LA
CACCIA DEL MORTO
I
cacciatori sono sempre stati i primi ad alzarsi alla domenica e
quando la selvaggina era abbondante, ai tempi dei fucili ad
avancarica, la passione era molta.
Non
sempre tutti rispettavano la legge, l'onestà, la morale: capitava
che qualcuno invadesse i campi, uccidesse animali domestici,
provocasse danni alle persone, senza poi risarcire le vittime.
Le
maledizioni contro questa categoria di appassionati, che sparavano ai
guardia caccia, non erano sufficienti e anche dai pulpiti i parroci
invitavano alla pace, al rispetto delle proprietà e delle persone.
Alder
era uno spaccone di quelli che non ponevano limite alle loro
affermazioni né alle loro azioni: i guardia caccia di tutta la valle
lo ricercavano, ma non riuscivano mai a prenderlo sul fatto.
Alder
era un bracconiere scaltro, agile e fortunato, ma fu scorto dal
vecchio Andrea celare un cerbiatto sotto la vegetazione, per
appropriarsene con tutta calma di notte.
L'aveva
catturato con una trappola nella stagione di ripopolamento della
fauna.
Il
guardia caccia si avvicinò al manigoldo con cautela e alle spalle
gli ordinò di abbassare l'arma.
Alder
obbedì e alzò le mani: -Hai vinto, Andrea! Ora sarai soddisfatto e
potrai condurmi in prigione!-
-Era
ora che ti trovassi con le mani sulla preda e questa volta due anni
di carcere non te li leveranno più!-
-Non
essere sciocco, Andrea! Io uscirò di prigione e mi vendicherò!-
Andrea
non era tipo da farsi intimorire: si accostò per legargli i polsi,
togliergli il fucile e condurlo, facendolo camminare davanti a sé,
sino alla caserma della forza pubblica.
Commise
l'errore di non perquisire il bracconiere: si voltò di scatto, dopo
essersi fermato per una finta distorsione alla caviglia, e ficcò il
coltello nel petto del vecchio.
Andrea
cadde a terra e dopo una breve agonia morì: fu sepolto nel bosco,
ben celato per non permettere di ritrovarlo.
Le
ricerche del guardia caccia furono inutili: Alder era stato troppo
abile e il bosco non avrebbe mai restituito la salma del povero uomo
onesto.
L'assassino
non si pentì mai del suo delitto, proseguì nella sua esistenza
errabonda, senza famiglia, senza affetti e morì di morte naturale,
ormai anziano, solo come era vissuto.
Presto
i valligiani si scordarono di lui: era uno dei tanti che erano
campati ai margini della legalità, senza però essere dei
fuorilegge, ricercati per crimini di particolare gravità.
Erano
trascorsi anni quando di notte, in autunno, quando le foglie cadono e
i cacciatori inseguono le loro prede, fu avvistato una bara che
scivolava lungo i sentieri, preceduta e inseguita da cani feroci,
irsuti, famelici, quasi lupi.
Il
chiasso che provocava quel corteo era tale da svegliare gli abitanti
delle cascine isolate e delle case ai margini dei villaggi.
Per
decenni quella presenza fu notata e diversi terrorizzati testimoni
dissero che quel funerale proseguiva sino all'alba, poi svaniva alle
prime luci del sole.
Era
necessario liberare la valle da quella presenza malefica: si diceva
che avrebbe portato sfortuna, era il segno di dolore, delitti e
sangue che avrebbero infestato i luoghi visitati dagli spettri.
Qualcuno
avrebbe dovuto porsi di fronte al corteo macabro e fermarlo,
chiedendo al morto nella cassa di alzarsi e dire ciò che voleva dai
vivi.
Trovare
un uomo simile, capace di affrontare gli spiriti dell'inferno, era
quasi impossibile: non doveva essere uno che faceva un atto simile
per denaro, né per scommessa, sarebbe morto di paura.
Doveva
agire per generosità.
Solo
un uomo era capace di far ciò, ma era troppo vecchio e ormai più
vicino all'altro mondo che a questo: una delegazione di
notabili
salì da lui cercando di farlo intervenire.
Egli
era un vecchio cacciatore di spettri, aveva liberato di presenze
malefiche le cascine, i cimiteri, i palazzi, i castelletti diroccati.
Alla
vista di tanti signori importanti il vecchio si tolse il cappello e
chiese cosa potava fare per loro.
Conosciuta
la loro richiesta si schernì, dicendo: -Sono troppo avanti negli
anni, sicuramente dei giovani sono più abili e più coraggiosi di
me!-
-Tu
sei il più esperto! Sai affrontare ogni tipo di spettro!-
Il
cacciatore di fantasmi si mise a pensare e commentò: -Certamente qui
c'è un orrendo crimine commesso da qualcuno! Un'anima morta vorrà
porre riparo a qualche suo sbaglio in vita!-
Accettò
e attese che la caccia del morto iniziasse: di giorno si udiva
l'abbaiare dei cani e le fucilate dei cacciatori vivi, di notte,
quando già la neve stava imbiancando le cime, si udiva il latrare
macabro della caccia del morto.
Non
c'era una logica apparente nel percorso della bara notturna: una
volta era sui monti, giungeva sino alle vette, poi calava nel fondo
valle e sfiorava i paesi senza mai entrarvi.
Ormai
la montagna aveva lo stesso colore della barba e dei capelli del
cacciatore di spiriti: la neve la copriva già, ma egli non si
scansava dalla sua posizione.
L'attesa
del vecchio dette frutto: una notte il corteo funesto incappò
proprio sul sentiero dove il paziente vecchio vegliava, i cani
infernali gli ringhiarono contro, ma inutilmente.
La
bara si dovette arrestare e le belve si misero tutte in cerchio,
ululando e minacciando, come lupi attorno alla loro preda.
Il
cadavere era stato collocato in un letto di fiamme che non lo
consumavano e lo illuminavano con una luce purpurea vivacissima.
Il
rosso del fuoco brillava e risaltava sul nero del feretro.
I
capelli corvini del cadavere erano lunghi e gli occhi erano violacei,
tenebrosi.
Il
dolore patito dal reprobo era incommensurabile, ma non c'era una
sola smorfia di patimento sul suo volto da colpevole.
La
mattina successiva il vecchio fu trovato piangente e confuso,
ripeteva in continuazione: -Bisogna seppellirlo, al più presto,
povera anima, povero galantuomo!-
Non
narrò mai ciò che il dannato gli aveva rivelato né il suo nome, ma
indicò unicamente il luogo dove era stato sotterrato il guardia
caccia, che fu riconosciuto e restituito ai figli e ai nipoti, per
una degna sepoltura.
Solo
io scovai la prova che lo spettro della bara fosse Alder, fratello
maggiore del cacciatore di fantasmi.
Tra
diversi incartamenti di un santuario rinvenni una pergamena, dove si
chiedeva perdono per l'assassino, condonandolo dal supplizio tremendo
della bara in fiamme: il cacciatore morto avrebbe dovuto percorrere
per l'eternità i viottoli che in vita aveva battuto, inseguendo la
selvaggina.
ROSSO
Il
paese di Santa Brigida, mollemente adagiato in una soleggiata
apertura della valle Brembana, era da considerarsi fortunato:
abbondava di acqua e di grassi pascoli, dove sostava il bestiame
disceso dagli alpeggi.
Ad
eccezione di Rosso gli abitanti erano tutte persone laboriose: la
pecora nera da sempre sfaticata, che campava di rapina e di
bracconaggio.
Egli
vagabondava di vallata in vallata: deciso e inaspettato aggrediva le
sue vittime poi, come un animale selvatico, si rifugiava nei boschi,
bivaccando in qualche anfratto naturale.
Trascorreva
l'inverno al paese e si nascondeva quando le guardie
lo
ceravano; egli detestava quelle quattro case rustiche e ripeteva tra
sé a denti stretti: -Paese di donnicciole e di buoi!-
I
suoi compaesani, spesso vittime della sua brutalità, lo evitavano e
i suoi arrivi erano preannunciati: -E' tornato Rosso! Che Dio ci
salvi!-
Passava
i periodi di riposo della sua attività, gendarmi permettendo,
all'osteria di Santa Brigida.
Una
domenica di settembre, a dispetto di tutti quelli che gli volevano
male, beveva e imprecava: -Brutti idioti e buoni a nulla! Siete
sempre qui a chiacchierare come servette!-
I
compari di Rosso tacevano quando egli beveva troppo: -Ehi! Portatemi
un altro mezzo litro di vino!-
Subito
l'oste lo servì dicendogli: -Rosso! Oggi sei più in forma del
solito!-
Egli
si alzò provocando i presenti: -Io parto per la caccia! Non c'è
foschia, voi andate pure alla Festa della Madonna!-
Attraversò
il sagrato e guardò sogghignante la folla di fedeli: egli si
eccitava trasgredendo le leggi di Dio e le tradizioni paesane.
Quel
giorno Santa Brigida onorava solennemente la Madonna Addolorata: fu
proprio durante quelle funzioni religiose che Rosso, da ragazzo,
intraprese la sua carriera di farabutto.
Sua
madre tentò invano di farlo ravvedere, ma le maniere buone non
servivano e i modi severi lo rendevano più rabbioso: l'anima di
Rosso era predisposta al male come la gazza al furto.
La
vita in mezzo ai boschi gli aveva sviluppato un'agilità da bruto: la
montagna deserta era il suo regno ed egli penetrava come un
cinghiale, violento e silenzioso, la intricata boscaglia spinosa.
Quel
giorno erano tutti riuniti in paese e solo Rosso girovagava nella
macchia: iniziò la battuta timoroso, fermandosi e cambiando
spesso
direzione.
Il
sole accarezzava i prati: licheni e fiori erano ravvivati dalla luce
trasparente del pomeriggio avanzato.
Egli
si inserì cauto tra le betulle, vicino alla pozza dove si
abbeveravano i camosci: Rosso ritenne che la giornata fosse buona per
catturare il capo del branco.
Muovendosi
supino sbucò al limite del bosco e si adagiò lentamente dietro i
cespugli.
All'inferno
Satana esaminava il libro dei peccatori più incalliti e osservò che
Rosso da tempo meritava la dannazione: -Portatelo
qui
immediatamente! Corpo e anima!-
Tre
demoni salirono, volando con le nere ali di pipistrello, sulla Terra.
Rosso
scrutava i pascoli sino alle rocce e dentro le gole, rifugio per gli
animali selvatici, completamente liberate dalle neve.
Avanzava
carponi nella direzione di alcuni fruscii, protetto dagli arbusti,
impugnando il fucile già carico.
Tre
grossi camosci maschi dalle corna nodose gli apparvero come una
visione.
Rosso
non aveva mai visto animali così maestosi e pensò: -Quei poveri
fessi, che sono rimasti alla funzione, non sanno cosa perdono!-
I
camosci pascolavano placidi, in apparenza incuranti del cacciatore
che si era incautamente esposto.
Emozionato
Rosso controllò se l'arma fosse a punto e con un dito
bagnò
la cima della canna.
Egli
si lisciò con le unghie la rossiccia barba ispida, pose un ginocchio
a terra e mirò a pochi metri, ma gli animali non si spaventarono.
Il
più grosso dei tre, da lui tenuto attentamente sotto tiro, mutò:
tutti e tre si ingigantirono e le loro ombre avvolsero Rosso in una
notte precoce.
Egli
udì un'intimazione: -Rosso! Non sparare!-
Ma
egli sparò e l'eco del colpo risuonò per tutta la vallata; le
tenebre lo ghermivano, sbalordito egli portò le mani agli occhi.
Stava
per soccombere quando le campane a festa annunciarono l'inizio della
processione.
I
demoni sbandarono confusi e fuggirono: -A presto Rosso! Te la sei
cavata, per ora!-
Egli
non capì il pericolo scampato: prima guardò attorno stordito, poi
si sfogò sul vecchio fucile e lo gettò con rabbia contro una
roccia.
-Hai
sempre funzionato e mi scoppi in faccia ora, con tre prede così ben
pasciute!-
All'osteria
raccontò la sua disavventura e tutti ascoltarono stupiti: i presenti
intuirono che qualcosa di misterioso incombeva su Rosso.
Il
vino lo rincuorò e il giorno successivo, prima dell'alba, Rosso andò
nei luoghi più ricchi di selvaggina.
Camminò
tutta la giornata, bramoso di rivincita e alla sera scovò un giovane
capriolo, tenero e lontano dalla madre.
Rosso
gli sparò in fronte, mentre l'animale lo fissava titubando e ancora
incerto sulle zampe.
Egli
si caricò il capriolo sulle spalle e scese lungo un ripido sentiero,
l'ora era tarda e non avrebbe incontrato nessuno, si sedette vicino
ad una cappelletta dedicata a San Rocco e degnò di uno sguardo il
ritratto del Santo, rustico e rudimentale.
Scacciò
il ricordo nostalgico di quando pregava con la madre il Santo e si
caricò il capriolo sulle spalle.
Subito
dopo incespicò in un maialetto rosso fuoco che gli ammirava davanti
e lo ostacolava, mostrando i denti aguzzi.
Quel
misterioso animale lo preoccupò ed egli lo colpì con un calcio:
-Torna all'inferno, stupido mostro!-
Il
maialetto scomparve in una fiammata e una nube di fumo irritante
avvolse Rosso.
Egli
tossì e si coprì la bocca e il naso con le mani; alle sue spalle la
roccia cedette trascinandolo nella frana.
Egli
rovinò per vari metri, i sassi gli volarono attorno: i tre demoni
avevano causato la frana per portarselo con loro, ma la pelliccia di
Rosso aveva resistito.
Si
levò stordito e graffiato, riprese la sua strada.
Non
abbandonò il capriolo, suo scudo nella caduta: non comprese che il
Cielo l'aveva salvato, ma per l'ultima volta.
Un
vecchio saliva alla sua baita, vide la cascina di Rosso aperta e osò
sbirciare dentro.
Per
primo notò il capriolo appeso per le zampe ad una trave, con le
carni rosee spogliate dal pelo.
A
terra, sotto l'animale, giaceva Rosso.
Il
vecchio corse al paese per dare, con tutta la foga di cui era capace,
la notizia della fine del bruto: -Rosso è morto! Ora siamo liberi!-
Veloce
l'annuncio del vecchio si diffuse e la gente si adunò curiosa.
Rosso
aveva agito con troppa malvagità e da morto intimoriva ancora: un
gruppo di giovani, quasi sospingendosi l'uno con l'altro, si impegnò
a salire lassù per primi.
Essi
ricomposero pietosamente la salma e la deposero sul pagliericcio.
Quel
volto di cera non intimidiva più nessuno, però essi sospettarono
che il Diavolo, non soddisfatto dell'anima, avrebbe rapito pure il
corpo.
I
giovani più coraggiosi decisero di impedire il sacrilegio e di
difendere l'onore del paese contro il potere dell'inferno. Verso sera
la porta e gli scuri della baita furono sbattuti dal vento, l'aria si
era raffreddata e minacciava burrasca.
Essi
chiusero la porta e le finestre, si sedettero accanto al fuoco,
giocando a morra, alzando la voce per nascondere la paura.
Il
temporale, inatteso a fine settembre, scoppiò con violenza; la
cascina fu investita da folate di vento e da una pioggia scrosciante.
I
giovani avvertendo il pericolo, smisero di giocare.
La
luce dei lampi filtrava attraverso le fessure delle imposte e
illuminava la macabra espressione del volto di Rosso che non era
stata notata in precedenza, i giovani la interpretarono per un
funesto presagio.
La
poca mobilia venne accatastata contro la porta e altre assi furono
inchiodate per assicurare i battenti traballanti.
Un
violento colpo di vento spalancò la finestra vicino a Rosso e spense
tutti i lumi.
La
confusione impedì ai più audaci di intervenire immediatamente.
Fra
urla di terrore ed esclamazioni di rabbia impotente qualcuno riaccese
un lume; tutti si strinsero attorno ad esso.
Richiusero
la finestra, ma il corpo di Rosso era scomparso.
Alla
mattina i compaesani decisero di trasportare la bara nella terra
sconsacrata.
Un
tronco sostituiva il corpo e tutti i paesani erano riuniti, ma la
soddisfazione di non rivedere più il famigerato Rosso fu turbata
dall'improvviso incendio dei boschi a valle, i più fitti del paese,
che furono totalmente distrutti.
I
vecchi dissero: -Rosso si è vendicato per l'ultima volta!-
racconto di Arduino Rossi