proprietario terriero, da gran Signore, era superato.
I ragazzi ci canzonavano, nelle bettole si rideva di noi: eravamo
vecchi e il nostro posto non era più su questa terra.
Fu Elisa a capirlo per prima.
La vita per lei non aveva più senso e mi confidò: -Ci siamo fatti del male tutta l'esistenza! Ora vorrei morire in pace! Lasciamoci!-
Era determinata ad abbandonarmi: la scongiurai, la pregai in ginocchio.
Lei preparò le valige per fuggire, ma io la fermai e le strinsi il collo sottile, sino a quando cadde al suolo.
Girovagai per il villaggio come un folle, poi mi preoccupai delle conseguenze del mio atto: la chiusi in un baule e la sotterrai in un giardino.
Non avevo molto da campare.
Ero gravemente malato, ma non mi avrebbero rinchiuso in un carcere negli ultimi giorni della mia misera vita.
Ora sono qui, dove la incontrai per la prima volta e non so cosa fare.
A casa non posso tornare: è stata venduta per pagare i debiti.
Non ho più nulla e cercherò un rifugio allo ospizio dei poveri, ma prima voglio dare un'occhiata alla valle, a ciò che un giorno fu mio: quasi tutto sino all'orizzonte.
Non mi importa di ciò che ho perso: vorrei vendere l'anima per poter rivedere Elisa.
-Il Conte Monti è stato rinvenuto deceduto nei pressi di quella che fu la sua villa.
Il guardiano sostiene che il poveretto pretendesse di entrare, ma
davanti al fermo rifiuto si era allontanato.
Poco dopo il Conte ruppe un vetro e penetrò nella villa deserta da una finestra.
Lì si udì litigare con una donna, che rideva istericamente come una forsennata, con malvagità e soddisfazione.
L'intervento del guardiano non risolse il mistero della voce femminile: c'era unicamente Monti nel salone delle feste ed era visibilmente preoccupato.
Aveva le guance sanguinanti per dei graffi profondi.
Fu allontanato e non oppose resistenza.
Fuori confidò al guardiano: -Elisa mi vuole con sé, per l'eternità!-
Appena fuori si accasciò a terra e fu vano ogni soccorso.
Tra le mani aveva una collana di perle, posseduta dalla sua compagna.
Fu forse l'ultimo dono del Conte alla sua amante.
Morì ripetendo con ossessione il nome Elisa.

racconto di Arduino Rossi