19 lug 2020

Lavoro, bene raro, da difendere e creare.


Da sempre il lavoro cambia e molti ne rimangono spiazzati, sino agli anni quaranta del secolo scorso la maggioranza degli italiani lavoravano in agricoltura, poi le macchine agricole li ha costretti a cercare lavoro in città, prima come operai, poi spesso come impiegati.
Tanti di noi hanno un nonno contadino, un padre operaio, in genere si è passati dai livelli umili, del mondo del lavoro, non umilianti, perché il lavoro è sempre da rispettare, a livelli sociali detti superiori, secondo gli schemi culturali del momento storico.
La pubblicità mostrava una famigliola con due figli, ben vestiti, con padre in giacca e cravatta, oppure sempre con l'automobile, con beni di consumo diffusi, che si potevano avere con buoni salari, tipici del ceto medio.
Oggi tutto muta e il lavoro è precario e per ora i posti ci sono nel pubblico e nel parastato, definiamolo così, ma si tratta di un sistema di favori politici e sociali, a spese degli apparati produttivi, che stanno distruggendo l'Italia.
Pochi se ne stanno accorgendo, ma l'automatismo sta  mangiando posti di lavoro e non abbiamo alternative o saremmo fuori mercato come Paese, se blocchiamo questo sviluppo.
Così ci sarà sempre meno lavoro per tutti e più ricchezza per gli imprenditori più evoluti, per i super tecnici.
Cosa faranno tutti coloro che non saranno dentro le logiche di mercato?
Si dovrà fare solo una cosa, tornare a studiare ed apprendere ciò che il mercato richiede.
Gli immigrati servono solo al ceto mediocre al potere, di centro sinistra, fermo alla pubblicità delle brioche di 40 anni fa, che non sanno adattarsi ai cambiamenti e da capi ufficio analfabeti dal punto di vista informatico, cercano l'eversione sociale, con i loro cari figli nei centri sociali.
Sperano di fermare la storia cantando Bella Ciao, portando caos sociale nelle periferie degradate, con altri migranti.
La storia lì spazzerà via senza pietà, sono fuori mercato e fuori dalla realtà attuale.