IL
DRAGO VOLANTE
Più
nessuno crede ai draghi volanti, eppure ci fu un tempo nel quale
questi mostri terrorizzavano le genti delle valli alpine.
Molti
libri antichi raccontano gli orrori causati da queste belve
demoniache, in alcuni casi si ritrovano le descrizioni minuziose del
loro aspetto e delle loro abitudini.
Io
non so a quale specie appartenesse quello che infestò l'alta valle
Brembana, ma sicuramente fu uno tra i più feroci: sbranava il
bestiame e i guardiani che lo affrontavano.
Era
gente povera: l'allevamento era l'unica loro ricchezza e quell'enorme
volatile portò la carestia.
Non
si alzava molto dal suolo e talvolta strisciava la pancia squamosa da
rettile sui tetti delle case, il suo vorticoso agitare le ali
spandeva una malefica polvere gialla che insecchiva gli orti e faceva
cadere le foglie dagli alberi.
Un
giorno un vagabondo si inoltrò nell'alta valle, forse per sfuggire
alla giustizia o a qualche vendetta.
Era
un uomo forte, ma con le mani delicate e con la schiena diritta di
chi non aveva mai lavorato.
Pareva
un soldato, di quelli che stanchi della divisa si mettono a servizio
dei tirannelli di campagna.
Egli
non era uno che amava la disciplina e un padrone: finiti i denari del
congedo sarebbe passato probabilmente ad ingrossare le file dei
briganti della valle.
Parlava
contro voglia e non rispondeva a domande sul suo passato, però
ascoltava tutti: in particolare si interessava dei fatti dei
malviventi e delle leggende dei bottini nascosti.
Un
vecchio contadino affilava la falce al bordo del suo prato e il
vagabondo gli chiese del vino, così discussero di vari argomenti e
il discorso si fermò sul drago: -Se tu non l'hai mai visto sei
fortunato! Nessun essere ha le sue sembianze! Il capo è coperto di
penne gialle e la schiena rossa è piagata. Il petto è increspato di
dure lamine cartilaginee che lo proteggono sino sotto il mento ed
esso le scuote quando è furioso, agitandole con la testa e causando
un assordante rumore!-
-Vecchio,
nessuno ha mai pensato di ucciderlo?-
-Molti
hanno perso la vita nel tentativo di contrastarlo, perché erano
inesperti pastori, armati di bastoni!-
-Se
voi valligiani pagaste un premio sarei disposto a portarvi la sua
testa. Ovviamente pretendo una ricca taglia, da farmi campare per
molto tempo, soddisfacendo tutti i miei desideri!-
-Non
farlo! Quella non è una belva di questo mondo; Dio ha permesso a
Satana di liberarla dall'Inferno per fini sconosciuti, noi dobbiamo
rassegnarci e pregare!-
Il
forestiero spese gli ultimi soldi per un malandato archibugio e si
avventurò sulle tracce del drago. Per sua sfortuna la belva si
spostava e gli sfuggiva sempre, quell'essere doveva pur avere una
tana ed egli la trovò.
-Eccomi
belva appestata! Niente e nessuno è sfuggito a Fosco!-
Quella
pareva l'entrata dell'Inferno: non si vedeva dove terminava e i
vortici del vento imprigionato risuonavano in un lamentoso fruscio.
A
sera il drago rientrò nella sua tana, si appollaiò sull'orlo della
voragine e stese le alette, guardandosi intorno.
Fosco
era ben nascosto tra i cespugli: -Che essere orrendo! Miseri quelli
che sono finiti tra le sue fauci!-
Sulla
fronte del mostro un diamante grosso come un pugno era incastonato
tra le grinza delle squame.
-Maledizione!
Devo impossessarmi di quella pietra e vivrò nell'abbondanza sino
alla vecchia!-
Il
drago agitava la coda nodosa e colpiva gli arbusti vicini, fiutava
l'aria e spalancava l'ampia bocca, digrignando i denti contro
eventuali nemici.
-Il
diamante sarà mio, devo agire con furbizia, e non nei pressi della
sua tana, dove conosce ogni nascondiglio!-
Il
mostro emise uno dei suoi agghiaccianti urli e si lasciò cadere,
sparendo nel buio.
Poco
distante Fosco trovò una pozza acquitrinosa, dove il mostro
si
abbeverava e attorno rinvenne con orrore i resti dei feroci pasti.
Il
puzzo nauseabondo lo dissuase dall'idea di un appostamento nei
pressi.
Fosco
rubò un agnello e lo legò sulla cime di una radura, collocandolo
bene in vista e attese per parecchio tempo.
Il
drago si accorse della facile preda e calò su di essa con le fauci
aperte.
Fosco
accese la miccia dell'archibugio: -Avanza, su vieni! Basterà un
colpo e sarò ricco!-
Sicuro
di sé si avvicinò per sparargli direttamente negli occhi, mentre il
mostro placido sbranava l'agnello.
L'archibugio
gli esplose tra le mani ed egli cadde ferito, la vista gli si
annebbiò; purtroppo Fosco non svenne e capì che il drago lo stava
azzannando.
Il
suo grido di dolore fu udito da un gruppo di contadini, che accorsero
in suo soccorso, armati di forconi e di zappe.
Era
troppo tardi, il drago volava via indisturbato ed essi raccolsero i
resti dello sventurato: la testa intatta con gli occhi spalancati e
con la bocca tesa per l'ultimo rantolo.
La
seppellirono nel luogo della tragedia e posero una croce di legno,
ritornando al loro lavoro borbottando: -Chi lo combatte muore
sbranato e chi si rassegna muore di fame, perché perde tutto il
bestiame!-
Il
vento del Nord aveva sospinto il drago volante sopra le loro case e i
loro pascoli, ancora una gelida folata lo trasportò lontano.
I
montanari non vollero sapere dove fosse andato, a loro bastava di
esserne liberati.
La
vita ritornò normale per tutti, soltanto i contadini che avevano
seppellito Fosco non dormivano tranquilli, ogni notte quell'anima in
pena piangeva e chiedeva aiuto.
Ci
fu pure qualche ignaro viandante che vide, accanto alla croce, le
spettro di un uomo così disperato: provò più compassione che
paura.
La
notizia si sparse e nessuno osava avvicinarsi alla tomba dopo il
tramonto, nelle cascine il sonno era difficile e tutti si tappavano
le orecchie, ma quel sussurro ininterrotto penetrava in ogni fessura.
Trascorsero
decenni e la gente abbandonò la sua abitazione, pur di non sentirsi
anime dolenti.
L'ultima
famiglia di contadini rimasta non voleva lasciare i propri beni; si
diceva che essi avevano ormai sul volto il colore dei morti e che
fossero delle anime perse.
Il
più anziano della famiglia decise di interpellare un frate eremita,
che girovagava nella valle e predicava inaspettato nelle piazze
contro i vizi, minacciando il castigo di Dio.
Si
raccontava che era stato espulso dal suo convento per le pratiche
alchimistiche e per i riti negromantici; ora non si sapeva quanti
anni avesse perché anche i vecchi se lo ricordavano con la barba
bianca, la pelle rugosa e gli occhi intorpiditi.
Tutti
lo temevano e i parroci, benché lo considerassero un eretico, non lo
scacciavano per le sue poco ortodosse pratiche esoteriche: quel frate
stregone riusciva dove loro fallivano.
La
decisione di chiamarlo fu presa tra incertezza e tra timori, finché
un giorno lo videro sul sentiero che conduceva alla cascina: -Vi
siete finalmente rivolti a me, sciocchi miscredenti! Quest'anima del
Purgatorio chiedeva un po' di pace e voi vi nascondevate dentro le
vostre case, non ascoltandola!-
Il
rito esorcistico doveva essere compiuto di notte e con due componenti
della famiglia: il più giovane e il più vecchio.
Il
frate impastò dell'erba con della terra e sparse l'intruglio sulla
tomba.
-Neppure
le ortiche e le spine avete tolto! Solo la natura ha avuto
compassione di lui, coprendo la sua sepoltura con fiori!-
Tutti
e tre restarono in preghiera sino a notte inoltrata: finalmente lo
spirito comparve, si gettò ai piedi del frate e gli chiese scampo
per gli orrori dell'altra vita.
Il
severo eremita si commosse e lo benedì, recitando le orazioni in un
latino scorretto: -Ora ritorna da dove sei venuto e non disturbare
mai più il sonno dei vivi!-
Poi
il pio uomo si rivolse ai due testimoni sbigottiti: -Non vi
infastidirà più, ma voi pregate per abbreviargli le pene, abbiate
misericordia e Dio l'avrà per voi! So già che da domani la vita
ricomincerà serena e sicura, dimenticherete il dolore patito e
riaprirete le porte al male!-
racconto di Arduino Rossi
racconto di Arduino Rossi