12 set 2012

di fantasmi storie .... IL DRAGO VOLANTE








IL DRAGO VOLANTE

Più nessuno crede ai draghi volanti, eppure ci fu un tempo nel quale questi mostri terrorizzavano le genti delle valli alpine.
Molti libri antichi raccontano gli orrori causati da queste belve demoniache, in alcuni casi si ritrovano le descrizioni minuziose del loro aspetto e delle loro abitudini.
Io non so a quale specie appartenesse quello che infestò l'alta valle Brembana, ma sicuramente fu uno tra i più feroci: sbranava il bestiame e i guardiani che lo affrontavano.
Era gente povera: l'allevamento era l'unica loro ricchezza e quell'enorme volatile portò la carestia.
Non si alzava molto dal suolo e talvolta strisciava la pancia squamosa da rettile sui tetti delle case, il suo vorticoso agitare le ali spandeva una malefica polvere gialla che insecchiva gli orti e faceva cadere le foglie dagli alberi.
Un giorno un vagabondo si inoltrò nell'alta valle, forse per sfuggire alla giustizia o a qualche vendetta.
Era un uomo forte, ma con le mani delicate e con la schiena diritta di chi non aveva mai lavorato.
Pareva un soldato, di quelli che stanchi della divisa si mettono a servizio dei tirannelli di campagna.
Egli non era uno che amava la disciplina e un padrone: finiti i denari del congedo sarebbe passato probabilmente ad ingrossare le file dei briganti della valle.
Parlava contro voglia e non rispondeva a domande sul suo passato, però ascoltava tutti: in particolare si interessava dei fatti dei malviventi e delle leggende dei bottini nascosti.
Un vecchio contadino affilava la falce al bordo del suo prato e il vagabondo gli chiese del vino, così discussero di vari argomenti e il discorso si fermò sul drago: -Se tu non l'hai mai visto sei fortunato! Nessun essere ha le sue sembianze! Il capo è coperto di penne gialle e la schiena rossa è piagata. Il petto è increspato di dure lamine cartilaginee che lo proteggono sino sotto il mento ed esso le scuote quando è furioso, agitandole con la testa e causando un assordante rumore!-
-Vecchio, nessuno ha mai pensato di ucciderlo?-
-Molti hanno perso la vita nel tentativo di contrastarlo, perché erano inesperti pastori, armati di bastoni!-
-Se voi valligiani pagaste un premio sarei disposto a portarvi la sua testa. Ovviamente pretendo una ricca taglia, da farmi campare per molto tempo, soddisfacendo tutti i miei desideri!-
-Non farlo! Quella non è una belva di questo mondo; Dio ha permesso a Satana di liberarla dall'Inferno per fini sconosciuti, noi dobbiamo rassegnarci e pregare!-
Il forestiero spese gli ultimi soldi per un malandato archibugio e si avventurò sulle tracce del drago. Per sua sfortuna la belva si spostava e gli sfuggiva sempre, quell'essere doveva pur avere una tana ed egli la trovò.
-Eccomi belva appestata! Niente e nessuno è sfuggito a Fosco!-
Quella pareva l'entrata dell'Inferno: non si vedeva dove terminava e i vortici del vento imprigionato risuonavano in un lamentoso fruscio.
A sera il drago rientrò nella sua tana, si appollaiò sull'orlo della voragine e stese le alette, guardandosi intorno.
Fosco era ben nascosto tra i cespugli: -Che essere orrendo! Miseri quelli che sono finiti tra le sue fauci!-
Sulla fronte del mostro un diamante grosso come un pugno era incastonato tra le grinza delle squame.
-Maledizione! Devo impossessarmi di quella pietra e vivrò nell'abbondanza sino alla vecchia!-
Il drago agitava la coda nodosa e colpiva gli arbusti vicini, fiutava l'aria e spalancava l'ampia bocca, digrignando i denti contro eventuali nemici.
-Il diamante sarà mio, devo agire con furbizia, e non nei pressi della sua tana, dove conosce ogni nascondiglio!-
Il mostro emise uno dei suoi agghiaccianti urli e si lasciò cadere, sparendo nel buio.
Poco distante Fosco trovò una pozza acquitrinosa, dove il mostro
si abbeverava e attorno rinvenne con orrore i resti dei feroci pasti.
Il puzzo nauseabondo lo dissuase dall'idea di un appostamento nei pressi.
Fosco rubò un agnello e lo legò sulla cime di una radura, collocandolo bene in vista e attese per parecchio tempo.
Il drago si accorse della facile preda e calò su di essa con le fauci aperte.
Fosco accese la miccia dell'archibugio: -Avanza, su vieni! Basterà un colpo e sarò ricco!-
Sicuro di sé si avvicinò per sparargli direttamente negli occhi, mentre il mostro placido sbranava l'agnello.
L'archibugio gli esplose tra le mani ed egli cadde ferito, la vista gli si annebbiò; purtroppo Fosco non svenne e capì che il drago lo stava azzannando.
Il suo grido di dolore fu udito da un gruppo di contadini, che accorsero in suo soccorso, armati di forconi e di zappe.
Era troppo tardi, il drago volava via indisturbato ed essi raccolsero i resti dello sventurato: la testa intatta con gli occhi spalancati e con la bocca tesa per l'ultimo rantolo.
La seppellirono nel luogo della tragedia e posero una croce di legno, ritornando al loro lavoro borbottando: -Chi lo combatte muore sbranato e chi si rassegna muore di fame, perché perde tutto il bestiame!-
Il vento del Nord aveva sospinto il drago volante sopra le loro case e i loro pascoli, ancora una gelida folata lo trasportò lontano.
I montanari non vollero sapere dove fosse andato, a loro bastava di esserne liberati.
La vita ritornò normale per tutti, soltanto i contadini che avevano seppellito Fosco non dormivano tranquilli, ogni notte quell'anima in pena piangeva e chiedeva aiuto.
Ci fu pure qualche ignaro viandante che vide, accanto alla croce, le spettro di un uomo così disperato: provò più compassione che paura.
La notizia si sparse e nessuno osava avvicinarsi alla tomba dopo il tramonto, nelle cascine il sonno era difficile e tutti si tappavano le orecchie, ma quel sussurro ininterrotto penetrava in ogni fessura.
Trascorsero decenni e la gente abbandonò la sua abitazione, pur di non sentirsi anime dolenti.
L'ultima famiglia di contadini rimasta non voleva lasciare i propri beni; si diceva che essi avevano ormai sul volto il colore dei morti e che fossero delle anime perse.
Il più anziano della famiglia decise di interpellare un frate eremita, che girovagava nella valle e predicava inaspettato nelle piazze contro i vizi, minacciando il castigo di Dio.
Si raccontava che era stato espulso dal suo convento per le pratiche alchimistiche e per i riti negromantici; ora non si sapeva quanti anni avesse perché anche i vecchi se lo ricordavano con la barba bianca, la pelle rugosa e gli occhi intorpiditi.
Tutti lo temevano e i parroci, benché lo considerassero un eretico, non lo scacciavano per le sue poco ortodosse pratiche esoteriche: quel frate stregone riusciva dove loro fallivano.
La decisione di chiamarlo fu presa tra incertezza e tra timori, finché un giorno lo videro sul sentiero che conduceva alla cascina: -Vi siete finalmente rivolti a me, sciocchi miscredenti! Quest'anima del Purgatorio chiedeva un po' di pace e voi vi nascondevate dentro le vostre case, non ascoltandola!-
Il rito esorcistico doveva essere compiuto di notte e con due componenti della famiglia: il più giovane e il più vecchio.
Il frate impastò dell'erba con della terra e sparse l'intruglio sulla tomba.
-Neppure le ortiche e le spine avete tolto! Solo la natura ha avuto compassione di lui, coprendo la sua sepoltura con fiori!-
Tutti e tre restarono in preghiera sino a notte inoltrata: finalmente lo spirito comparve, si gettò ai piedi del frate e gli chiese scampo per gli orrori dell'altra vita.
Il severo eremita si commosse e lo benedì, recitando le orazioni in un latino scorretto: -Ora ritorna da dove sei venuto e non disturbare mai più il sonno dei vivi!-
Poi il pio uomo si rivolse ai due testimoni sbigottiti: -Non vi infastidirà più, ma voi pregate per abbreviargli le pene, abbiate misericordia e Dio l'avrà per voi! So già che da domani la vita ricomincerà serena e sicura, dimenticherete il dolore patito e riaprirete le porte al male!-

racconto di Arduino Rossi