12 set 2012

storie maledette .. LA CACCIA DEL MORTO












LA CACCIA DEL MORTO

I cacciatori sono sempre stati i primi ad alzarsi alla domenica e quando la selvaggina era abbondante, ai tempi dei fucili ad avancarica, la passione era molta.
Non sempre tutti rispettavano la legge, l'onestà, la morale: capitava che qualcuno invadesse i campi, uccidesse animali domestici, provocasse danni alle persone, senza poi risarcire le vittime.
Le maledizioni contro questa categoria di appassionati, che sparavano ai guardia caccia, non erano sufficienti e anche dai pulpiti i parroci invitavano alla pace, al rispetto delle proprietà e delle persone.
Alder era uno spaccone di quelli che non ponevano limite alle loro affermazioni né alle loro azioni: i guardia caccia di tutta la valle lo ricercavano, ma non riuscivano mai a prenderlo sul fatto.
Alder era un bracconiere scaltro, agile e fortunato, ma fu scorto dal vecchio Andrea celare un cerbiatto sotto la vegetazione, per appropriarsene con tutta calma di notte.
L'aveva catturato con una trappola nella stagione di ripopolamento della fauna.
Il guardia caccia si avvicinò al manigoldo con cautela e alle spalle gli ordinò di abbassare l'arma.
Alder obbedì e alzò le mani: -Hai vinto, Andrea! Ora sarai soddisfatto e potrai condurmi in prigione!-
-Era ora che ti trovassi con le mani sulla preda e questa volta due anni di carcere non te li leveranno più!-
-Non essere sciocco, Andrea! Io uscirò di prigione e mi vendicherò!-
Andrea non era tipo da farsi intimorire: si accostò per legargli i polsi, togliergli il fucile e condurlo, facendolo camminare davanti a sé, sino alla caserma della forza pubblica.
Commise l'errore di non perquisire il bracconiere: si voltò di scatto, dopo essersi fermato per una finta distorsione alla caviglia, e ficcò il coltello nel petto del vecchio.
Andrea cadde a terra e dopo una breve agonia morì: fu sepolto nel bosco, ben celato per non permettere di ritrovarlo.
Le ricerche del guardia caccia furono inutili: Alder era stato troppo abile e il bosco non avrebbe mai restituito la salma del povero uomo onesto.
L'assassino non si pentì mai del suo delitto, proseguì nella sua esistenza errabonda, senza famiglia, senza affetti e morì di morte naturale, ormai anziano, solo come era vissuto.
Presto i valligiani si scordarono di lui: era uno dei tanti che erano campati ai margini della legalità, senza però essere dei fuorilegge, ricercati per crimini di particolare gravità.
Erano trascorsi anni quando di notte, in autunno, quando le foglie cadono e i cacciatori inseguono le loro prede, fu avvistato una bara che scivolava lungo i sentieri, preceduta e inseguita da cani feroci, irsuti, famelici, quasi lupi.
Il chiasso che provocava quel corteo era tale da svegliare gli abitanti delle cascine isolate e delle case ai margini dei villaggi.
Per decenni quella presenza fu notata e diversi terrorizzati testimoni dissero che quel funerale proseguiva sino all'alba, poi svaniva alle prime luci del sole.
Era necessario liberare la valle da quella presenza malefica: si diceva che avrebbe portato sfortuna, era il segno di dolore, delitti e sangue che avrebbero infestato i luoghi visitati dagli spettri.
Qualcuno avrebbe dovuto porsi di fronte al corteo macabro e fermarlo, chiedendo al morto nella cassa di alzarsi e dire ciò che voleva dai vivi.
Trovare un uomo simile, capace di affrontare gli spiriti dell'inferno, era quasi impossibile: non doveva essere uno che faceva un atto simile per denaro, né per scommessa, sarebbe morto di paura.
Doveva agire per generosità.
Solo un uomo era capace di far ciò, ma era troppo vecchio e ormai più vicino all'altro mondo che a questo: una delegazione di
notabili salì da lui cercando di farlo intervenire.
Egli era un vecchio cacciatore di spettri, aveva liberato di presenze malefiche le cascine, i cimiteri, i palazzi, i castelletti diroccati.
Alla vista di tanti signori importanti il vecchio si tolse il cappello e chiese cosa potava fare per loro.
Conosciuta la loro richiesta si schernì, dicendo: -Sono troppo avanti negli anni, sicuramente dei giovani sono più abili e più coraggiosi di me!-
-Tu sei il più esperto! Sai affrontare ogni tipo di spettro!-
Il cacciatore di fantasmi si mise a pensare e commentò: -Certamente qui c'è un orrendo crimine commesso da qualcuno! Un'anima morta vorrà porre riparo a qualche suo sbaglio in vita!-
Accettò e attese che la caccia del morto iniziasse: di giorno si udiva l'abbaiare dei cani e le fucilate dei cacciatori vivi, di notte, quando già la neve stava imbiancando le cime, si udiva il latrare macabro della caccia del morto.
Non c'era una logica apparente nel percorso della bara notturna: una volta era sui monti, giungeva sino alle vette, poi calava nel fondo valle e sfiorava i paesi senza mai entrarvi.
Ormai la montagna aveva lo stesso colore della barba e dei capelli del cacciatore di spiriti: la neve la copriva già, ma egli non si scansava dalla sua posizione.
L'attesa del vecchio dette frutto: una notte il corteo funesto incappò proprio sul sentiero dove il paziente vecchio vegliava, i cani infernali gli ringhiarono contro, ma inutilmente.
La bara si dovette arrestare e le belve si misero tutte in cerchio, ululando e minacciando, come lupi attorno alla loro preda.
Il cadavere era stato collocato in un letto di fiamme che non lo consumavano e lo illuminavano con una luce purpurea vivacissima.
Il rosso del fuoco brillava e risaltava sul nero del feretro.
I capelli corvini del cadavere erano lunghi e gli occhi erano violacei, tenebrosi.
Il dolore patito dal reprobo era incommensurabile, ma non c'era una sola smorfia di patimento sul suo volto da colpevole.
La mattina successiva il vecchio fu trovato piangente e confuso, ripeteva in continuazione: -Bisogna seppellirlo, al più presto, povera anima, povero galantuomo!-
Non narrò mai ciò che il dannato gli aveva rivelato né il suo nome, ma indicò unicamente il luogo dove era stato sotterrato il guardia caccia, che fu riconosciuto e restituito ai figli e ai nipoti, per una degna sepoltura.
Solo io scovai la prova che lo spettro della bara fosse Alder, fratello maggiore del cacciatore di fantasmi.
Tra diversi incartamenti di un santuario rinvenni una pergamena, dove si chiedeva perdono per l'assassino, condonandolo dal supplizio tremendo della bara in fiamme: il cacciatore morto avrebbe dovuto percorrere per l'eternità i viottoli che in vita aveva battuto, inseguendo la selvaggina.
ROSSO
Il paese di Santa Brigida, mollemente adagiato in una soleggiata apertura della valle Brembana, era da considerarsi fortunato: abbondava di acqua e di grassi pascoli, dove sostava il bestiame disceso dagli alpeggi.
Ad eccezione di Rosso gli abitanti erano tutte persone laboriose: la pecora nera da sempre sfaticata, che campava di rapina e di bracconaggio.
Egli vagabondava di vallata in vallata: deciso e inaspettato aggrediva le sue vittime poi, come un animale selvatico, si rifugiava nei boschi, bivaccando in qualche anfratto naturale.
Trascorreva l'inverno al paese e si nascondeva quando le guardie
lo ceravano; egli detestava quelle quattro case rustiche e ripeteva tra sé a denti stretti: -Paese di donnicciole e di buoi!-
I suoi compaesani, spesso vittime della sua brutalità, lo evitavano e i suoi arrivi erano preannunciati: -E' tornato Rosso! Che Dio ci salvi!-
Passava i periodi di riposo della sua attività, gendarmi permettendo, all'osteria di Santa Brigida.
Una domenica di settembre, a dispetto di tutti quelli che gli volevano male, beveva e imprecava: -Brutti idioti e buoni a nulla! Siete sempre qui a chiacchierare come servette!-
I compari di Rosso tacevano quando egli beveva troppo: -Ehi! Portatemi un altro mezzo litro di vino!-
Subito l'oste lo servì dicendogli: -Rosso! Oggi sei più in forma del solito!-
Egli si alzò provocando i presenti: -Io parto per la caccia! Non c'è foschia, voi andate pure alla Festa della Madonna!-
Attraversò il sagrato e guardò sogghignante la folla di fedeli: egli si eccitava trasgredendo le leggi di Dio e le tradizioni paesane.
Quel giorno Santa Brigida onorava solennemente la Madonna Addolorata: fu proprio durante quelle funzioni religiose che Rosso, da ragazzo, intraprese la sua carriera di farabutto.
Sua madre tentò invano di farlo ravvedere, ma le maniere buone non servivano e i modi severi lo rendevano più rabbioso: l'anima di Rosso era predisposta al male come la gazza al furto.
La vita in mezzo ai boschi gli aveva sviluppato un'agilità da bruto: la montagna deserta era il suo regno ed egli penetrava come un cinghiale, violento e silenzioso, la intricata boscaglia spinosa.
Quel giorno erano tutti riuniti in paese e solo Rosso girovagava nella macchia: iniziò la battuta timoroso, fermandosi e cambiando
spesso direzione.
Il sole accarezzava i prati: licheni e fiori erano ravvivati dalla luce trasparente del pomeriggio avanzato.
Egli si inserì cauto tra le betulle, vicino alla pozza dove si abbeveravano i camosci: Rosso ritenne che la giornata fosse buona per catturare il capo del branco.
Muovendosi supino sbucò al limite del bosco e si adagiò lentamente dietro i cespugli.
All'inferno Satana esaminava il libro dei peccatori più incalliti e osservò che Rosso da tempo meritava la dannazione: -Portatelo
qui immediatamente! Corpo e anima!-
Tre demoni salirono, volando con le nere ali di pipistrello, sulla Terra.
Rosso scrutava i pascoli sino alle rocce e dentro le gole, rifugio per gli animali selvatici, completamente liberate dalle neve.
Avanzava carponi nella direzione di alcuni fruscii, protetto dagli arbusti, impugnando il fucile già carico.
Tre grossi camosci maschi dalle corna nodose gli apparvero come una visione.
Rosso non aveva mai visto animali così maestosi e pensò: -Quei poveri fessi, che sono rimasti alla funzione, non sanno cosa perdono!-
I camosci pascolavano placidi, in apparenza incuranti del cacciatore che si era incautamente esposto.
Emozionato Rosso controllò se l'arma fosse a punto e con un dito
bagnò la cima della canna.
Egli si lisciò con le unghie la rossiccia barba ispida, pose un ginocchio a terra e mirò a pochi metri, ma gli animali non si spaventarono.
Il più grosso dei tre, da lui tenuto attentamente sotto tiro, mutò: tutti e tre si ingigantirono e le loro ombre avvolsero Rosso in una notte precoce.
Egli udì un'intimazione: -Rosso! Non sparare!-
Ma egli sparò e l'eco del colpo risuonò per tutta la vallata; le tenebre lo ghermivano, sbalordito egli portò le mani agli occhi.
Stava per soccombere quando le campane a festa annunciarono l'inizio della processione.
I demoni sbandarono confusi e fuggirono: -A presto Rosso! Te la sei cavata, per ora!-
Egli non capì il pericolo scampato: prima guardò attorno stordito, poi si sfogò sul vecchio fucile e lo gettò con rabbia contro una roccia.
-Hai sempre funzionato e mi scoppi in faccia ora, con tre prede così ben pasciute!-
All'osteria raccontò la sua disavventura e tutti ascoltarono stupiti: i presenti intuirono che qualcosa di misterioso incombeva su Rosso.
Il vino lo rincuorò e il giorno successivo, prima dell'alba, Rosso andò nei luoghi più ricchi di selvaggina.
Camminò tutta la giornata, bramoso di rivincita e alla sera scovò un giovane capriolo, tenero e lontano dalla madre.
Rosso gli sparò in fronte, mentre l'animale lo fissava titubando e ancora incerto sulle zampe.
Egli si caricò il capriolo sulle spalle e scese lungo un ripido sentiero, l'ora era tarda e non avrebbe incontrato nessuno, si sedette vicino ad una cappelletta dedicata a San Rocco e degnò di uno sguardo il ritratto del Santo, rustico e rudimentale.
Scacciò il ricordo nostalgico di quando pregava con la madre il Santo e si caricò il capriolo sulle spalle.
Subito dopo incespicò in un maialetto rosso fuoco che gli ammirava davanti e lo ostacolava, mostrando i denti aguzzi.
Quel misterioso animale lo preoccupò ed egli lo colpì con un calcio: -Torna all'inferno, stupido mostro!-
Il maialetto scomparve in una fiammata e una nube di fumo irritante avvolse Rosso.
Egli tossì e si coprì la bocca e il naso con le mani; alle sue spalle la roccia cedette trascinandolo nella frana.
Egli rovinò per vari metri, i sassi gli volarono attorno: i tre demoni avevano causato la frana per portarselo con loro, ma la pelliccia di Rosso aveva resistito.
Si levò stordito e graffiato, riprese la sua strada.
Non abbandonò il capriolo, suo scudo nella caduta: non comprese che il Cielo l'aveva salvato, ma per l'ultima volta.
Un vecchio saliva alla sua baita, vide la cascina di Rosso aperta e osò sbirciare dentro.
Per primo notò il capriolo appeso per le zampe ad una trave, con le carni rosee spogliate dal pelo.
A terra, sotto l'animale, giaceva Rosso.
Il vecchio corse al paese per dare, con tutta la foga di cui era capace, la notizia della fine del bruto: -Rosso è morto! Ora siamo liberi!-
Veloce l'annuncio del vecchio si diffuse e la gente si adunò curiosa.
Rosso aveva agito con troppa malvagità e da morto intimoriva ancora: un gruppo di giovani, quasi sospingendosi l'uno con l'altro, si impegnò a salire lassù per primi.
Essi ricomposero pietosamente la salma e la deposero sul pagliericcio.
Quel volto di cera non intimidiva più nessuno, però essi sospettarono che il Diavolo, non soddisfatto dell'anima, avrebbe rapito pure il corpo.
I giovani più coraggiosi decisero di impedire il sacrilegio e di difendere l'onore del paese contro il potere dell'inferno. Verso sera la porta e gli scuri della baita furono sbattuti dal vento, l'aria si era raffreddata e minacciava burrasca.
Essi chiusero la porta e le finestre, si sedettero accanto al fuoco, giocando a morra, alzando la voce per nascondere la paura.
Il temporale, inatteso a fine settembre, scoppiò con violenza; la cascina fu investita da folate di vento e da una pioggia scrosciante.
I giovani avvertendo il pericolo, smisero di giocare.
La luce dei lampi filtrava attraverso le fessure delle imposte e illuminava la macabra espressione del volto di Rosso che non era stata notata in precedenza, i giovani la interpretarono per un funesto presagio.
La poca mobilia venne accatastata contro la porta e altre assi furono inchiodate per assicurare i battenti traballanti.
Un violento colpo di vento spalancò la finestra vicino a Rosso e spense tutti i lumi.
La confusione impedì ai più audaci di intervenire immediatamente.
Fra urla di terrore ed esclamazioni di rabbia impotente qualcuno riaccese un lume; tutti si strinsero attorno ad esso.
Richiusero la finestra, ma il corpo di Rosso era scomparso.
Alla mattina i compaesani decisero di trasportare la bara nella terra sconsacrata.
Un tronco sostituiva il corpo e tutti i paesani erano riuniti, ma la soddisfazione di non rivedere più il famigerato Rosso fu turbata dall'improvviso incendio dei boschi a valle, i più fitti del paese, che furono totalmente distrutti.
I vecchi dissero: -Rosso si è vendicato per l'ultima volta!-


racconto di Arduino Rossi