L'AMANTE
Mi ero seduto
tranquillamente in cima al colle che domina la valle.
Guardavo il panorama:
c'erano i prati rigati dalle falci dei contadini, gli scuri boschi
assomigliavano alle macchie verdi della tavolozza di un pittore.
Ero solito andare fin
lassù per rammentarmi di lei, la mia amica e compagna di vita: avevo
trascorso assieme cinquanta lunghissimi anni.
Non avevo avuto figli
e fu una fortuna: il nostro non fu una convivenza per amore.
Lei si era unita a me
per soldi.
Io invece la volevo
perché era la più bella del villaggio: era alta, allora i capelli
erano biondo ramati, gli occhi erano verdi.
Questo era ancora
nulla: il suo sorriso sapeva estasiare, ammiccare, far bollire il
sangue dentro.
Non l'amavo, ma
l'avevo desiderata per il suo passo sinuoso, per il suo corpo
elastico e provocante, specialmente quando camminava e si sentiva
osservata.
Era una sgualdrina: io
lo sapevo e non me ne importò quando la
volli con me.
Non mi sposai: avrei
dovuto cederle metà del mio patrimonio in caso di separazione, ma
rimasi con lei per tutti questi anni, restandole fedele.
Invece Elisa mi
odiava, mi voleva solo come suo padrone, un amante con cui scambiare
favori con doni.
La viziai facendola
vivere nel lusso, nell'abbondanza.
Per me lei era una mia
proprietà, un bellissimo oggetto di cui andar fiero.
Fui tradito,
ingannato, deriso alle spalle.
Persi la mia
reputazione: ero lo zimbello della valle.
A poco alla volta
tutte le mie tenute furono vendute per accontentare i capricci di
Elisa: io dicevo per vedere la luce
dei suoi occhi belli.
Mi stavo rovinando per
una donna che ormai non era più lo splendore di un tempo.
Gli spasimanti e i
suoi amori erano svaniti nei decenni: quel nostro legame, privato di
tutti i fronzoli e le ipocrisie della giovinezza, divenne un inferno.
Cominciai a
picchiarla: lei si ribellava come una cavalla furiosa, mi graffiava
le guance.
Ci insultavamo, ci
maledivamo, ma non riuscivamo a rimanere distanti: lei aveva bisogno
di ciò che rimaneva delle mie ricchezze, io non mi sapevo liberare
di quella passione feroce.
Elisa era mia, solo
mia: più nessuno me l'avrebbe rubata.
Eravamo vecchi, lei
era quasi cieca, io ero zeppo di acciacchi: ci sostenevamo come due
superstiti di un mondo perduto.
Gli abiti sfarzosi di
Elisa erano pezzi da museo.
Il mio modo di agire,
serioso e accigliato da proprietario terriero, da gran Signore, era
superato.
I ragazzi ci
canzonavano, nelle bettole si rideva di noi: eravamo
vecchi e il nostro
posto non era più su questa terra.
Fu Elisa a capirlo per
prima.
La vita per lei non
aveva più senso e mi confidò: -Ci siamo fatti del male tutta
l'esistenza! Ora vorrei morire in pace! Lasciamoci!-
Era determinata ad
abbandonarmi: la scongiurai, la pregai in ginocchio.
Lei preparò le valige
per fuggire, ma io la fermai e le strinsi il collo sottile, sino a
quando cadde al suolo.
Girovagai per il
villaggio come un folle, poi mi preoccupai delle conseguenze del mio
atto: la chiusi in un baule e la sotterrai in un giardino.
Non avevo molto da
campare.
Ero gravemente malato,
ma non mi avrebbero rinchiuso in un carcere negli ultimi giorni della
mia misera vita.
Ora sono qui, dove la
incontrai per la prima volta e non so cosa fare.
A casa non posso
tornare: è stata venduta per pagare i debiti.
Non ho più nulla e
cercherò un rifugio allo ospizio dei poveri, ma prima voglio dare
un'occhiata alla valle, a ciò che un giorno fu mio: quasi tutto sino
all'orizzonte.
Non mi importa di ciò
che ho perso: vorrei vendere l'anima per poter rivedere Elisa.
-Il Conte Monti è
stato rinvenuto deceduto nei pressi di quella che fu la sua villa.
Il guardiano sostiene
che il poveretto pretendesse di entrare, ma
davanti al fermo
rifiuto si era allontanato.
Poco dopo il Conte
ruppe un vetro e penetrò nella villa deserta da una finestra.
Lì si udì litigare
con una donna, che rideva istericamente come una forsennata, con
malvagità e soddisfazione.
L'intervento del
guardiano non risolse il mistero della voce femminile: c'era
unicamente Monti nel salone delle feste ed era visibilmente
preoccupato.
Aveva le guance
sanguinanti per dei graffi profondi.
Fu allontanato e non
oppose resistenza.
Fuori confidò al
guardiano: -Elisa mi vuole con sé, per l'eternità!-
Appena fuori si
accasciò a terra e fu vano ogni soccorso.
Tra le mani aveva una
collana di perle, posseduta dalla sua compagna.
Fu forse l'ultimo dono
del Conte alla sua amante.
Morì ripetendo con
ossessione il nome Elisa.
racconto di Arduino Rossi
racconto di Arduino Rossi